Allor mirando in ciel, vidi rimaso Come un barlume, o un'orma, anzi una nicchia, Ond'ella fosse svelta, in cotal guisa Ch'io n'agghiacciava; e ancor non m'assicuro. MELISSO. E ben hai che temer, chè agevol cosa ALCETA. Chi sa? non veggiam noi spesso di state MELISSO. Egli ci ha tante stelle XXXVIII: Io qui, vagando al limitare intorno, Pure il vento muggia nella foresta, O care nubi, o cielo, o terra, o piante, O turbine, or ti sveglia, or fate prova S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto XXXIX. Spento il diurno raggio in occidente, Quand'ella, vólta all'amorosa meta, In questa ombra giacea la valle bruna, E i collicelli intorno rivestia Del suo candor la rugiadosa luna. Sola tenea la taciturna via La donna, e il vento, che gli odori spande, Se lieta fosse, è van che tu dimande: Un nugol torbo, padre di procella, Spiegarsi ella il vedea per ogni canto E salir su per l'aria a poco a pocoE far sovra il suo capo a quella ammanto. Veniva il poco lume ognor più fioco; E intanto al bosco si destava il vento, Al bosco là del dilettoso loco. E si fea più gagliardo ogni momento, Tal che a forza era desto e svolazzava Tra le frondi ogni augel per lo spavento. E la nube, crescendo, in giù calava Si che i panni e le chiome ivano addietro. E il tuon veniale incontro come fera, E d'ogni intorno era terribil cosa Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno, Ma nella vista ancor l'era il baleno Ardendo si ch'alfin dallo spavento Fermò l'andare, e il cor le venne meno. E si rivolse indietro. E in quel momento Si spense il lampo, e tornò buio l'etra, Ed acchetossi il tuono, e stette il vento. Taceva il tutto; ed ella era di pietra. XL. DAL GRECO DI SIMONIDE. Ogni mondano evento È di Giove in poter, di Giove, o figlio, Ogni cosa dispone. Ma di lunga stagione Nostro cieco pensier s'affanna e cura, Benchè l'umana etate, Come destina il ciel nostra ventura, Di giorno in giorno dura. La bella speme tutti ci nutrica Di sembianze beate, Onde ciascuno indarno s'affatica: Altri l'aurora amica, Altri l'etade aspetta; E nullo in terra vive Cui nell'anno avvenir facili e pii Con Pluto gli altri iddii La mente non prometta. Ecco pria che la speme in porto arrive, Qual da vecchiezza è giunto E qual da morbi al bruno Lete addutto; I miseri mortali Volgo fiero e diverso agita e strugge. Uom saggio e sciolto dal comune errore Nè porrebbe al dolore Ed al mal proprio suo cotanto amore. XLI. DELLO STESSO. Umana cosa picciol tempo dura, Disse il veglio di Chio, Figlia di giovin core, Tutti prestiam ricetto. Di nostra etade acerba L'alma vota e superba |