Non era il festeggiar finito ancora Quando giunse dal campo il messaggero, Non aspettato omai, chè la dimora Sua lunga aveane sgombro ogni pensiero; Nè desiato più, chè insino allora Soleano i sogni più gradir che il vero.. Sogni eran gli ozii brevi e l'allegria Vêr ciò che il conte a riportar venía. Immantinente poi che divulgato Fu per fama in Topaia il suo ritorno, Interrotto il concorso ed acchetato Il giulivo rumor fu d'ogni intorno. Tristo annunzio parea quel che bramato E sospirato avean pur l'altro giorno, Perchè già per oblio fatte sicure Destava l'alme ai dubbi ed alle cure. Prestamente il legato a Rodipane L'umor del granchio e l'aspre leggi espose, E nel maggior consiglio la dimane Per mandato del re, l'affar propose. Parver l'esposte leggi iniqui e strane,. Fatti soprà vi fur commenti e chiose; Alfin, per pace aver dentro e di fuore, A tutto consentir parve il migliore.
Tornò nel campo ai rigidi contratti Il conte con famigli e con arnesi, E l'accordo fermò secondo i patti Che già per le mie rime avete intesi. Soscriver non sapea nè legger gli atti Il granchio, arti discare a' suoi paesi; Ma lesse e confermò con la sua mano Un ranocchio che allor gli era scrivano. Ratto uno stuol di trentamila lanzi Vêr Topaia lietissimo si mosse, A doppie paghe e più che doppi pranzi, Benchè rato l'accordo ancor non fosse;
E nella terra entrò, dietro e dinanzi Schernito per le vie con le più grosse Beffe che imaginar sapea ciascuno, Non s'avvedendo quelli in modo alcuno. Nel superbo castel furo introdotti, Dove, l'insegna lor piantata e sciolta, Poser man a vôtar paiuoli e botti, E sperar pace i topi un'altra volta. Lieti i giorni tornâr, liete le notti, Ch'ambo sovente illuminar con molta Spesa fece il comun per l'allegria Dell'acquistata nova monarchia.
Ma, quel che più rileva, a far lo stato Prospero quanto più far si potesse Del popolo in comune e del privato, Fama è che cordialmente il re si desse; Il qual, subito poi che ritornato Fu Leccafondi, consiglier lo elesse, Ministro dell'interno e principale Strumento dell'impero in generale.
Questi a rimover l'ombra ed all'aumento Di civiltà rivolse ogni sua cura, Sapendo che con altro fondamento Prosperità di regno in piè non dura, E che civile e saggia il suo contento La plebe stessa ed il suo ben procura Meglio d'ogni altro, nè favor nè dono Fuor ch'esser franca gli è mestier dal trono. E bramò che sapesse il popol tutto Leggere e computar per disciplina, Stimando ciò, cred'io, maggior costrutto Che non d'Enrico quarto la gallina. Quindi nella città fe da per tutto Tante scole ordinar che la mattina Piazze, portici e vie per molti di Non d'altro risonâr che d'a, bi, ci,
Crescer più d'una cattedra o lettura Anco gli piacque a ciaschedun liceo, Con più dote che mai per avventura Non ebbe professor benchè baggeo. Dritto del topo, dritto di natura Ed ogni dritto antegiustinianeo, E fuvvi col civil, col criminale, Esposto il dritto costituzionale.
E già, per la fidanza ond'è cagione All'alme un convenevol reggimento, D'industria a rifiorir la nazione Cominciava con presto accrescimento. Compagnie di ricchissime persone Cercar di grandi spese emolumento; D'orti, bagni, ginnasi a ciascun giorno Vedevi il loco novamente adorno. Vendite nuove ed utili officine Similmente ogni di si vedean porre, Merci del loco e merci pellegrine In copia grande ai passeggeri esporre, Stranie comodità far cittadine,
Novi teatri il popolo raccorre,
Qui strade a racconciar la plebe intenta, Là d'un palagio a por le fondamenta. Concorde intanto la città con bianchi Voti il convegno ricevuto avea,
E che di quello dal signor de' granchi Fosse fatto altrettanto si credea.
Andando e ritornando eran già stanchi Più messi, e nulla ancor si conchiudea, Tanto che in fin dei principali in petto Nascea, benchè confuso, alcun sospetto. Senzacapo, re granchio, il più superbo De' prenci di quel tempo era tenuto, Nemico ostinatissimo ed acerbo Del nome sol di carta e di statuto,
Che il poter ch'era in lui senza riserbo Partir con Giove indegno avria creduto. Se carta alcun sognò dentro il suo regno, Egli in punirlo esercitò l'ingegno.
E cura avea che veramente fosse Con perfetto rigor la pena inflitta Nè dalle genti per pietà commosse Qualche parte di lei fosse relitta, E il numero e il tenor delle percosse Ricordava e la verga a ciò prescritta. Buon sonator per altro, anzi divino, La corte il dichiarò di violino.
Questi, poichè con involute e vaghe Risposte ebbe gran tempo ascoso il vero, Al capitan di quei che doppie paghe Già da' topi esigean senza mistero Ammessi senza pugna e senza piaghe Mandò, quando gli parve, un suo corriero. Avea quel capitan fra i parlatori Della gente de' granchi i primi onori: Forte ne' detti si che per la forte Loquela il dimandâr Boccaferrata, Il qual venuto alle reali porte Chiese udienza insolita e provata. Ed intromesso, fe, come di corte, Reverenza, per granchio, assai garbata: Poi disse quel che, riposato alquanto, Racconterò, lettor, nell'altro canto
Signor, disse, chè tale esser chiamato Dei pel sangue che porti entro le vene, Il qual certo sappiam che derivato Da sorgente real ne' tuoi perviene, E perchè di sposar fosti degnato Colei che sola in vita ancor mantiene, Caduti tutti gli altri augusti frutti, La famiglia del re Mangiaprosciutti ; Degno quant'altro alcun di regio trono T'estima il signor mio per ogni punto, Ma il sentiero, a dir ver, crede non buono Per cui lo scettro ad impugnar sei giunto. Tai che a poter ben darlo atti non sono T'hanno ai ben meritati onori assunto; Ma re fare o disfar, come ben sai, Altro che ai re non s'appartenne mai. Se vedovo per morte il seggio resta Che legittimamente era tenuto, Nè la succession sia manifesta Per discendenza o regio altro statuto, Nè men per testamento in quella o questa Forma dal morto re sia provveduto, Spontaneamente al derelitto regno S'adopran gli altri re di por sostegno:
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