Oh come soavissimi diffusi Moti per l'ossa mi serpeano! oh come Mille nell'alma instabili, confusi Pensieri si volgean! qual tra le chiome D'antica selva zefiro scorrendo, Un lungo, incerto mormorar ne prome. E mentre io taccio, e mentre io non contendo, Che dicevi, o mio cor, che si partia Quella per che penando ivi e battendo? Il cuocer non più tosto io mi sentia Della vampa d'amor che il venticello Che l'aleggiava volossene via. Senza senno io giacea sul dì novello, E i destrier che dovean farmi deserto, Battean la zampa sotto al patrio ostello. Ed io timido e cheto ed inesperto Vêr lo balcone al buio protendea L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto, La voce ad ascoltar, se ne, dovea Di quelle labbra uscir, ch'ultima fosse; Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese, E poi che finalmente mi discese La cara voce al core, e de' cavai Orbo rimaso allor, mi rannicchiai Palpitando nel letto, e chiusi gli occhi, Strinsi il cor con la mano e sospirai. Poscia traendo i tremuli ginocchi Stupidamente per la muta stanza, Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi? Amarissima allor la ricordanza Locommisi nel petto e mi serrava Ad ogni voce il core, a ogni sembianza. E lunga doglia il sen mi ricercava, E nove soli, in questo a pianger nato E tanto amor mi tolse un altro amore? Nè in leggiado soffria nè in turpe volto: Tuttora il sen: chỉ là vergogna il duro Suo morso in queso cor già non oprava. Al cielo, a voi, gentil anime, io giuro Che voglia non m'etrò bassa nel petto, Ch'arsi di foco intaninato e puro. Vive quel foco ancor, vive l'affetto, XI. IL PASSERO SOLITARIO. D'in su la vetta della torre antica Passero solitario, alla campagna Cantando vai finchè non more il gorno; Ed erra l'armonia per questa valle. Primavera d'intorno Brilla nell'aria e per li campi esulta, Non ti cal d'allegria, schiv gli spassi; Dell'anno e di tua vita il più bel fiore. Al tuo costume il mio! Solazzo e riso, E te german di giovineza, amore, Non curo, io non so ome; anzi da loro Quasi romito e strang Al mio loco natio, Passo del viver mio la primavera. La gioventù del loco Lascia le case e per le vie spande; Rimota parte alla campagna uscendo, Indugio in altro tempo: e intanto il guardo Mi fere il Sol che tra lontani monti, Dopo il giorno sereno, Cadendo si dilegua e par che dica Tu, solingo augellin, venuto a sera Non ti dorrai; chè di natura è frutto A me se di vecchiezza La detestata soglia Evitar non impetro, Quando muti questi occhi all'altrui core, Che di quest'anni miei? che di me stesso? Ma sconsolato volgerommi indietro. XII. L'INFINITO. Sempre caro mi fu quest'ermo colle Io nel pensier mi fingo, ove per poco Vo comparando, e mi sovvien l'eterno XIII. LA SERA DEL DÍ di festa. Dolce e chiara è la nottte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi |