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tuoso studio del massimo Poeta, che in uno esemplare della Divina Commedia col comento del Landino, stampa in foglio, in carta grossa, con margine di presso che un palmo, quale fu quella prima edizione, disegnò Michelagnolo, in penna, quarto in quell'oceano di sapere si contiene; onde puossi immaginare che fuori d'ogni stima avesse a essere quell'opera, dove tanti aspetti, tante forme non mai vedute s' adunavano; nudi eccellentissimi, atti maravigliosi, visi suadenti amore e pietà, viste di raccapriccio e di spavento, tratti miracolosi, divini aspetti, stupori, e prodigj, quanto in somma per occhio o per mente si comprende. Così unico monumento fu preda del mare nel naufragio da Livorno a Civitavecchia, ove, colla nave che l' onda inghiottì, molte altre cose di gran prezzo perdè Michelagnolo, anzi il mondo.

Da tanto studio, quanto detto è, dei primi due poeti d'Italia, anzi, per quello che a me se ne pare, del mondo, nasce quello che non si può senza maraviglia pur pensare, cioè che il Buonarroti poeta

sentendo Michelagnolo, sì forte gli dispiacque, che come quel messere si parti, egli il ritrasse in inferno, e simigliantissimo, nélla figura di Minos, con una gran serpe avvoltagli alle gambe, e fra un monte di demonj. Molte furono le preghiere porte da messer Biagio al Buonarroti perchè il levasse via, e al Papa perchè a levarnelo il costringesse, ma invano. Anzi, dimandandogli una volta il Papa dove l'aveva dipinto, e messer Biagio dettogli in inferno, gli replicò il Papa se v' avesse dipinto nel purgatorio, v' avrebbe mezzo; ma in inferno, nulla est redemptio.

s'uniforma per sì fatto modo col Buonarroti scultore e pittore, che non ha il mondo due immagini così simiglianti; perciocchè, siccome le opere sue di scultura e pittura racchiudono tanta profondità e intendimento dell'arte, così nelle sue rime, altissime dottrine, pellegrini concetti, e squisiti sensi si contengono; e, ossia che ritragga i nobilissimi pensieri del suo ingegno creatore, o che rivesta i profondi intendimenti del primo coi colori del secondo, di soave grazia e graziosa soavità ridenti, o che adombri le gioconde e care immagini dell' uno con le maschie e vive tinte dell' altro, e' ti pare o Dante stesso o il Petrarca, o l'uno e l'altro a un tempo, o nè l'uno nè l'altro, ma se solo, vale a dire non meno originale nello stile che nei concetti ch'ei porta in se suggellati.

Ma è da dire alquanto della forma di queste rime. Sono per la maggior parte madrigali e sonetti; una canzone, due capitoli, e alcune stanze. I madrigali e i sonetti che hanno amore per obbietto, siccome ognuno può da per se stare, e fa opera di perfezione, così dal collegamento di tutti insieme componsi un trattato nuovo d'amore, quale nelle platoniche scuole si ragiona, con ricco e bel corredo di sapienza, di dottrina, e di moralità, un' opera in somma, da quante altre in simiglianti materie s' aggirano, per la sua nuova forma originale, appartata affatto, e però da locarsi con quelle le quali fanno schiera da se, o primeggiano fra quelle con le quali s' inschierano. Dei madrigali, che

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sono LXII, è tante di quelle care gioie che dice Dante non potersi per la loro preziosità trarre del regno, non troverai fra gli epigrammi o greci o latini che più si celebrano, non troverai in Saffo, non in Anacreonte, non in chi disse meglio d'amore, cosa che con quelli s'adegui, non che gli possa soverchiare; tanto vincono essi ogni simigliante, e per l'altezza e nobiltà della materia, e per tutte quelle condizioni che fanno le scritture più pregiate e più care. Dei sonetti, mi contengo à dire che t'accaderà non di rado, dov'abbia luogo il confronto di questi con quelli del rico, di trovarti come chi da due equilibrate forze avverse in un tempo è sospinto. E se gli avvenga talvolta di lasciare lo stile grave e sodo, e volgersi al giocoso e leggiero, sarai maravigliato di vedere in che nuova guisa l' uno con l'altro armonizza il Poeta, come contempera col grave l'acuto, come concerta col più nobile il meno, e come perchè pur risplenda, quello ch'è per se oscuro con altro di propria luce sfavillante sa costringere e legare.

gran

li

Dante, perchè uomo non fosse auso a tanto, nè fosse mai che lui falsasse nel suo giudicio, volle egli stesso giudicare se medesimo, e disse:

Io mi son un che, quando

Amore spira, noto, e, a quel modo

Ch' ei detta dentro, vo significando;

nella quale sentenza chiude a un tempo il massimo

precetto di natura e d'arte, a volere, cui fu sì largo di sue grazie il cielo, potersi fare nelle sue opere di bella

b

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fama immortale. Così fece Michelagnolo, andando dietro stretto al gran precetto che pone il maestro, e non v'è sì poco esperto nelle lettere, che nol possa per se chiaro vedere; perciocchè ogni concetto, ogni pensiero che dischiude, e ogni atto che ritrae, così naturale s' appresénta, così vero e semplice si figura, che pare a chi legge che così a punto avrebb' egli ancora in simiglievole rincontro. E perciocchè, siccome seguita la fiammella il fuoco, voglion essere le parole colle immagini armonizzate sì, che con simile aspetto l'uno e l'altro s'affacci al pensiero che l'accoglie, tutte le parti in queste rime si contemperano in modo, che ogni spressione, ogni formula, anzi ogni parola porta seco non so che di semplice e schietta natura, che s'apre agevolissimo il varco nel cuore e nella mente, dove s'imprime sì fattamente, che poscia più non si cancella. E come se avesse ognora presente alla memoria l'altro si prezioso insegnamento del massimo maestro, che dicé:

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E qual più a gradire oltre si mette,

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Non vede più dall' uno all' altro stilo, esclude dalle sue scritture ogni vana pomposità di parole, ogni soverchio ornamento, ogni sfoggio straniero; non giuochi di parole, non pensieri stentati, non concetti a disagio, non frondi d' ingannevole apparenza, ma sì voci significanti, immagini di verità, sensi che natura spira, e fiori di perpetua freschezza; e siccome in disegnando fu contento a filosofare intorno alla

perfetta armonia de' corpi, senza cercare più oltre, così in poetando si strinse nella semplicità e verità del suo intendimento, ritraendo ognora il fatto, il vero, cioè natura, ch'è il solo fine dell' arte, la cui imperfezione si misura dalla distanza di quà o di là dal termine ch'ella pone; talmente che, siccome fa Dante dal principio al fine della Divina Commedia, se pone una sentenza, un detto, una voce, si può dir franco che Con legno legno spranga mai non cinse

Forte così;

voglio dire che, se provi mille volte di volere una sola delle parti che si dicono dislogare, o trasmutare, t'affaticherai invano, se ti spirasse Apollo sì com' egli fu quando trasse Marsia della vagina delle membra sue.

Fu sentenza di Solone, tale essere il parlare degli uomini, quale è la vita loro. Adunque, se, come per una sola voce suona, fu Michelagnolo di sì gravi costumi, di tante virtudi adorno, sì casto, sì pio nel fare e nel dire, se tale fu il candore della sua vita, tale l'interezza del suo abito, quale in anima veramente celeste vuol essere, le sue scritture forza è che sieno di quella stessa onestà e virtù ritraenti, come veramente sono, siccome quelle le quali hanno così nobile il fine, ch'è di spronare i leggiadri cuori ad amore. E quì non sarà fuor di proposito fare alcun cenno di questo amore che s' intende, a disinganno dei volgari, e parimente di coloro i quali, benchè per altro avveduti e costumati, non consentono se non quello

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