Forse le chiome polverose e i fianchi Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco Spirto vital negli egri petti avviva Il caduco fervor? Le meste rote Da poi che Febo instiga, altro che gioco Son l'opre de' mortali? ed è men vano Della menzogna il vero? A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse Natura stessa: e là dove l'insano Costume ai forti errori esca non porse, Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l'aratro Sentano i sette colli; e pochi Soli Forse fien vôlti e le città latine Abiterà la cauta volpe, e l'atro Bosco mormorerà fra le alte mura; Se la funesta della patrie cose Oblivion dalle perverse menti Non isgombrano i fati, e la matura Clade non torce dalle abbiette genti Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese. Alla patria infelice, o buon garzone, Sopravviver ti doglia.
Italo egregio, il fato? O con l'umano Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de' numi alto consiglio Non è ch'ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio, A percuoter ne rieda ogni momento Novo grido de' padri. Ancora è pio Dunque all' Italia il cielo; anco si cura Di noi qualche immortale:
Ch' essendo questa o nessun' altra poi L'ora da ripor mano alla virtude Rugginosa dell' itala natura, Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude A ricercar s'a questa età si tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda. Di ndi serbate, o gloriosi, ancora Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro Conoscer non si toglie. Io son distrutto, Nè schermo alcuno ho dal dolor, chè scuro M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
/ Plebe successe; al vostro sangue è scherno E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Nè rossor più nè invidia; ozio circonda I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno si che per tua man presenti Paion que' giorni allor che dalla dira Obblivione antica ergean la chioma,` Con gli studi sepolti,
I vetusti divini a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegrâr d'Atene e Roma. Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura La ruina d'Italia, anco sdegnosi Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo Più faville rapia da questo suolo. Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l'averno che la terra amico. L'averno e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le tue dolci corde Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi! dal dolor comincia e nasce L'italo canto. E pur men grava e morde Il mal che n'addolora
Del tedio che n'affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede e su la tomba il nulla.
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole,
Quand' oltre alle colonne ed oltre ai liti,
Cui strider l'onde all'attuffar del sole Parve udir su la sera 2, agl'infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch' ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno
Ai rischi. Ahi! ahi ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L'etra sonante e l'alma terra e il mare Al fanciullin che non al saggio, appare. Nostri sogni leggiadri ove son giti Dell' ignoto ricetto
D' ignoti abitatori, o del diurno Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta 3? Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta; Ecco tutto è simile, e, discoprendo, Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s' apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni, E il conforto peri de' nostri affanni.
Nascevi ai dolci sogni. intanto, e il primo Sole splendeati in vista,
Cantor vago dell'arme e degli amori, Che in età della nostra assai men trista Empiêr la vita di felici errori:
Nova speme d'Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando, In mille vane amenità si perde
La mente mia. Di vanità, di belle Fole e strani pensieri
Si componea l'umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or, poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo Veder che tutto è vano altro che il duolo. O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa Tua mente allora il pianto,
A te non altro preparava il cielo. O misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo Onde l'alma t'avean, ch'era si calda, Cinta l'odio e l'immondo
Livor privato e de'tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T'abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il 'nulla, il mondo Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno, L'ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. Torna, torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,
Se d'angoscia sei vago, o miserando Esemplo di sciagura. Assai da quello Che ti parve si mesto e si nefando È peggiorato il viver nostro. O caro, Chi ti compiangeria,
Se, fuor che di sè stesso, altri non cura? Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidì, se il grande e il raro Ha nome di follia;
Nè livor più, ma ben di lui più dura La noncuranza avviene ai sommi? o quale, Se più de' carmi, it computar s'ascolta, Ti appresterebbe il lauro un' altra volta?
Da te fino a quest' ora uom non è sorto O sventurato ingegno,
Pari all'italo nome, altro ch'un solo, LEOPARDI. Poesie.
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