Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo E già nel primo giovanil tumulto Pensoso di cessar dentro quell'acqué Lamentai co' silenzi e con la notte Non desta ancora ovver benigna; e quasi Di sventura esser può, se a lui già scorsa Quella vaga stagion, se il suo buon tempo, Se giovinezza, ahi! giovinezza è spenta? O Nerina! e di te forse non odo Questi luoghi parlar? caduta forse Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Chè qui sola di te la ricordanza Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede Questa terra natal: quella finestra Ond' eri usata favellarmi, ed onde Mesto riluce delle stelle il raggio, È deserta. Ove sei, chè più non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, Quando soleva ogni lontano accento Dal labbro tuo ch'a me giungesse, il volto Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Fûro, mio dolce amor. Passasti. Ad altri Il passar per la terra oggi è sortito E l'abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno Fu la tua vita. Ivi danzando, in fronte La gioia ti splendea; splendea negli occhi Quel confidente imaginar, quel lume Di gioventù, quando spegneali il fato, E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna L'antico amor. Se a feste anco talvolta, Se a radunanze io movo, intra me stesso Dico: o Nerina, a radunanze, a feste Tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Van gli amanti recando alle fanciulle, Dico: Nerina mia, per te non torna Primavera giammai, non torna amore. Ogni giorno sereno, ogni fiorita Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento Dico: Nerina or più non gode; i campi, XXIII. CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA ". Che, fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera e vai, Contemplando i deserti, indi ti posi.. Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore, Move la greggia oltre pel campo e vede Greggi, fontane ed erbe, Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo, Con gravissimo fascio in su le spalle, Per sassi acuti ed alta rena e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa L'ora e quando poi gela, Varca torrenti e stagni, Cade, risorge e più e più s'affretta, Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva E dove il tanto affaticar fu vôlto: Ov'ei precipitando, il tutto obblia. È la vita mortale. Nasce l'uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso La madre e il genitore 11 prende a consolar dell'esser nalo. Poi che crescendo viene, L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre Con atti e con parole Studiasi fargli core E consolarlo dell'umano stato: Altro ufficio più grato Non si fa da' parenti alla lor prole. Perchè reggere in vita Chi poi di quella consolar convenga? Perchè da noi si dura? Ma tu mortal non sei, E forse del mio dir poco ti cale. Il patir nostro, il sospirar che sia; E perir della terra e venir meno Il perchè delle cose e vedi il frutto Del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore A chi giovi l'ardore, e che procacci Mille cose sai tu, mille discopri Spesso quand' io ti miro Star cosi muta in sul deserto piano Seguirmi viaggiando a mano a mano; A che tante facelle? Che fa l'aria infinita e quel profondo |