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che prima in se provato hanno, misurando gli affetti e le umane conoscenze giusta il loro vedere e sentire.

Due sono veramente gli amori che in noi s'accendono; l'uno sensuale, così detto perchè nel senso dimora e s'affatica; l'altro intellettuale, perciocchè nella parte più divina dell'anima nostra, cioè nello intelletto, si siede, e fa ivi suo ragionare; e però il Poeta, incominciando l'altissima canzone, dice: Amor che nella mente mi ragiona, ec. Il primo di questi amori, per sensibile bellezza, in coloro, i quali dice Dante che vivono in bestiale pastura d' erbe e di ghiande, s'alluma ; e poco dura in suo essere, scemandosi per tempo, e potendosi per mille accidenti tor via, e intenebra e abbuia la mente, e la tinge in peccato, aggirando continuo il passionato nei profondi suoi abissi d' interminabile oscurità condensi, mentre lo meni a inevitabile morte, e a vita senza fine amara. Il secondo al contrario, per quel bello che mai non muore (1), anzi fassi per tempo maggiore (2), nelle anime libere dalle misere e vili dilettazioni e dai volgari costumi s'appiglia, e in vi

(1) Che per cangiar di scorza non si sfiora. (Il Buonarr.)

(2)

Ma cresce poi ch' a miglior loco sale. (Lo stesso.)
Similemente la tua gran beltade,

Ch' esempio è di quel ben che 'l ciel fa adorno,

Mostroci in terra dall' artista eterno,

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Venendo men col tempo e con l'etade,

Tanto avrà più nel mio desir soggiorno,

Pensando al bel ch' età non cangia, o verno. (Lo stesso.)

vace fiamma s'accende (1); amore di luce e di verità (2), che assembra l' uomo agli angeli (3); amor pieno di spiritale contento e di pace (4), il quale, astraendo l'anima innamorata da ogni terreno affetto, la solleva alla beatitudine celeste, l'affronta coi beati (5), la profonda nell' infinito (6), e, come dice

(1) Io amai sempre, ed amo forte ancora .

(2)

(3)

E son per amar più di giorno in giorno. (Il Petrarca.)
Amore e 'l cor gentil sono una cosa. (Dante.)

Simili beni al cor gentile accosta. (Lo stesso.)

Amor ch' al cor gentil ratto s' apprende. (Lo stesso.)
Amor che solo i cor leggiadri invesca,

Nè degna di provar sue forze altrove. (Il Petrarca.)
E mi saetta ognor ch' ei si rammenta

Che 'n cor gentil giammai colpo non perde. (Il Buonarroti.)
Conosco in lor la luce

.....

Che ne mostra la via ch'a Dio mi guide. (Lo stesso.)
Gentil mia donna, io veggio

Nel muover de' vostr' occhi un dolce lume,

Che mi mostra la via ch' al ciel conduce. (Il Petrarca.)

(4)

Che l'amor di ch'io t'amo è senza core. (Il Buonarroti.)

(5)

Si come eterna vita è veder Dio.,

Nè più si brama, nè bramar più lice,

Così me, donna, il voi veder felice.

Fa 'n questo breve e frale viver mio. (Il Petrarca.)

Nel nobil foco mio chiara riluce

La gioia che nel cielo eterna ride. (Il Buonarroti.

(6) La forza d'un bel volto al ciel mi

sprona,

Ch'altro in terra non è che mi diletti,

E vivo ascendo tra gli spirti eletti. (Lo stesso.)

il

gran Buonarroti, quì caparra il paradiso (1). Tale si fu la tempera dell' amore di Michelagnolo, e tale si manifesta nei bei lumi poetici onde sfavillano le sue carte immortali, e negli eterni fiori da lui colti nei più secreti e nobili giardini della morale filosofia. Quindi nasce che ogni detto che porge, ogni concetto che dischiude, ogni immagine che ritrae, spira onesta grazia, muovesi da verità e natura, accende amore e virtù; le quali cose, con le belle sentenze, col vero che innamora, e con la dolce moralità, accoglie l'animo ben disposto, e in quello, siccome in fecondo terreno il natìo seme, surgon poscia in vivaci germogli, onde quei fiori e frutti, ai quali convien che sia massimamente inteso chi legge e ode.

Ma quì surge una grave dubitazione, la quale agli avversarj del nobile amore è stata spada e lancia a combattere l'essenza sua, negando quello che dai più sommi duci dell' umana ragione con irrepugnabili argomenti s'avvera. E come, discorrono quelli ch'io accuso, com' esser puote che questo amore di pace, di beatitudine, di contento, sia a un tempo d'amarezze tante,

(1) Si ben col suo fattor l'opra consuona

Ch' a lui mi levo per divin concetti,

E quivi informo i pensier tutti e i detti. (Il Buonarroti. )

E il Petrarca:

Pace tranquilla senza alcun affanno
Muove dal loro innamorato riso,

Simile a quella che nel cielo eterna.

di tante angosce e tormenti cagione? Come possono d'una fonte uscir stille dolci e amare ad un' ora? Come quello che piace esser puote che insieme dispiaccia ? Come una istessa cosa recar in uno e vità e morte? Certo non può, per la contraddizione che nol consente. Dante, seguitano a dire, che tanta dolcezza raccolse di quel suo celestiale amore, vedi, fra mille altri luoghi, quanto affanno dischiude la dolorosa sua mente nella canzone che dice: E' m' incresce di me st malamente. Del Petrarca bastiti a dimostrare la perpetua noia, quando uno e solo rompe il comun riposo di

natura:

Poi quand' io veggio fiammeggiar le stelle,
Vo lagrimando, e desiando il sole.

Michelagnolo stesso, aggiungono ancora, il cui amore fu realmente angelico, non ti fa proprio nascer nell'anima pietà di se, dove dice :

Quei pianti, quei singulti, e quei sospiri
Ch'a voi 'l mio cor dolente accompagnaro,
Madonna, duramente dimostraro

La mia propinqua morte e i miei martiri?

Fole adunque, conchiudono, sono queste, e parti di fantasia delira, e sogni, e illusioni, e apparenze vane, a pascolo dello imaginare che mai non posa, e a dar più largo campo agl' ingegni dell' amoroso coro. Io confesso che, per così forte e al primo aspetto non fallace opposizione, sono stato lunga pezza in ango

sciosa angustia e perplessità, nè mi sarei ancora da quella potuto disbrigare, se non veniva in mio soccorso quel savio, le cui parole, in quel suo libro di sapienza, saranno luce a ognuno che sia vago di quel vero che si ragiona. Adunque, non potendo la mente nostra, mentre le fa velo il corpo, apprendere se non pel senso quello che fa poscia degno d' intelletto, e non avendo il mondo sensibile nè più lieta nè più gioconda vista, nè dove tanta parte di se ne disveli il sovrano architetto, quanto in bella, o leggiadra, o gentil donna, forza è che in quella bellezza l'anima nostra s'invaghisca, e per lei si lievi al principio onde ogni altra s'origina e si deriva. E però il gran Buonarroti, a dimostrare la possanza della bellezza che si dice, la chiama calamita del divo amore, assimigliando ad essa la donna sua, e se al ferro: io sono il ferro, e tu la calamita; nel qual concetto sì vero e sì profondo ebbe forse in riguardo il nobilissimo amatore di Laura, dove dice:

Che 'n carne essendo, veggio trarmi a riva

Ad una viva e dolce calamita.

Ora avviene alcuna volta che apparendo ai nobili amanti la donna della loro mente altro da quello ch' ella è, cioè altera, disdegnosa, e spietata, quindi il lamentarsi che fanno, il piangere, il sospirare; come che senza ragion sia, anzi da falso giudicio, fatto secondo l'apparenza, per non poter l' anima passionata di troppo disio discernere il vero. Dov'è da sapere,

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