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Udite attentamente il pensier mio.
Ben armati porremci su la riva
Là dove rapidissimo è'l pendio:
Aspetteremo i topi; e quando arriva
Quella marmaglia, le farem da l'alto
Far giù nell'acqua allegramente un salto.
Così, fuor d'ogni rischio in poco d'ora
Tutto quanto l'esercito nemico
Manderem senza sangue a la malora.
Date orecchio pertanto a quel ch' io dico,
Fornitevi a la pugna e fate core,

Chè non siam per averne altro che onore.
Rendonsi a questi detti e con le foglie
De le malve si fanno gli schinieri;
Bieta da far corazze ognun raccoglie,
Cavoli ognun disveste a far brocchieri;
Di chiocciola ciascun s'arma la testa
E a far da mezza picca un giunco appresta.
Già tutta armata e minacciosa in volto
Sta la gente in sul lido e i topi attende;
Quando al coro de' numi in cielo accolto
Giove in questa sentenza a parlar prende:
Vedete colaggiù quei tanti e tanti
Guerrieri, anzi centauri, anzi giganti?
Verran presto a le botte. Or chi di voi
Per li topi sarà? chi per le rane?
Palla, tu stai da' topi: e' son de' tuoi,
Chè presso a l'are tue si fan le tane,
Usano a i sacrifizi esser presenti
E col naso t'onorano e co' denti.

Rispose quella: O padre, assai t'inganni:
Vadan, per conto mio, tutti a Plutone;
Chè ne' miei templi fanno mille danni.
Si mangian l'orzo, guastan le corone,
Mi succian l'olio, onde m'è spento il lume;
Talor anco lordato hanno il mio nume.

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Ma quel che più mi scotta (e per insino.
Che non me l'han pagata io non la inghiotto)
È che il vestito bianco, quel più fino

Ch'io stessa avea tessuto, me l'han rotto,
Rotto e guasto così che mel ritrovo
Trasformato in un cencio; ed era novo.

Il peggio è poi che mi sta sempre attorno
Il sarto pel di più de la mercede:

Ben sa ch' io non ho soldi; e tutto il giorno
Mi s'arruota alle coste e me ne chiede.
La trama ch' una tal m' aveva prestata
Non ho renduto ancor nè l' ho pagata.

Ma non resta perciò ch'anco le rane
Non abbian vizi e pecche pur assai.
Una sera di queste settimane
Pur troppo alle mie spese lo provai,
Sudato s'era in campo tra le botte
Dal far del giorno insino a tarda notte.
Postami per dormire un pocolino,
Ecco un gracchiare eterno di ranocchi
M' introna in guisa tal ch' era il mattino
Già chiaro quando prima io chiusi gli occhi,
Or quanto a questa guerra il mio parere
È lasciar fare e starcela a vedere

Non saria fuor di rischio in quella stretta
Un nume ancor. Credete a me: la gente,
Quand'è stizzita e calda, non rispetta

Più noi che un becco, un can che sia presente.
Disse Palla: a gli dêi piacque il consiglio;
Così piegaro a la gran lite il ciglio.

CANTO TERZO.

Eran le squadre avverse a fronte a fronte E de le grida bellicose il suono

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Per la valle echeggiava è per lo monte;
Rotava il Padre un lungo immenso tuono,
E con le trombe lor mille zanzare
De la pugna il segnal vennero a dare.
Strillaforte primier fattosi avanti,
Leccaluom percotea d'un colpo d'asta.
Non muor, ma sulle zampe tremolanti
Il poverino a reggersi non basta:
Cade, e a Fangoso Sbucatore intanto
Passa il corpo da l'un a l'altro canto.
Volgesi il tristo infra la polve e more:
Ma Bietolaio con l'acerba lancia
Trapassa al buon Montapignatte il core.
Mangiapan Moltivoce per la pancia
Trafora e lo conficca in sul terreno:
Mette il ranocchio un grido e poi vien meno.
Godipalude allor d'ira si accende,
Vendicarlo promette; e un sasso toglie,
L'avventa e Sbucator nel collo prende:
Ma per di sotto Leccaluomo il coglie
Improvviso con l'asta e ne la milza
(Spettacol miserando) te l'infilza.
Vuol fuggir Mangiacavoli lontano
Da la baruffa, sdrucciola ne l'onda;
Poco danno per lui, ma nel pantano
Leccaluomo e' traea giù de la sponda,
Che, rotto, insanguinato e sopra l'acque
Spargendo le budella, orrido giacque.

255

Paludano ammazzò Scavaformaggio;
Ma vedendo venir Foraprosciutti,
Giacincanne perdèssi di coraggio;
Lasciò lo scudo e si lanciò nei flutti.
Intanto Godilacqua un colpo assesta
Al buon Mangiaprosciutti ne la testa.

Lo coglie con un sasso; e per lo naso
A lui stilla il cervello e l'erba intride.
Leccapiatti, al veder l'orrendo caso,
Giacinelfango d'una botta uccide:
Ma Rodiporro, che di ciò s'avvede,
Tira Fiutacucine per un piede.

Da l' erta lo precipita nel lago; Seco si getta e gli si stringe al collo, Finchè nol vede morto, non è pago. Se non che Rubamiche vendicollo; Corse a Fanghin, d'una lanciata il prese A mezzo la ventresca e lo distese. Vaperlofango un po' di fango coglie E a Rubamiche lo saetta in faccia Per modo che 'l veder quasi gli toglie: Crepa il sorcio di stizza, urla e minaccia E con un gran macigno al buon ranocchio Spezza due gambe e stritola un ginocchio. Gracidante s'accosta allor pian piano E al vincitor ne l'epa un colpo tira. Quel cade e sotto la nemica mano Versa gli entragni insanguinati e spira. Ciò visto, Mangiagran da la paura Lascia la pugna e di fuggir procura. Ferito e zoppo, a gran dolore e stento Saltando, si ritragge da la riva; Dilungasi di cheto e lento lento, Finchè per sorte a un fossatello arriva. Intanto Rodipane a Gonfiagote

Vibra una punta e l'anca gli percote.

Ma zoppicando il ranocchione accorto Fugge e d'un salto piomba nel pantano. Il topo, che l'avea creduto morto, Stupisce, arrabbia e gli sta sopra invano; Chè, del piagato re fatto avveduto, Correa Colordiporro a dargli aiuto. Avventa questi un colpo a Rodipane, Ma non gli passa più che la rotella. Così fra' topi indomiti e le rane La zuffa tuttavia si rinnovella: Quando improvviso un fulmine di guerra Su le triste ranocchie si disserra.

Giunse a la mischia il prence Rubatocchi, Giovane di gran cor, d'alto legnaggio; Particolar nemico de' ranocchi,

Degno figliuol d'Insidiapane il saggio;
Il più forte de' topi ed il più vago,
Che di Marte parea la viva imago,
Questi, sul lido in rilevato loco
Postosi, a' topi suoi grida e schiamazza;
Aduna i forti e giura che fra poco
De le ranocchie estinguerà la razza;
E da ver lo faría, ma il padre Giove
A pietà de le misere si move.

Oimè! dice a gli dêi, qui non si ciancía.
Rubatocchi, il figliuol d'insidiapane,
Si dispon di mandare a spada e lancia
Tutta quanta la specie de le rane;
E' potria veramente ancor che solo,
Ma Palla e Marte spediremo a volo.

Or che pensiero è il tuo? Marte rispose: Con gente così fatta io non mi mesco. Per me, padre, non fanno queste cose; E s'anco vo' provar, non ci riesco ; Nè la sorella mia, dal ciel discesa, Faria miglior effetto in questa impresa.

LEOPARDI. Poesie.

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