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IV.

Da questa visione innanzi cominciò il mio spirito naturale ad essere impedito nella sua operazione, perocchè l' anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima. Ond' io divenni in picciolo tempo poi di si frale e debole condizione, che a molti amici pesava della mia vista e molti pieni d'invidia si procacciavano di sapere di me quello ch'io voleva del tutto celare ad altrui. Ed io accorgendomi del malvagio domandare che mi faceano, per la volontà d' Amore, il quale mi comandava secondo il consiglio della ragione, rispondea loro, che Amore era quegli che così m' avea governato. Dicea d'Amore, perocchè io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavano: Per cui t'ha così distrutto questo Amore? ed io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro.

V.

Un giorno avvenne che questa gentilissima sedea in parte ove s'udiano parole della Regina della gloria, ed io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine. E nel mezzo di lei e di me, per la retta linea, sedea una gentile donna di molto piacevole aspetto. La quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare, che parea che sopra lei terminasse; onde molti s'accorsero del suo mirare. Ed in tanto vi fu posto mente, che, partendomi da questo luogo, mi sentii dire appresso: Vedi come cotale donna distrugge

la persona di costui! E nominandola, intesi che diceano di colei, che in mezzo era stata nella linea retta che movea dalla gentilissima Beatrice, e terminava negli occhi miei.

Allora mi confortai molto, assicurandomi che il mio segreto non era comunicato, lo giorno, altrui per mia vista. Ed immantinente pensai di fare di questa gentile donna schermo della veritade; e tanto ne mostrai in poco di tempo, che il mio segreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti mesi ed anni; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facessero a trattare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascierò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò che pare che sia loda di lei.

VI.

Dico che in questo tempo, che questa donna era schermo di tanto amore, quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di voler ricordare il nome di quella gentilissima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, e specialmente del nome di questa gentildonna; e presi i nomi di sessanta le più belle della cittade, ove la mia donna fu posta dall'altissimo Sire, e composi una epistola sotto forma di serventese, la quale io non scriverò. E non n'avrei fatto menzione, se non per dire quello che, componendola, maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nove, tra' nomi di queste donne.

VII.

La donna, con la quale io aveva tanto tempo celata la mia volontà, convenne che si partisse della sopradetta cittade, e andasse in paese lontano: per che io, quasi sbigottito della bella difesa che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, proposi di farne alcuna lamentanza in un sonetto, il quale io scriverò, perciocchè la mia donna fu immediata cagione di certe parole, che nel sonetto sono, siccome appare a chi lo intende: e allora dissi questo sonetto:

O voi, che per la via d' Amor passate,
Attendete, e guardate

S'egli è dolore alcun, quanto il mio, grave:
E priego sol, ch' udir mi sofferiate;

E poi immaginate

S'io son d'ogni dolore ostello e chiave.

Amor, non già per mia poca bontate,

Ma per sua nobilitate,

Mi pose in vita si dolce e soave,

Ch'io mi sentia dir dietro assai fiate:

Deh! per qual dignitate

Cosi leggiadro questi lo cor have!

Ora ho perduta tutta mia baldanza,
Che si movea d'amoroso tesoro;

Ond' io pover dimoro

In guisa, che di dir mi vien dottanza.

Sicché, volendo far come coloro,

Che per vergogna celan lor mancanza,
Di fuor mostro allegranza,

E dentro dallo cor mi struggo e ploro.

Questo sonetto ha due parti principali: chè nella prima intendo chiamare i fedeli d' Amore per quelle parole di Geremia profeta: O vos omnes, qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus; e pregare che mi sofferino d'udire. Nella seconda narro là ove Amore m' avea posto, con altro intendimento che l'estreme parti del sonetto non mostrano: e dico ciò che io ho perduto. La seconda parte comincia quivi: Amor, non già.

VIII.

Appresso il partire di questa gentildonna, fu piacere del Signore degli Angeli di chiamare alla sua gloria una donna giovane e di gentile aspetto molto, la quale fu assai graziosa in questa sopraddetta cittade; lo cui corpo io vidi giacere senza l'anima in mezzo di molte donne, le quali piangevano assai pietosamente. Allora, ricordandomi che già l'avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non potei sostenere alquante lagrime; anzi piangendo mi proposi di dire alquante parole della sua morte in guiderdone di ciò, che alcuna fiata l' avea veduta con la mia donna. E di ciò toccai alcuna cosa nell' ultima parte delle parole che io ne dissi, siccome appare manifestamente a chi le intende: e dissi allora questi due sonetti, dei quali co

mincia il primo; Piangete, amanti: il secondo: Morte

villana.

Piangete, amanti, poichè piange Amore,
Udendo qual cagion lui fa plorare:
Amor sente a pietà donne chiamare,
Mostrando amaro duol per gli occhi fuore;
Perchè villana morte in gentil core
Ha messo il suo crudele adoperare,
Guastando ciò che al mondo è da lodare
In gentil donna, fuora dell' onore.

Udite quant' Amor le fece orranza;
Ch'io 'I vidi lamentare in forma vera
Sovra la morta immagine avvenente;

E riguardava invêr lo ciel sovente,
Ove l'alma gentil già locata era:

Ché donna fu di si gaia sembianza.

Questo primo sonetto si divide in tre parti. Nella prima chiamo e sollecito i fedeli d' Amore a piangere; e dico che lo signore loro piange, e che udendo la cagione perch' e' piange, si acconcino più ad ascoltarmi; nella seconda narro la cagione; nella terza parlo d'alcuno onore, che Amore fece a questa donna. La seconda parte comincia quivi; Amor sente: la terza quivi; Udite.

Morte villana, di pietà nemica,

Di dolor madre antica,

Giudizio incontrastabile, gravoso,
Poi c'hai data materia al cor doglioso,
Ond'io vado pensoso,

Di te biasmar la lingua s'affatica.

E se di grazia ti vuoi far mendica,
Convenesi ch'io dica

Lo tuo fallir, d' ogni torto tortoso;
Non però che alla gente sia nascoso,

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