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CANTO QUARTO

Maraviglia talor per avventura,
Leggitori onorandi e leggitrici,
Cagionato v'avrà questa lettura;
E come son degli uomini i giudici
Facili per usanza e per natura,
Forse, benchè benevoli ed amici,

Più di un pensiero in mente avrete accolto
Ch'essere ió deggia o menzognero e stolto;
Perchè le cose del topesco regno,
Che son per vetustà da noi lontane
Tanto che, come appar da più d'un segno,
Agguaglian le antichissime indiane,
I costumi, il parlar, l'opre, l'ingegno
E l'infime faccende e le sovrane,
Quasi ieri o l'altr'ier fossero state,
Simili a queste nostre ho figurate.

Ma con la maraviglia ogni sospetto
Come una nebbia vi torrà di mente
Il legger, s'anco non avete letto,
Quel che i savi han trovato ultimamente,
Speculando col semplice intelletto
Sopra la sorte dell'umana gente,
Che d'Europa il civil presente stato
Debbe ancor primitivo esser chiamato.

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E che quei che selvaggi il volgo appella,
Che nei più caldi e nei più freddi liti,
Ignudi al sole, al vento, alla procella,
E sol di tetto natural forniti,

Contenti son, da poi che la mammella
Lasciâr, d'erbe e di vermi esser nutriti,
Temon l'aure e le frondi e che disciolta
Dal sol non caggia la celeste volta,
Non vita naturale e primitiva
Menan, come fin qui furon creduti,
Ma per corruzion si difettiva,
Da una perfetta civiltà caduti,
Nella qual come in propria ed in nativa
I padri dei lor padri eran vissuti,
Perchè stato si reo come il selvaggio
Estimar natural non è da saggio:

Non potendo mai star che la natura,
Che al ben degli animali è sempre intenta,
E più dell' uom, che principal fattura
Esser di quella par che si consenta
Da tutti noi, si povera e' si dura
Vita, ove pur pensando ei si sgomenta,
Come propria e richiesta e conformata
Abbia al genere uman determinata..

Nè manco sembra che possibil sia Che lo stato dell'uom vero e perfetto Sia posto in capo di sì lunga via Quanta a farsi civile appar costretto Il gener nostro a misurare in pria, U'son cent'anni un di quanto all'effetto, Si lento è il suo cammin per quelle strade Che il conducon dal bosco a civiltade. Perchè ingiusto e crudel sarebbe stato Nè per modo nessun conveniente Che all'infelicità predestinato,

Non per suo vizio o colpa, anzi innocente,

Per ordin primo e natural suo fato,
Fosse un numero tal d'umana gente
Quanta nascer convenne e che morisse
Prima che a civiltà si pervenisse.

Resta che il viver zotico e ferino
Corruzion si creda e non natura,
E che ingiuria facendo al suo destino
Caggia quivi il mortal da grande altura;
Dico dal civil grado, ove il divino
Senno avea di locarlo avuto cura:

Perchè, se al ciel non vogliam fare oltraggio,
Civile ei nasce e poi divien selvaggio.
Questa conclusion, che, aucor che bella,
Parravvi alquanto inusitata e strana,
Non d'altronde provien se non da quellaj
Forma di ragionar diritta e sana
Ch'a priori in iscola ancor s'appella,
Appo cui ciascun'altra oggi par vana,
La qual per certo alcun principio pone,
E tutto l'altro a quel piega e compone.
Per certo si suppon che intenta sia
Natura sempre al ben degli animali,
E che l'ami di cor, come la pia
Chioccia fa del pulcin ch' ha sotto l'ali:
E vedendosi al tutto acerba e ría

La vita esser che al bosco hanno i mortali,
Per forza si conchiude in buon latino

Che la città fu pria del cittadino.

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Se libere le menti e preparate

Fossero a ciò che i fatti e la ragione
Sapessero insegnar, non inchinate
A questa più che a quella opinione,
Se natura chiamar d'ogni pietate
E di qual s'è cortese affezione
Sapesser priva, e de' suoi figli antica
E capital carnefice e nemica;

O se piuttosto ad ogni fin rivolta

Che al nostro che diciamo o bene o male;
E confessar che de' suoi fini è tolta
La vista al riguardar nostro mortale,
Anzi il saper se non da fini sciolta
Sia veramente e se ben v'abbia e quale;
Diremmo ancor con ciascun'altra etade
Che il cittadin fu pria della cittade
Non è filosofia se non un' arte
La qual di ciò che l'uomo è risoluto
Di creder circa a qualsivoglia parte,
Come meglio alla fin l'è conceduto,
Le ragioni assegnando, empie le carte
O le orecchie talor per instituto,

Con più d'ingegno o men, giusta il potere
Che il maestro o l'autor si trova avere.
Quella filosofia dico che impera
Nel secol nostro senza guerra alcuna,
E che con guerra più o men leggiera
Ebbe negli altri non minor fortuna,
Fuor nel prossimo a questo, ove, se intera
La mia mente oso dir, portò ciascuna
Facoltà nostra a quelle cime il passo
Onde tosto inchinar l'è forza al basso.
In quell'età, d'un'aspra guerra in onta,
Altra filosofia regnar fu vista.

A cui dinanzi valorosa e pronta
L'età nostra arretrossi appena avvista
Di ciò che più le spiace e, che più monta,
Esser quella in sostanza amara e trista;
Non che i principii in lei nè le premesse
Mostrar false da sè ben ben sapesse;

Ma false o vere, ma disformi o belle
Esser queste si fosse o no mostrato,
Le conseguenze lor non eran: quelle
Che l'uom d'aver per ferme ha decretato,

E che per ferme avrà fin che le stelle
D'orto in occaso andran pel cerchio usato;
Perchè tal fede in tali o veri o sogni
Per sua quiete par che gli bisogni.

Ed ancor più, perchè da lunga pezza
È la sua mente a cotal fede usata,
Ed ogni fede a che sia quella avvezza
Prodotta par da coscienza innata:
Che come subl con grande agevolezza
L'usanza con natura esser cangiata,
Così vien facilmente alle persone
Presa l'usanza lor per la ragione.

Ed imparar cred' io che le più volte
Altro non sia, se ben vi si guardasse,
Che un avvedersi di credenze stolte
Che per lungo portar l'alma contrassé,
E del fanciullo racquistar con molte
Cure il saper che a noi l'età sottrasse;
Il qual già più di noi non sa nè vede
Ma di veder nè di saper non crede.

Ma noi, s'è fuor dell'uso, ogni pensiero, Assurdo giudichiam tosto in effetto,

Nè pensiam ch'un assurdo il mondo e il vero
Esser potrebbe al fral nostro intelletto;
E mistero gridiam, perch' a mistero
Riesce ancor qualunque uman concetto;
Ma i misteri e gli assurdi entro il cervello
Vogliam foggiarci come a noi par bello.

Or, leggitori miei, scendendo al punto
Al qual per lunga e tortuosa via,

Sempre pure intendendo, ecco son giunto,
Potete omai veder che non per mia

Frode o sciocchezza avvien che tali appunto
Si pingan nella vostra fantasia

De' topi gli antichissimi parenti

Quali i popoli son che abbiam presenti.

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