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tiplicare i concetti, ma di amplificarli con altre parole. Ciaschedun verso è rivoltato in parecchi diversi modi; sopra ogni frase ed ogni parola colloca spesso dei modi equivalenti per poi esaminarli di nuovo; e vuolsi conoscenza profonda dell'italiano idioma, per accorgersi che dopo tale perplessità scrupolosa, elegge sempre quelle parole, che accoppiano in una più d'armonia, più d'elevatezza e più d'energia.

Queste laboriose mende fecero nascere opinione sino da quando viveva il Petrarca, che i versi di lui fossero lavoro più da poeta che da amante (1). È fuor di dubbio non esser violentissima quella passione che possiamo descrivere a nostro bell' agio. Ma un uomo di genio sente più intensamente e soffre più fortemente d'un altro; e per questo appunto quando la forza della passione al lenta, egli ne conserva più a lungo la rimembranza della gagliardia, e più agevolmente può ridestarla nella immaginazione e risentirne gli effetti. »

«Dante (dice altrove il citato Scrittore (2)) percorse una regolare carriera di studi, e in tempi che Aristotile e Tommaso d'Aquino, tenevano soli lo campo nelle università. L'austerità del metodo e delle mas

sime loro lo ammaestrarono a non vergar
carta, che non avesse in prima in sè lun-
gamente meditata, ed a tenersi ognora da-
vanti un pratico fine di gran momento, quello
dell' umana vita (3), e a proseguirlo salda-
mente secondo un preconcetto divisamento.
I poetici ornamenti non ad altro ti paiono
usati mai da Dante se non a dar luce a' suo
subbietti; nè mai egli consenti alla fantasia
di violaré quelle leggi, che prima aveva po-
ste all' ingegno. » —

E più l'ingegno affreno ch' io non soglio,
Perchè non corra, che virtù nol guidi
Inf. xxvi, 21.

Più non mi lascia gire il fren dell'arte.
Purg. xxxin, 141.

Infatti per testimonianza del suo figliuol Piero, il quale avealo udito più volte dalla bocca di lui, sappiamo che Dante vantavasi di non esser giammai stato costretto dalla tirannia della rima a dir cose che egli dir non avesse volute, ma di averla sempre saputa piegare ai suoi voleri e ai suoi concetti senza alterarne punto le leggi. A ciò fare richiedevasi pertanto artifizio grandissimo, specialmente quando il metro presentava molte difficoltà a superarsi. Quindi, quei poe-| tici componimenti, che hanno rime inter

medie, non essendo al certo i meno diffi-
coltosi, andremo ponendone sott' occhio al-
cuni squarci, affinchè possa vedersi come
Dante in quelli riuscisse, e come a giusto
titolo si desse egli il vanto ora accennato.
La Canzone da noi stampata col num. v ne
offre un esempio.

Nè cui pietà per me muova sospiri
Morte, poich'io non trovo a cui mi doglia,
E poichè tu se' quella che mi spoglia
Ove ch' io miri,-o 'n qual parte ch' io sia;
D'ogni baldanza, e vesti di martiri,
E per me giri ogni fortuna ria;

Perchè tu, Morte, puoi la vita mia
Povera e ricca far, come a te piace,
A te convien ch' io drizzi la mia face,
lo vegno a te, come a persona pia,
Dipinta in guisa di persona morta.
Piangendo, Morte, quella dolce pace,
Che 1 colpo tuo mi tolle, se disface
La donna che con seco il mio cor porta,
Quella ch'è d'ogni ben la vera porta.

Perchè dinanzi a te piangendo vegno,
Morte, qual sia la pace che mi tolli,
Qui non l'assegno, chè veder lo puoi,
Se guardi agli occhi miei di pianto molli,
Se guardi alla pietà, ch' ivi entro tegno,
Se guardi al segno-ch' io porto de' tuoi. ec.
Un altro esempio può aversi nella Can-
zone xv.

Posciach' Amor del tutto m'ha lasciato
Non per mio grato
Chè stato

Ma perocchè pietoso
non avea tanto gioioso,
Fo tanto del mio core,
Che non sofferse d'ascoltar suo pianto;
lo canterò così disamorato
Contro al peccato,

Ch'è nato-in noi di chiamare a ritroso
Tal, ch'è vile e noioso ec.

Chi è pertanto, il quale non scorga la proprietà di questa locuzione, la facilità delle rime, l'aggiustatezza dei concetti? Niente è forzato, nissuna cosa è superflua. La poesia sotto le mani di un Cantore si inspirato e si esperto prende un andamento colanto elegante, una venustà così naturale, che a prima vista non sarebbe riconoscibile l'artifizio poetico, se non si sapesse esser arte grandissima i nasconder l'arte.

Anche il Petrarca volle dar prova del suo ingegno in tal maniera di poetici componimenti :

Mai non vo' più cantar, com' io soleva : Ch' altri non m'intendeva;-ond' ebbi scorno;

(1) Francisci Petrarchac Epist. fam. lib. E puossi in bel soggiorno-esser molesto: ep. 7.

11.,

(2) Saggi ec., pag. 1753.

(3) V. i Convito.

Il sempre sospirar nulla rileva.

Già su per l' Alpi neva-d' ogni intorno;
Ed è già presso al giorno;-ond'io son desto.

Un atto dolce onesto è gentil cosa,
Ed in donna amorosa-ancor mi aggrada,
Che in vista vada-altera disdegnosa,
Non superba e ritrosa.

Amor regge suo imperio senza spada :
Chi smarrito ha la strada-torni indietro, ec.
Canz. IX, St. 1.

Ma quivi il Petrarca, dobbiamo dirlo, trop po fece sfoggio di rime, cosicchè la riportata poesia invece di avere il sostenuto andamento della Canzone, sembra aver piuttosto la maniera capricciosa e saltellante della Frottola o del Ditirambo. Meglio a parer nostro, riuscì nella Canzone Vergine bella, ov' ei s'avvisò di essere assai più parco di una sola ponendone, e questa nel fine di ciascheduna stanza, nella guisa seguente:

rime intermedie

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Soccorri alla mia guerra,
Bench' io sia terra,-e tu del ciel regina.
Canz. VIII, St. 1.

E poi s'accorse ch' ell' era mia donna,
Per lo tuo raggio ch' al volto mi luce,
D' ogni crudelità si fece donna;
Sicchè non par ch' ell' abbia cuor di donna,
Ma di qual fiera l'ha d' amor più freddo;
Che per lo tempo caldo e per lo freddo
Mi fa sembianti pur come una donna,
Per man di quel che me' intagliasse in pietra,ec.
Che fosse fatta d' una bella pietra
Canz. xv, St. I.

Con sole cinque voci finali, cioè donna, tempo, luce, freddo, pietra potè adunque far l' Alighieri una Canzone, non breve al certo, perchè composta di sessantasei versi, la quale per la varietà e nobiltà dei concetti e per la proprietà delle espressioni come per l'artifizio poetico, può dirsi in ogni sua parte bellissima.

Questa maniera di poesia, se piacque a Dante talvolta, piacque altresì al Petrarca, il quale ci ha dato nel suo Canzoniere alquanin simili componimenti essendo il poeta obte di tali Sestine e semplici e doppie. Ma bligato (come or ora accennammo, e come può vedersi dai riportati passi) a ripigliare in ciascheduna Stanza le voci colle quali terche ei giunga a sortirne con plauso, non pominano i versi delle altre, è molto difficile tendosi le parole stesse, se non per opera di grande ingegno e di molto studio, alla varietà accomodarsi de' sentimenti. Pertanto è agevole assai, che la cosa stessa si ridica più volte, che si cada in freddure, e più particolarmente che si pongano delle espressioni lambiccate e dei concetti non naturali. In

Quella Canzone, che dalla lunghezza e dalla tessitura delle sue Stanze, vien chiamata antica Sestina, è pur essa un componimento assai malagevole; perciocchè la ripetizione continuata delle stesse voci, e la lontananza poco rimarcabile delle consonanze, facendolo per una parte sembrare un componimento languido e di non molta grazia, e facendolo per l'altra sottoposto ad esprimere e ripetere press' a poco le stesse idee, richiede nel poeta grande attenzione ed abilità non ordinaria a superare non solo le difficoltà che presenta, ma a renderlo sostenuto, grave e maestoso. Bellissima pur non ostante è la Sestina dell' Alighieri, della quale diamo qui per saggio le due prime, non sembra in tal genere di componi

Stanze :

Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra
Son giunto, lasso ed al bianchir de' colli
Quando si perde lo color nell' erba,
El mio disio però non cangia il verde,
Si è barbato nella dura pietra,
Che parla e sente come fosse donna.

Similemente questa nuova donna
Si sta gelata come neve all' ombra;
Chè non la move, se non come pietra,
Il dolce tempo che riscalda i colli,
E che gli fa tornar di bianco in verde,
Perchè gli copre di fioretti e d' erba, ec.
Sest. 1, St. 1 e 1.

Ancor più difficile si è l' altro genere di Canzone, chiamata Sestina doppia: dalla seguente peraltro, di cui riportiamo una Stanza soltanto, potrà conoscersi quanto il nostro poeta fosse padre e maestro del dire per rima:

Amor, tu vedi ben che questa donna La tua virtù non cura in alcun tempo, Che suol dell' altre belle farsi donna.

fatti il Petrarca, anche al parer del Tasso

mento essere riuscito con qualche felicità se non in uno o due al più di quelli; e un simil giudizio fu dato pur dal Sismondi, allor che nella sua Istoria della Letteratura del mezzogiorno dell' Europa imprese, fra le altre, a fare una censura delle Sestine di Messer Francesco.

Nel suo Libretto della Volgare Eloquenza dà l'Alighieri un saggio dell'arte poetica, e particolarmente diffondesi a parlare della Canzone, insegnando quali sono i vocaboli più propri, quale debb' essere la costruzione, la Stanza, la Rima di un tale componimento. A lui che erigevasi in precettore non mancavano dunque le cognizioni tutte dell'arte.

Che l'Alighieri e il Petrarca abbiano tratdelte molte idee, e il fondo, per così dire, le loro erotiche poesie da' Provenzali, è in gran parte falso, perciocchè cosa degna del loro ingegno non trovasi in tali poeti (1). E

(1) Tassoni, considerazioni sopra le Rime del Petrarca, Modena 1609, pag. 7.

DI P. I. FRATICELLI

infatti fuor di dubbio che Dante meditò da per se ne' più incliti autori, le leggi della poetica, e primo conobbe nel suo secolo le fonti della poesia, la quale, com' egli afferma, non aveva allora nè metodi, nè forme, nè lingua. Siccome però fu senza dubbio la passione d'amore, che risvegliò in Dante il genio poetico, così fa d'uopo rammentarsi che assai di buon' ora, cioè fino dalla sua fanciullezza, fu preso a' lacci di due begli occhi e di un sembiante gentile.

Ma ben ti prego che in la terza spera
Guitton saluti e Messer Cino e Dante,
Franceschin nostro e tutta quella schiera.
Son. 246.

Quel tremore che Dante palesa essere in lui sopravvenuto allor che trovavasi alla presenza della gentilissima donzella (2), è non leggiero argomento del verace amor suo, ed assai chiaro palesa l' estrema sensibilità d'un cuore che non sapea resistere alle vive e suCh' egli poi ardesse di un purissimo affet- bitanee impressioni della passione amorosa. to verso Beatrice Portinari, nella quale egli Egli stesso ci fa sapere che nella sua gioamasse un essere corporeo e non un ente ventù, allorquando cioè cominciò a provar morale, siccome male taluni esclusivamente più forte la violenza della sua passione, socsuppongono, è argomento parecchie volte di- combeva talvolta a lungo scoraggimento (3), scusso, ed ancor di recente preso ampiamen- ed accusa quel silenzio della mente, che ne te a svolgere dall' eruditissimo Sig. Ferdi- pone in ceppi le facoltà, senza per altro dinando Arrivabene. Questo valente Scrittore struggerle. Ma la mente di lui, ricuperata non si appaga già di nude asserzioni, ma con la naturale elasticità, non più rístava fino a evidenza di fatti prova l'esistenza di cotesta tanto che non aveva conseguito il suo scopo. Tutti i suoi pensieri, tutte le sue operadonna, allegando autorevoli testimonianze dei contemporanei di Dante e di altri moderni zioni erano volte ad incontrare il gradimenscrittori, le cui sposizioni non vanno soggetto dell'oggetto amato: e poi che l'anima sua te nè ad interpretazioni, nè a dubbiezze (1). Pone egli di più sott' occhio a' leggitori tutto quello di che maestosamente va sublime il poeta, il quale non limitandosi a lodare l'oggetto della sua passione, si compiace inalzarlo altresì fra gli enti, cui è dato godere eterna beatitudine.

Lo cielo che non have altro difetto
Che d'aver lei, al suo Signor la chiede;
Canz. 1, St. II.

Madonna è desiata in sommo cielo;
Ivi, St. III.

andava l'innamorato poeta dicendo di Beatri-
ce, lei vivente; e, quella morta:

Ita n'è Beatrice in l'alto cielo,
Nel Reame ove gli Angeli hanno pace.
Canz. 1, St. II.

Il piacere della sua beltate,
Partendo se dalla nostra veduta,
Divenne spirital bellezza grande,
Che per lo cielo spande

Luce d'amor che gli Angeli saluta,
E lo 'ntelletto loro alto e sottile
Face maravigliar: tanto è gentile.
Ball. IV,
St. 11.
La passione d'amor fu anzi nell' Alighie-
ri una forse delle più costanti, a tal che be-
ne si avvisò il Petrarca di collocarne lo spi-
rito nella terza sfera, e fra le anime inna-

morate:

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era tutta data a pensare di Beatrice, ei si propose di prender sempre mai per materia del suo parlare quello che fosse lode di questa onestissima femmina (4). Può ben dirsi con Foscolo, che se l'intelletto, così in Petrarca, come nell' Alighieri, ebbe virtù dai naturali e inalterabili movimenti del loro cuoil fuoco però fu in Dante più profondo e concentrato, nè più d'una passione ardeva in quello ad un tempo (5).

re,

Ecco com' ei di sè stesso sentiva:

. . . Io mi son un che quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando.
Purg. XXIV, 52.
I' sento sì d' Amor la gran possanza
Ch' io non posso durare
Lungamente a soffrire.

Canz. IX, St. 1.

Egli prese a chiamar Beatrice sua salute e sua beatitudine, e ad affermare che in vista de' suoi gentili e dignitosi portamenti, si potevano dire di lei le parole d' Omero: ella non sembra figliuola d' uom mortale, ma E siccome una delle d' alcuna divinità. maggiori felicità giovanili di Dante consisteva nel dolcissimo saluto di Beatrice (6), così allorquando gli era dato goderne, la di lui anima schiudevasi alle più dolci emozioni: e traendo non da una fredda imitazione, ma da un caldo sentire e da un genio sommamente creatore e poetico gli accenti e le im

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magini, dava al nascente Parnaso italiano con lealtà:
quelle liriche rime che tanto onore arrecar
gli dovevano. Al saluto di quella donzella
siam debitori del seguente impareggiabil So-

netto :

Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia quand'ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non l'ardiscon di guardare.
Ella sen va, sentendosi laudare,
Umilemente d' onestà vestuta,
E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira,
Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
Che intender non la può chi non la prova:
E' par che della sua labbia si muova
Uno spirto soave e pien d'amore,
Che va dicendo all' anima: Sospira.

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Io giuro per colui,

Che Amor si chiama, ed è pien di salute,
Che senza ovrar virtute
Nissun puote acquistar verace loda.
Canz. xv, St. v.
Date(Amor)convien che ciascun ben si mova,
Per lo qual si travaglia il mondo tutto:
Senza te è distrutto

Quanto avemo in potenza di ben fare.
Canz. VIII, St. I.

Quali effetti producesse in Dante questo amore per Beatrice, il palesa egli stesso quando racconta, che considerando nell' ogonestà, si elevarono le sue idee, e si posero getto amato un modello di gentilezza e di con esso a livello sentì quindi in sè medesimo un cambiamento, nè più trovò l'uomo di pria sublimandosi le sue idee, il suo affetto altresì s' informò di spiritualità e di purezza, come la sua volontà acquistò rettitudine ed energia. « Questa improvvisa rivoluzione dell' interna parte di Dante ( scrive il Corniani nei secoli della Letteratura italiana) ci richiama al pensiero quell' altra simile, che Gio. Giacomo Rousseau asserisce essere avvenuta a lui stesso in una sua gita a Vincennes. Si potrebbe affermare che alcuni spiriti elevati vanno soggetti alle medesime modificazioni, o piuttosto ai medesimi trasporti di fantasia. » —

Sul fine della Vita Nuova havvi il passo seguente, nel quale l' Alighieri manifesta di non voler più parlar di Beatrice se non in altro modo più condegno di quella bell' anima, così dicendo: « Apparve a me una » mirabil visione, nella quale io vidi cose » che mi fecero proporre di non dir più di » questa benedetta insino a tanto che io non » potessi più degnamente trattare di lei e » di venire a ciò, studio quanto posso, sic» com' ella sa, veracemente. Sicchè se pia

« Questa gentilissima donna (Beatrice) » venne in tanta grazia delle genti, che quan» do passava per via, le persone correvano » per vederla; onde mirabile letizia me ne >> giungea: e quando ella fosse presso d' al>> cuno, tanta onestà venia nel cuore di quello, » che egli non ardiva di levar gli occhi, ne » di rispondere al suo saluto; e di questo » molti, siccome esperti, mi potrebbero te>> stimoniare a chi nol credesse. Ella coro>> nata e vestita di umiltà s' andava, nulla >> gloria mostrando di ciò che ella vedeva ed >> udiva. Dicevano molti poichè passata era: » questa non è femmina, anzi è uno delli » bellissimi Angeli del cielo. Ed altri dice» vano: questa è una maraviglia: che bene» detto sia il Signore, che si mirabilmente » sa operare! Io dico che ella si mostrava » si gentile e sì piena di tutti i piaceri, >> che quelli che la miravano comprendevano » in loro una dolcezza onesta e soave tanto, » che ridire non lo sapeano: nè alcuno era, >> il quale potesse mirar lei, che nel prin>> cipio non gli convenisse sospirare. Queste >> e più mirabili cose procedeano da lei mi>> rabilmente e virtuosamente. » In tal guisa scriveva Dante di Beatrice nella Vita Nuova, perchè l'amor suo era un'innocente È di qui evidente che, estinta Beatrice, inclinazione di un cuor gentile per donzella cominciava l' Alighieri a dare al suo amore adorna di tutti i pregi. Egli che con tanta una nuova e più sublime direzione, poichè energia ci lasciò descritti nelle sue opere appena applicatosi con quanto studio poteva tutti i moti e tutti i trasporti dell' infiam- all' acquisto delle filosofiche discipline, mimato suo cuore, si fa sempre gloria di es- rava già a far l'apoteosi di quella gentile donsere stato nell' amor suo per Beatrice gui-zella, col celebrarne nel preconcetto Poedato pel sentiero della virtù, ed esclama ma (1) le virtù, anzi col formar di Lei la

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(1) Noi siamo d'opinione, e crediamo poter fino ad un certo segno provare, che l' Alighieri si proponesse scrivere, e fors' anche incominciasse, il suo maraviglioso poema (del quale il principal personaggio esser doveva la diletta Beatrice) nell' età press' a poco di

:

cere sarà di Colui, a cui tutte le cose vi» vono, che la mia vita per alquanti anni » perseveri, spero di dire di lei, quello che » mai non fu detto d' alcuna. »>

cinque lustri, quando cioè trovavasi frai vivi quella gentilissima donzella, che fu senza al cun dubbio la prima causa movente lo sviluppo dell' immenso ingegno di Dante.

Narra il Boccaccio nella vita del nostro pocta (pag. 47.), e più diffusamente nel Com

DI P. I. FRATICELLI

Virtude istessa. Questo secondo amore, che chiameremo intellettuale, nuovo di forma e di sostanza, da Dante veramente creato e sentito, siccome dal Petrarca forse pure immaginato, fu quello, dice il Biagioli, che ogni

influenza sulla mente innamorata operando,
fu in lui priucipio e seme d'ogni ben fare,
stimolo a virtù, eccitamento al valore, e fonte
di tanti concetti impossibili a formarsi da
ogni altro umano discorso; amore infine, il

mento alla Divina Commedia, che l'Alighieri ille satis intelligens Dominus bene notata aveane composti sette Canti innanzi l'esilio. ostendit fideliter Danti, rogans, ut non diEgli asserisce di aver ciò inteso da un cu- mitteret sine fine opus, cui fecerat lam algino, per parte di sorella, di Dante istesso, tum principium. Dantes, opere viso, fertur Redditus est mihi maximus labor da Andrea cioè di Leone Poggi, il quale tro- dixisse: vati quei setti Canti in certi forzieri, sottratti cum honore perpetuo. — Ergo fato volente, al furor della plebe, più vaga di preda che et Marchione instante, non sine magno labodi vendetta, portolli a leggere a Dino di Mes-re conatus resumere altam phantasiam quam ser Lambertuccio Frescobaldi, che dallo stile omiserat, incepit de novo procedere et contie dalla profondità della materia argomento nuare materiam inchoatam. » —— esser opera dell' Alighieri.

Di questo fatto abbiamo dunque tre storiche autorità, per abbatter le quali non ci sono dati sufficienti e positivi. Anzi il Boccaccio e Benvenuto pretendono vedere a chiare note indicato il punto della continuazione in quelle parole del primo verso del Canto VIII. Ï' dico seguitando, ec. Vediamo adesso se le prove intrinseche, che dalla cosa istessa possiamo trarre, smentiscono o convalidano la nostra

Leonardo Bruni, il quale protesta di non avere, per la Vita di Dante da lui composta, attinte le notizie che da pure fonti e sicure, e di non avere, siccome il Boccaccio, scritta una novella invece di una storia, non avrebbe mancato, nella stessa guisa che ha fatto in molte altre cose, di contradire in un tal punto al Certaldese, quando questi non avesse seguita la verità; allorchè con tante partico-opinione. larità racconta come seguisse la perdita e il ritrovamento di quei primi sette Canti, e come Dante proseguisse quel lavoro nel tempo del sue esilio, a ciò spronato dal marchese Moroello Malaspina, cui il Poggi e il Frescobaldi rimisero i rinvenuti Canti, affinchè in mano di Dante li riponesse. Ma il Bruni invece convalida e certifica la narrazione del Boccaccio, dicendo (pag. xx.) che Dante cominciò la sua principale opera, cioè la Divina Commedia, avanti la cacciata sua che dipoi in esilio finilla.

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e

Benvenuto da Imola, il quale scrisse il suo Commento alla Divina Commedia nell' anno 1376, soli 55 anni dopo la morte di Dante, racconta pur egli il fatto narrato dal Boccaccio. - a Dantes, egli dice, quando expulsus fuit de patria, fecerat de opere suo solummodo septem Capitula. Quum autem, more exulum, incertus suae fortunae, pluribus annis vagus, moraretur cum diversis Dominis, noluit Divina Providentia quod tam egregium opus perderetur. Accidit ergo, quod quum quidam rimaretur inter certas scripturas Dantis, in quibusdam confinis portatas ad loca sacra, quando ingrata turba magis avida praedae quam iustae vindictae, cucurrerat ad domum eius, reperit dicta septem Capitula. Quibus cum admiratione lectis et inspectis, subtraxit sagaciter de loco ubi erant, et portavit ad quemdam civem nomine DiNum eo tempore famosum eloquentem in Florentia. Questo Dino, l'abbiamo già detto, è il Frescobaldi, non però il Compagni lo Storico, siccome malamente opinò il Muratori. Et breviter pro perfectione operis imperfecti miserunt ista Capitula Marchioni Marcello Malaspina, cum quo tunc Dantes erat. Quae

Nella Vita Nuova Dante dopo aver detto che si propose di prender sempre mai per materia del suo parlare quello che fosse lode della gentilissima Beatrice, aggiunge, rinnovando il suo proponimento, che poco appresso la morte di lei stabili di trattarne in un modo più degno, e che per giungere a ciò, studiava quanto poteva: sicché se piacere fosse stato di Dio, che la sua vita per alquanto perseverasse, sperava dire di Beatrice quello che mai era stato detto d'alcuna.

Ecco adunque una solenne promessa dell' Alighieri di volere erigere un gran monumento del suo letterario ingegno alla memodi Dante passo ria dell'amata donzella. Ma nel non abbiamo soltanto una vaga e nuda promessa: abbiamo di più che quegli studiava quanto poteva, sicchè chi avesse allora ascoltate le sue parole, avrebbe dovuto ripromettersi un lavoro degno di lui e di cotanti suoi studi.

Ma vorremmo noi dubitare che Dante non più si curasse di attenere la sua non forzata promessa? Non è pure da porsi in campo una simil questione. Come, con quali dati, con quanta probabilità potremmo noi dire che Dante obliasse per sempre la sua Beatrice? Improbabile essendo che l'Alighieri non mandasse ad effetto il suo proponimento, resta a vedersi quale sia quell' opera, che esser dovea consacrata a dire di Beatrice ciò che mai era stato detto d'alcun' altra donna.

Esser non può quest' opera il Libretto della Vita Nuova, poiché Dante si propose scriverla, terminato già quello. Esser non possono i Trattati de vulgari eloquio e de Monarchia, poichè quivi non si celebrano le doti e i pregi di donzella, e d'altronde conosciamo i mo

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