O un successor è dato a quella sede Che sia da lor concordemente eletto, O partono essi ro pieni di fede L'orbo stato fra lor con pari affetto, O chi prima il può far primo succede, Per lo più chi più forte è con effetto, Cause genealogiche allegando E per lo più con l'arme autenticando.
Re novo di lor man pesato e scosso Dare i sudditi a sè non fur mai visti, Nè fôra assurdo al mio parer men grosso Che se qualche lavor de' nostri artisti, Come orologio da portare indosso, O cosa tal che per danar s'acquisti, Il compratore elegger si vedesse Che lei portare e posseder potesse. Negli scettri non han ragione o voto 1 popoli nessuno o ne' diademi,
Ch'essi non fêr, ma Dio, siccome è noto. Anzi s'anco talvolta in casi estremi Resta il soglio deserto non che vôto Per popolari fremiti e per semi D'ire o per non so qual malinconia, Onde spenta riman la monarchia,
Al popol che di lei fu distruttore Cercan rimedio ancor l'altre corone E legittimo far quel mal umore Quasi e rettificar l'intenzïone, Destinato da lor nuovo signore
Dando a quel con le triste o con le buone; Nè sopportan giammai che da sè stesso Costituirsi un re gli sia concesso.
Che se pur fu da Brancaforte ingiunto A' tuoi di provveder d'un re novello, Non volea questo dir ch' eletto a punto Fosse il creato re questo nè quello;
Ma non altro dar lor se non l'assunto Che i più capaci del real mantello Proponessero a piè de' potentati, Che gli avriano a bell' agio esaminati. Or dunque, avendo alla virtù rispetto, Signor, che manifesta in te dimora, E sopra tutto a quei che prima ho detto Pregi onde teco il gener tuo s' onora, Non della elezion sola il difetto
Supplire ed emendar, ma vuole ancora La maestà del mio padrone un segno Darti dell' amor suo forse più degno. Perchè non pur con suo real diploma, Che valevol fia sempre ancor che tardo, E di color che collegati ei noma,
Che il daran prontamente a suo riguardo, Riponendoti il serto in sulla chioma, Legittimo farà quel che bastardo, Chè legittimità, cosa volante,
Vien dal cielo o vi riede in un istante: Ma il poco onesto e non portabil patto Che il popolo a ricever ti costrinse, A cui ben vede il mio signor che un atto Discorde assai dal tuo voler t'avvinse, Sconcio, a dir vero, e tal che quasi affatto La maestà di questo trono estinse, A potere annullar de' topi in onta Compagnia t'offerisce utile e pronta. Non solo i nostri trentamila forti Che nel suo nome tengono il castello Alla bell' opra ti saran consorti Di render lustro al tuo real cappello, Ma cinquecentomila che ne' porti
De' ranocchi hanno stanza, io vo' dir quello Esercito già noto a voi che sotto
Brancaforte in quei lochi s'è ridotto,
E che per volontà del signor nostro Così fermato in prossime contrade Aspetta per veder nel regno vostro Che movimenti o cosa nova accade, Tosto che un cenno tuo gli sarà mostro, Il cammin prenderà della cittade, Dove i topi o ravvisti o con lor danno A servir prestamente torneranno.
Fatto questo, il diploma a te spedito Sarà, di quel tenor che si conviene. E un patto fra' due re fia stabilito Quale ambedue giudicherete bene. Ma troppo oggi saria diminuito L'onor che fra i re tutti il mio ritiene, Se un accordo da lui si confermasse Che con suddita plebe altri contrasse.
Nè certo ei sosterrà che d'aver fatto Onta agli scettri il popol tuo si vanti, E, che che avvenga, il disdicevol patto Che tutti offender sembra i dominanti Combatterà finchè sarà disfatto, Tornando la città qual era innanti. Questa presso che ostil conclusione Ebbe del capitan l'orazione.
Rispose Rodipan che udir solea Che stil de' granchi era cangiare aspetto Secondo i tempi, e che di ciò vedea Chiara testimonianza or per effetto, Essendo certo che richiesto avea Senzacapo che un re subito eletto Fosse da' topi allor che aveva temenza D'altra più scandalosa esperienza:
Che stato franco avessero anteposto A monarchia di qualsivoglia sorte, E che l'esempio loro avesse posto Desiderio in altrui d'un' ugual sorte,
La qual sospizion come più tosto S'avea tolta dal cor di Brancaforte Condannava i trattati, e i chiari detti Torceva a inopinabili concetti.
Privo l'accordo del real suggello Nè re de'topi alcun riconosciuto, A sè poco gravar, ma che il castello Con maraviglia grande avria veduto Da genti granchie ritener che in quello Entrar per solo accordo avean potuto, Se non sapesse ai popoli presenti Esser negati i dritti delle genti;
Anzi i dritti comuni e di natura: Perchè frode, perfidia e qual si sia Pretta, solenne, autentica impostura È cosa verso lor lecita e pia,
E quelli soppiantar può con sicura Mente ogni estrania o patria monarchia, Che popol nessum tornan tutt' uno, Se intier l'ammazzi, non ammazzi alcuno. Quanto al proposto affar, che interrogato Capo per capo avria la nazione,
Non essendo in sua man circa lo stato Prender da sè deliberazione,
E che quel che da lei fosse ordinato Faria come per propria elezione, Caro avendo osservar, poi che giurollo, Lo statuto. E ciò detto, accommiatollo. L'altra mattina al general consiglio Il tutto riferi personalmente,
E la grandezza del comun periglio Espose e ragionò distesamente,
E trovar qualche via, qualche consiglio, Qualche provvision conveniente Spesse volte inculcò, quasi sapesse Egli una via, ma dir non la volesse.
Arse d'ira ogni petto, arse ogni sguardo; E come per l'aperta ingiuria suole Che negl' imi precordii anche il codardo Fere là dove certo il ferir dole,
Parve ancora al più vile esser gagliardo Vera vendetta a far non di parole. Guerra scelta da tutti risoluto Fu da tutti morir per lo statuto. Commendò Rodipan questo concorde Voler del popol suo con molte lodi, Morte imprecando a quelle bestie sorde Dell'intelletto e pur destre alle frodi; Purchè, disse, nessun da sè discorde Segua il parlar non poi gli atti de' prodi: E soldatesche ed armi e l'altre cose Spettanti a guerra ad apprestar si pose. Di suo vero od al ver più somigliante Sentir, del quale ogni scrittore è muto, Dirovvi il parer mio da mal pensante, Qual da non molto in qua son divenuto, Chè per indole prima io rette e sante Le volontà gran tempo avea credute, Nè d'appormi cosi m'accadde mai Nè di fallar poi che il contrario usai. Dico che Rodipan di porre sciolta La causa sua dalla comun de' topi In man de'granchi avea per cosa stolta, Veduto, si può dir, con gli occhi propri Tanta perfidia in quelle genti accolta Quanta sparsa è dagl'Indi agli Etiopi, E potendo pensar che dopo il patto Similmente lui stesso avrian disfatto.
Ma desiato avria che lo spavento Della guerra de' granchi avesse indotto Il popolo a volere esser contento
Che il seggio dato a lui non fosse rotto,
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