Scendendo immensa piena, Le cittadi che il mar là su l'estremo E infranse e ricoperse In pochi istanti: onde su quelle or pasce Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello Dell'uom più stima o cura Ch' alla formica: e se più rare in quello Non avvien ciò d'altronde Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde. Anni varcâr poi che spariro, oppressi Dall' ignea forza, i popolati seggi, Ai vigneti che a stento in questi campi Sospettoso alla vetta Fatal che, nulla mai fatta più mite, Il meschino in sul tetto Dell'ostel villereccio alla vagante Sull' arenoso dorso a cui riluce E di Napoli il porto e Mergellina; Suo nido e il picciol campo Che gli fu dalla fame unico schermo, Che crepitando giunge, e inesorato Dopo l'antica oblivion, l'estinta Scheletro cui di terra Avarizia o pietà rende all'aperto; Diritto infra le file De' mozzi colonnati il peregrino Ch' alla sparsa ruina ancor minaccia. Per li vacui teatri, Per li templi deformi per le rotte Case, ove i parti il pipistrello asconde, Come sinistra face Che per voti palagi atra s'aggiri, Corre il baglior della funerea lava, Che di lontan per l'ombre Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Così, dell'uomo ignara e dell' etadi Ch' ei chiama antiche e del seguir che fanno Dopo gli avi i nepoti, Sta natura ognor verde, anzi procede Che sembra star. Caggiono i regni intanto, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Già noto, stenderà l'avaro lembo Ma non piegato insino allora indarno E la sede e i natali Non per voler ma per fortuna avesti; Meno inferma dell'uom, quando le frali O dal fato o da te fatte immortali. Là dov'io nacqui mi divise il vento. Esso, tornando, a volo Dal bosco alla campagna, Dalla valle mi porta alla montagna, Seco perpetuamente Vo pellegrina e tutto l'altro ignoro. Vo dove ogni altra cosa, Dove naturalmente Va la foglia di rosa E la foglia d'alloro. XXXVI. SCHERZO. Quando fanciullo io venni La mi condusse intorno Mostrommi a parte a parte Ei servigi diversi A che ciascun di loro S'adopra nel lavoro Io mirava e chiedea: Musa, la lima ov'è? Disse la dea: La lima è consumata; or facciam senza. Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca? XXXVII. FRAMMENTI. ALCETA. Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno Che quanto nel cader s'approssimava, Si forte come quando un carbon vivo Nell'acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo E ne fumavan l'erbe intorno intorno. |