Di Roma là sotto l'eccelse moli, Pigmeo, la fronte spensierata alzando, Percote i monumenti al mondo soli Con sua verghetta il corpo dondolando; E con suoi motti par che si consoli, La rimembranza del servir cacciando. Ed è ragion ch'a una grandezza tale L'inimicizia altrui segua immortale.
Ma Rubatocchi, poi che della cura Gravato fu delle compagne genti, Fece il campo afforzar, perchè sicura Da inopinati assalti e da spaventi Fosse la notte; e poi di nutritura Giovare ai corpi tremuli e languenti. Facil negozio fu questo secondo, Perchè topi a nutrir tutto è fecondo. Poscia mestier gli parve all'odiato Esercito spedir subito un messo A dimandar perchè, non provocato, Contro lor nella zuffa s'era messo; Se ignaro delle rane, o collegato, Se per error, se per volere espresso, Se gir oltre o tornar nella sua terra, Se volesse da' topi o pace o guerra.
Era nel campo il conte Leccafondi, Signor di Pesafumo e Stracciavento; Topo raro a' suoi di, che di profondi Pensieri e di dottrina era un portento: Leggi e stati sapea d'entrambi i mondi, E giornali leggea più di dugento;
Al cui studio in sua patria aveva eretto, Siccom' oggi diciamo, un gabinetto.
Gabinetto di pubblica lettura,
Con legge tal che, da giornali in fuore, Libro non s'accogliesse in quelle mura Che di due fogli al più fosse maggiore;
Perchè credea che sopra tal misura Stender non si potesse uno scrittore Appropriato ai bisogni universali Politici, economici e morali.
Pur, dagli amici in parte e dalle stesse Proprie avvertenze a poco a poco indotto, Anche al romanzo storico concesse Albergar coi giornali e che per otto Volumi o dieci camminar potesse;
E in fin, come dimostro è da quel dotto Scrittor che sopra in testimonio invoco, Alla tedesca poesia diè loco.
La qual d'antichità supera alquanto Le semitiche varie e la sanscrita,
E parve al conte aver per proprio vanto Sola il buon gusto ricondurre in vita Contro il fallace oraziano canto, A studio, per uscir dalla via trita, Dando tonni al poder, montoni al mare; Gran fatica e di menti al mondo rare.
D'arti tedesche ancor fu innamorato, E chiamavale a sè con gran mercede: Perchè, giusta l'autor sopra citato, Non eran gli obelischi ancor in piede, Nè piramide il capo avea levato
Quando l'arti in Germania avean lor sede, Ove il senso del bello esser più fino Veggiam che fu nel greco nel latino.
La biblioteca ch'ebbe era guernita Di libri di bellissima sembianza, Legati a foggia varia e sì squisita, Con oro, nastri ed ogni circostanza, Ch'a saldar della veste la partita Quattro corpi non eran abbastanza, Ed era ben ragion, chè in quella parte Stava l'utilità, non nelle carte.
Lascio il museo, l'archivio e delle fiere Il serbatoio e l'orto delle piante
E il portico, nel quale era a vedere, Con baffi enormi e coda di gigante, La statua colossal di Lucerniere, Antico topolin, filosofante,
E dello stesso una pittura a fresco Pur di scalpello e di pennel tedesco, Fu di sua specie il conte assai pensoso, Filosofo morale e filotopo;
E natura lodò che il suo famoso Poter mostri quaggiù formando il topo, Di cui l'opre, l'ingegno e il glorioso Stato ammirava; e predicea che dopo Non molto lunga età saria matura L'alta sorte che a lui daya natura. Però mai sempre a cor fugli il perenne Progresso del topesco intendimento, Che aspettar sopra tutto dalle penne Ratte de' giornalisti era contento; E profittare a quel sempre sostenné Ipotesi, sistemi e sentimento; E spegnere o turbar la conoscenza Analisi, ragione e sperienza.
Buon topo d'altra parte e da qualunque Filosofale ipocrisia lontano
E schietto in somma e veritier quantunque Ne' maneggi nutrito e cortigiano; Popolar per affetto e da chiunque Trattabil sempre e, se dir lice, umano; Poco d'oro, e d'onor molto curante, E generoso e della patria amante.
Questi al re de' ranocchi, ambasciatore Del proprio re, s'era condotto, avanti Che tra' due regni il militar furore Gli amichevoli nodi avesse infranti:
E com'arse la guerra, appo il signore Suo ritornato, dimorò tra' fanti E sotto tende, insin che tutto il campo Dal correr presto procacciò lo scampo.
Ora ai compagni, ricercando a quale Fosse in nome comun l'uffizio imposto Che del campo de' granchi al generale Gisse oratore e che per gli altri tosto D'ovviar s'ingegnasse a novo male, Nessun per senno e per virtù disposto Parve a ciò più del conte, il qual di stima Tenuto era da tutti in su la cima.
Cosi da quelle schiere, a prova eretto L'un piè di quei dinanzi, all'uso antico, Fu, per parer di ciascheduno, eletto Messagger dell'esercito al nemico.
Nè ricusò l'uffizio, ancor ch'astretto Quindi a gran rischio; in campo ostil, mendico D'ogni difesa, andar fra sconoscenti D'ogni modo e ragion dall'altre genti. E sebben lassa la persona e molto Di posa avea mestier, non però volle Punto indugiarsi al dipartir: ma, côlto Brevissimo sopor su l'erba molle, Sorse a notte profonda e, seco tolto Pochi servi de' suoi, tacito il colle Lasciando tutto e sonnolento, scese E per l'erma campagna il cammin prese.
Lascio il museo, l'archivio e delle fiere Il serbatoio e l'orto delle piante
E il portico, nel quale era a vedere, Con baffi enormi e coda di gigante, La statua colossal di Lucerniere, Antico topolin, filosofante,
E dello stesso una pittura a fresco Pur di scalpello e di pennel tedesco, Fu di sua specie il conte assai pensoso, Filosofo morale e filotopo;
E natura lodò che il suo famoso Poter mostri quaggiù formando il topo, Di cui l'opre, l'ingegno e il glorioso Stato ammirava; e predicea che dopo Non molto lunga età saria matura L'alta sorte che a lui daya natura. Però mai sempre a cor fugli il perenne Progresso del topesco intendimento, Che aspettar sopra tutto dalle penne Ratte de'giornalisti era contento; E profittare a quel sempre sostenné Ipotesi, sistemi e sentimento; E spegnere o turbar la conoscenza Analisi, ragione e sperienza.
Buon topo d'altra parte e da qualunque Filosofale ipocrisia lontano
E schietto in somma e veritier quantunque Ne' maneggi nutrito e cortigiano; Popolar per affetto e da chiunque Trattabil sempre e, se dir lice, umano; Poco d'oro, e d'onor molto curante, E generoso e della patria amante.
Questi al re de' ranocchi, ambasciatore Del proprio re, s'era condotto, avanti Che tra' due regni il militar furore Gli amichevoli nodi avesse infranti:
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