Scendendo immensa piena, Le cittadi che il mar là su l'estremo E infranse e ricoperse In pochi istahti: onde su quelle or pasce Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello Dell'uom più stima o cura Ch' alla formica: e se più rare in quello Non avvien ciò d'altronde Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde. Anni varcâr poi che spariro, oppressi E il villanello, intento Ai vigneti che a stento in questi campi Sospettoso alla vetta Fatal che, nulla mai fatta più mite, Il meschino in sul tetto Dell'ostel villereccio alla vagante Sull' arenoso dorso a cui riluce E di Napoli il porto e Mergellina; Suo nido e il picciol campo Che gli fu dalla fame unico schermo, Che crepitando giunge, e inesorato Dopo l'antica oblivion, l'estinta Scheletro cui di terra Avarizia o pietà rende all'aperto ; Diritto infra le file De' mozzi colonnati il peregrino Ch' alla sparsa ruina ancor minaccia. Per li templi deformi e per le rotte Che per voti palagi atra s'aggiri, Corre il baglior della funerea lava, Che di lontan per l'ombre Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Così, dell'uomo ignara e dell' etadi Ch' ei chiama antiche e del seguir che fanno Dopo gli avi i nepoti, Sta natura ognor verde, anzi procede Che sembra star. Caggiono i regni intanto, E l'uom d'eternità s'arroga il vanto. E tu, lenta ginestra, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Già noto, stenderà l'avaro lembo Ma non piegato insino allora indarno E la sede e i natali Non per voler ma per fortuna avesti; Meno inferma dell'uom, quando le frali O dal fato o da te fatte immortali. Giovinezza sparì, non si colora D'altra luce giammai nè d'altra aurora. Segno poser gli dêi la sepoltura. XXXIV. LA GINESTRA. O IL FIORE DEL DESERTO. Καὶ ηγάπησαν οἱ άνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς. E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce. GIOVANNI, III, 19. Qui su l'arida schiena Del formidabil monte La qual null'altro allegra arbor nè fiore, Tuoi cespi solitari intorno spargi, Odorata ginestra, Contenta dei deserti. Anco ti vidi De' tuoi steli abbellir l'erme contrade Che cingon la cittade, La qual fu donna de' mortali un tempo Par che col grave e taciturno aspetto Lochi e dal mondo abbandonati amante, Di ceneri infeconde e ricoperti Che sotto i passi al peregrin risona, Cavernoso covil torna il coniglio, E biondeggiår di spiche, e risonaro Fûr giardini e palagi, Agli ozi de' potenti Gradito ospizio; e fûr città famose Dove tu siedi, o fior gentile, e, quasi Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto All'amante natura. E la possanza Anco estimar potrà dell'uman seme, Poco men lievi ancor subitamente Annichilare in tutto. Dipinte in queste rive LEOPARDI, Poesie. |