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Si che, spargendo volontario al vento
La fragil carta, senza più far motto,
Fosse stato a veder se mai piacesse
Al re granchio adempir le sue promesse.
Così re senza guerra e senza patto
Forse trovato in breve ei si saria,
Da doppio impaccio sciolto in un sol tratto
E radicata ben la dinastia,

Nè questo per alcun suo tristo fatto,
Per tradimento o per baratteria,
Nè violato avendo in alcun lato
Il giuramento alla città giurato.
Queste cose, cred'io, fra sè volgendo
Meno eroica la plebe avria voluta.
Per congetture mie, queste vi tendo,
Chè in ciò la storia, come ho detto, è muta.
Se vi paresser frasche, non intendo
Tôr fama alla virtù sua conosciuta.
Visto il voler de' suoi, per lo migliore
La guerra apparecchiò con grande ardore.
Guerra tonar per tutte le concioni
Udito avreste tutti gli oratori,
Leonidi, Temistocli e Cimoni,
Muzi Scevola, Fabi dittatori,
Deci, Aristidi, Codri e Scipioni
E somiglianti eroi de' lor maggiori
Iterar ne' consigli e tutto il giorno
Per le bocche del volgo andare attorno.
Guerra sonar canzoni e canzoncine
Che il popolo a cantar prendea diletto.
Guerra ripeter tutte le officine,

Ciascuna al modo suo col proprio effetto,
Lampeggiavan per tutte le fucine
Lancioni, armi del corpo, armi del petto,
E sonore minacce in tutti i canti
S'udiano e d'amor patrio ardori e vanti

Primo fatto di guerra, a tal fatica
Movendo Rubatocchi i cittadini,
Fu di torri e steccati alla nemica
Gente su del castel tutti i confini
Chiuder donde colei giù dell'aprica
Vetta precipitar sopra i vicini
Poteva ad ogn'istante e nella terra
Improvvisa portar tempesta e guerra.

Poi dubitato fu se al maggior nerbo
De' granchi che verrebbe omai di fuore
Come torrente rapido e superbo
Opporsi a mezza via fosse il migliore,
Ovver nella città con buon riserbo.
Schernir, chiuse le porte, il lor furore.
Questo ai vecchi piacea, ma parvè quello
Ai damerini della patria bello.

Come Aiace quel dì che di tenébre
Cinte da Giove fur le greche schiere
Che di salvar Patróclo alla funebre
Cura fean battagliando ogni potere
Al nume supplicò che alle palpebre
Dei figli degli Achei desse il vedere,
Riconducesse il dì, poi, se volesse,
Nell'aperto splendor li distruggesse;

Cosi quei prodi il popolar consiglio
Pregâr che la virtù delle lor destre
Risplender manifesta ad ogni ciglio
Potesse in parte lucida e campestre,
Nè celato restasse il lor periglio
Nel buio sen di quella grotta alpestre.
Vinse l'alta sentenza, e per partito
Fuori il granchio affrontar fu stabilito.

E già dai regni a rimembrar beati
Degli amici ranocchi, che per forza
Gli aveano insino allor bene albergati,
Moveva quei della petrosa scorza

Brancaforte co' suoi fidi, soldati

Per quel voler ch'ogni volere sforza
Del lor padrone e re, che di gir tosto
Sopra Topaia aveva al duce imposto.
Dall'altra parte orrenda ne' sembianti
Da Topaia movea la cittadina
Falange che di numero di fanti
A un milione e mezzo era vicina.
Serse in Europa non passò con tanti
Quando varcata a piè fu la marina.
Coperto era si lunge ogni sentiero
Che la veduta si perdea nel nero.

Venuti erano al loco ove diè fine
Alla fuga degli altri il Miratondo,
Loco per praticelli e per colline
E per quiete amabile e giocondo.
Era il tempo che l'ore mattutine
Cedono al mezzodi le vie del mondo,
Quando assai di lontan parve rimpetto
All'esercito alzarsi un nugoletto.

Un nugoletto il qual di mano in mano
Con prestezza mirabile crescea
Tanto che tutto ricoprire il piano
Dover fra poco e intenebrar parea,
Come nebbia talor che di lontano
Fiume o palude in bassa valle crea,
Che per soffio procede, e la sua notte
Campi e villaggi a mano a mano inghiotte,
Conobber facilmente i principali

Quel di che il bianco nugolo era segno,
Che dai passi nascea degli animali
Che venieno avversari al misto regno.
Però tempo ben parve ai generali
Di mostrar la virtù del loro ingegno,
E qui, fermato il piè, le ardite schiere
A battaglia ordinar con gran sapere.

Al lago che di sopra io ricordai,

Ch'or limpido e brillando al chiaro giorno
Spargea del Sol meridiano i rai,

Appoggiår delle squadre il destro corno,
L'altro al poggio che innanzi anco narrai
Alto ed eretto, e quanti erano intorno
Lochi angusti e boscosi ed eminenti
Tutti fêro occupar dalle lor genti.
Già per mezzo all'instabil polverio
Si discernea de' granchi il popol duro,
Che quetamente e senza romorio
Nella sua gravità venia sicuro.
Alzi qui la materia il canto mio
E chiaro il renda se fu prima oscuro;
Qui volentieri invocherei la musa,
Se non che l'invocarla or più non s'usa.
Eran le due falangi a fronte a fronte
Già dispiegate ed a pugnar vicine,
Quando da tutto il pian, da tutto il monte
Diersi a fuggir le genti soricine,
Come non so, ma nè ruscel nè fonte,
Balza nè selva al corso lor diè fine;
Fuggirian credo ancor, se i fuggitivi
Tanto tempo il fuggir serbasse vivi.

Fuggiro al par del vento, al par del lampo, Fin dove narra la mia storia appresso Solo di tutti in sul deserto campo Rubatocchi restò come cipresso Diritto, immoto, di cercar suo scampo Non estimando a cittadin concesso Dopo l'atto de' suoi, dopo lo scorno Di che principio ai topi era quel giorno. In lui rivolta la nemica gente Senti del braccio suo l'erculea possa. A salvarla da quel non fu possente

La crosta ancor che dura, ancor che grossa.

Spezzavala cadendo ogni fendente
Di quella spada e scricchiolar fea l'ossa
E troncava le branche, e di mal viva
E di gelida turba il suol copriva.
Così pugnando sol contro infiniti
Durò finchè il veder non venne manco.
Poi che il sol fu disceso ad altri liti,
Sentendo il mortal corpo afflitto e stanco
E di punte acerbissime feriti

E laceri in più parti il petto e il fianco,
Lo scudo, ove una selva orrida e fitta
D'aste e d'armi diverse era confitta,
Regger più non potendo, ove più folti
Gl'inimici sentia, scagliò lontano.
Storpiati e pesti ne restaron molti,
Altri schiacciati insucidaro il piano.
Poscia gli estremi spiriti raccolti
Pugnando mai non riposò la mano
Finchè densato della notte il velo
Cadde, ma il suo cader non vide il cielo.
Bella virtù, qualor di te s'avvede,
Come per lieto avvenimento esulta
Lo spirto mio, nè da sprezzar. ti crede
Se in topi anche si tu nudrita e culta.
Alla bellezza tua ch'ogni altra eccede,
O nota e chiara, o ti ritrovi occulta,
Sempre si prostra; e non pur vera e salda,
Ma imaginata ancor, di te si scalda.

Ahil ma dove sei tu? sognata finta
Sempre? vera nessun giammai ti vide?
O fosti già coi topi a un tempo estinta,
Nè più fra noi la tua beltà sorride?
Ahi! se d'allor non fosti invan dipinta
Nè con Teseo peristi o con Alcide,
Certo d'allora in qua fu ciascun giorno
Più raro il tuo sorriso e meno adorno.

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