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Che il poter ch'era in lui senza riserbo
Partir con Giove indegno avria creduto.
Se carta alcun sognò dentro il suo regno,
Egli in punirlo esercitò l'ingegno.

E cura avea che veramente fosse
Con perfetto rigor la pena inflitta
Nè dalle genti per pietà commosse
Qualche parte di lei fosse relitta,
E il numero e il tenor delle percosse
Ricordava e la verga a ciò prescritta.
Buon sonator per altro, anzi divino,
La corte il dichiarò di violino.

Questi, poichè con involute e vaghe
Risposte ebbe gran tempo ascoso il vero,
Al capitan di quei che doppie paghe
Già da' topi esigean senza mistero
Ammessi senza pugna e senza piaghe
Mandò, quando gli parve, un suo corriero.
Avea quel capitan fra i parlatori

Della gente de' granchi i primi onori:
Forte ne' detti si che per la forte
Loquela il dimandâr Boccaferrata,
Il qual venuto alle reali porte
Chiese udienza insolita e provata.
Ed intromesso, fe, come di corte,
Reverenza, per granchio, assai garbata:
Poi disse quel che, riposato alquanto,
Racconterò, lettor, nell'altro canto

CANTO QUINTO.

Signor, disse, chè tale esser chiamato Dei pel sangue che porti entro le vene, Il qual certo sappiam che derivato Da sorgente real ne' tuoi perviene, E perchè di sposar fosti degnato Colei che sola in vita ancor mantiene, Caduti tutti gli altri augusti frutti, La famiglia del re Mangiaprosciutti ; Degno quant'altro alcun di regio trono T'estima il signor mio per ogni punto, Ma il sentiero, a dir ver, crede non buono Per cui lo scettro ad impugnar sei giunto. Tai che a poter ben darlo atti non sono T'hanno ai ben meritati onori assunto; Ma re fare o disfar, come ben sai, Altro che ai re non s'appartenne mai. Se vedovo per morte il seggio resta Che legittimamente era tenuto, Nè la succession sia manifesta Per discendenza o regio altro statuto, Nè men per testamento in quella o questa Forma dal morto re sia provveduto, Spontaneamente al derelitto regno S'adopran gli altri re di por sostegno:

O un successor è dato a quella sede
Che sia da lor concordemente eletto,
O partono essi ro pieni di fede
L'orbo stato fra lor con pari affetto,
O chi prima il può far primo succede,
Per lo più chi più forte è con effetto,
Cause genealogiche allegando
E per lo più con l'arme autenticando.

Re novo di lor man pesato e scosso
Dare i sudditi a sè non fur mai visti,
Nè fôra assurdo al mio parer men grosso
Che se qualche lavor de' nostri artisti,
Come orologio da portare indosso,
O cosa tal che per danar s'acquisti,
Il compratore elegger si vedesse
Che lei portare e posseder potesse.
Negli scettri non han ragione o voto
1 popoli nessuno o ne' diademi,

Ch'essi non fêr, ma Dio, siccome è noto.
Anzi s'anco talvolta in casi estremi
Resta il soglio deserto non che vôto
Per popolari fremiti per semi
D'ire o per non so qual malinconia,
Onde spenta riman la monarchia,

Al popol che di lei fu distruttore
Cercan rimedio ancor l'altre corone
E legittimo far quel mal umore
Quasi e rettificar l'intenzione,
Destinato da lor nuovo signore

Dando a quel con le triste o con le buone; Nè sopportan giammai che da sè stesso Costituirsi un re gli sia concesso.

Che se pur fu da Brancaforte ingiunto A' tuoi di provveder d'un re novello, Non volea questo dir ch' eletto a punto Fosse il creato re questo nè quello;

Ma non altro dar lor se non l'assunto
Che i più capaci del real mantello
Proponessero a piè de' potentati,
Che gli avriano a bell' agio esaminati.

Or dunque, avendo alla virtù rispetto,
Signor, che manifesta in te dimora,
E sopra tutto a quei che prima ho detto
Pregi onde teco il gener tuo s'onora,
Non della elezïon sola il difetto
Supplire ed emendar, ma vuole ancora
La maestà del mio padrone un segno
Darti dell' amor suo forse più degno.

Perchè non pur con suo real diploma, Che valevol fia sempre ancor che tardo, E di color che collegati ei noma,

Che il daran prontamente a suo riguardo,
Riponendoti il serto in sulla chioma,
Legittimo farà quel che bastardo,
Chè legittimità, cosa volante,

Vien dal cielo o vi riede in un istante:
Ma il poco onesto e non portabil patto
Che il popolo a ricever ti costrinse,
A cui ben vede il mio signor che un atto
Discorde assai dal tuo voler t'avvinse,
Sconcio, a dir vero, e tal che quasi affatto
La maestà di questo trono estinse,
A potere annullar de' topi in onta
Compagnia t'offerisce utile e pronta.
Non solo i nostri trentamila forti
Che nel suo nome tengono il castello
Alla bell' opra ti saran consorti
Di render lustro al tuo real cappello,
Ma cinquecentomila che ne' porti

De' ranocchi hanno stanza, io vo' dir quello
Esercito già noto a voi che sotto

Brancaforte in quei lochi s'è ridotto,

E che per volontà del signor nostro Cosi fermato in prossime contrade Aspetta per veder nel regno vostro Che movimenti o cosa nova accade, Tosto che un cenno tuo gli sarà mostro, Il cammin prenderà della cittade, Dove i topi o ravvisti o con lor danno A servir prestamente torneranno.

Fatto questo, il diploma a te spedito Sarà, di quel tenor che si conviene. E un patto fra' due re fia stabilito Quale ambedue giudicherete bene. Ma troppo oggi saria diminuito L'onor che fra i re tutti il mio ritiene, Se un accordo da lui si confermasse Che con suddita plebe altri contrasse.

Nè certo ei sosterrà che d'aver fatto Onta agli scettri il popol tuo si vanti, E, che che avvenga, il disdicevol patto Che tutti offender sembra i dominanti Combatterà finchè sarà disfatto, Tornando la città qual era innanti. Questa presso che ostil conclusione Ebbe del capitan l'orazione.

Rispose Rodipan che udir solea
Che stil de' granchi era cangiare aspetto
Secondo i tempi, e che di ciò vedea
Chiara testimonianza or per effetto,
Essendo certo che richiesto avea
Senzacapo che un re subito eletto
Fosse da' topi allor che aveva temenza
D'altra più scandalosa esperienza:

Che stato franco avessero anteposto
A monarchia di qualsivoglia sorte,
E che l'esempio loro avesse posto
Desiderio in altrui d'un' ugual sorte,

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