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NOTE

DHOKO

AL SALMO I.

(1) Con perfetto amore, cioè con puro amore, scevero d' ogni collera. Correggimi, non come nimico, lasciandomi per vendetta trascinare alle mie passioni; ma come Padre, per emendare semplicemente in me la mia colpa.

(2) Cioè a chi sospira per vera contrizione di cuore, e per desiderio sincero di tornare a Dio: perchè non ogni sospiro è sufficiente a conciliarci la divina misericordia.

(3) Lo stesso che abbi; e lo scambiamento del B nel G non è infrequente nella Lingua Italiana; come è chiaro da molte altre parole, quali sono Debbia, Gabbia, Subbietto ec. che si voltarono spesso in Deggia, Gaggia, Suggetto ec.

(4) Tutti i miei vigori, cioè tutte le mie forze; e intende delle spirituali, perchè per la colpa mortale si perdono in fatti tutti gli abiti soprannaturali, produttivi dagli atti meritorii della grazia; non rimanendo più nel peccatore, che una Fede morta, e una fredda Speranza.

Dante piacque più Cargare e Cargo, come
usan dire i Lombardi, che il Toscano Car-
care e Carco. Gli Etimologisti derivano la
detta voce dal Carrus de' Latini corrotto dal
Currus: onde a' barbari tempi venne il la-
tino Carricare, per Aggravare. Così il Pseu-
do-Jeronimo (De XII. Script. Eccles. ), par-
lando d' Origene, lasciò scritto: Oneribus
maioribus carricabat se. Ma se derivata fos-
se la detta voce da Carrus, avrebbe dovuto
scriversi Carricare costantemente con dop-
pia R. Potrebbe per avventura più tosto es-
ser la medesima originata da' popoli della
Caria, i quali avevano per lor peculiare me-
stiero di fare il facchino. E i Servi erano
appunto da' Greci chiamati Cari: onde dice-
vano nelle lor Feste Florali: fuori i Cari,
per fuori i Famigli; e all' usanza Carica
era un Proverbio appo i medesimi, col qua-
le volevano dire all'usanza Facchinesca,
cioè incivile e impropria del che si può
leggere Erasmo (Adag. Chil. pag. 25 e 969).
Onde da Cari, Carcare forse all' Italia è
venuto; e Gargar alla Spagna; siccome dal
Greco Botarica s'è fatto tra noi Botarga
e dal Greco Macara, s'è fatto Magara, e
così discorrendo: moltissime essendo le gre-
che voci, che noi abbiamo, dove la K in G
è mutata.

(5) Vermo invece di Verme, per cagion della rima il che usò questo Poeta altresì nella Cantica dell' Inferno (Cant. 6. vers. 22. Cant. 29. vers. 61. Cant. 45. vers. 108 ). (8) Fiata è voce trissillaba, come deriE per gran Vermo intende egli il gran vata dal verbo Fiat de' Latini: nè si è fatta Dragone, come si dice nell' Apocalissi (Cap. bissillaba mai, che per larga licenza. Tutta XII. n. 9): il Serpente antico, che è chia- fiata vale poi il medesimo, che continuamato Diavolo, il quale seduce tutto il Mon-mente, con assiduità, sempre più, o sido ec. mil cosa. Così il Boccaccio (Giorn. II. Nov. (7) Dante ha nell' interpretazione dell' ul-7): Quello non cessando, ma crescendo timo senso di questo secondo Versetto, seguitato il Testo Ebraico, che così dice: E le mie ossa son divenute tremanti; come che poeticamente abbia egli ciò espresso, dicendo, che non ha osso, che possa star fermo.

(7) Così trovo in questa Traduzione costantemente stampato, cioè Cargo invece di Carco; Discurghi invece di Discarchi ec. Nè si può ciò attribuire a errore dell' amanuense, o della stampa: poichè del contrario ci famo fede le parole compagne di rima, usate nell' interpretazione del terzo Sal

mo,
che sono Letargo e Largo. Gli Spa-
gnoli dicono Cargar e Cargo, e i Francesi
Charger e Charge. Per avventura anche a

tuttafiata.

(9) Questa replicazione dell' avverbio Presto è molto ben qui locata: perciocchè dimostra la premurosissima sollecitudine, che Davide avea, di uscir del peccato.

(10) I nomi sostantivi era uso antico di terminarli nel plurale alla maniera de' neutri latini, come le Pugna e le Collella nel Novelliere; le Castella e le Munimenta nel Villani; le Demonia e le Peccata nel Passavanti: onde il Davanzati altresì, a cui piacque vestir le brache all' antica, volle pur dire le Letta e le Tetla ec.

(11) Ottimamente usa qui Dante la voce Molesto, relativamente al Cargo detto di sopra: poich' essa, come osservò il Passerat, è

fatta da Mola, ch'era la pena de' servi, che più lor dispiaceva; e vuol dire : non siate contra me sì cruccioso (facheux direbbe un Francese) di lasciarmi più a lungo sotto il peso de' miei peccati ec.

(12) Di questo stesso argomento si valse poi anche Ezechia (Isaiae cap. 38. v. 18): Perciochè l'Inferno, diceva questi, non darà gloria a te; nè la Morte loderà te: quelli, che scendono nel lago, non ispereranno nella tua verità.

(13) Si ricorde, invece di si ricordi: licenza usata in grazia della rima non pur da Dante, ma dal Petrarca eziandio, che così scrisse:

«Che convien, ch'altri impare alle sue spese » (Canz. Mai non vo' più cantar) invece di impari.

(14) Intende dell' eterna morte; poichè nella morte naturale le anime, separatesi dai loro corpi in grazia di Dio, seguitano ad amar lui e a lodarlo. E l'interpretare, che alcuni han fatto, il Profeta, come se avesse parlato della semplice natural morte considerando qui solo i corpi da sè nel sepolcro disanimati, è una stiracchiatura e scipitezza assai frivola.

(15) Cioè, se tu mi sgravi della colpa, che sommamente mi pesa ec.

rebbe soverchia esquisitezza nel parlare o scrivere famigliare, il dire Amavate, Sentivate ec. invece di Amavi, sentivi ec. Onde non è maraviglia, se i Poeti si lasciarono talora o dalla necessità della rima condurre a questo modo di dire, ovvero dalla strettezza del verso; come fece Guittone d' Arezzo, che così scrisse:

Sospira il core, quando mi sovvene,

"

Che voi m'amavi, ed ora non mi amate. e nel Sonetto « Mille saluti v' mando » ec. E come a visco augel m'avi pigliato. Ma queste sono licenze da non praticarsi, che per grave bisogno ne' versi: perchè quanto alle prose i buoni scrittori, lasciando a' Fiorentini così fatto idiotismo, scriveranno sempre giusta più tosto la buona regola, che secondo l'abuso di quelli.

(18) Invece di Oimè (interiezione), ovvero Ahi lasso! che altri disse, o simil cosa. Omei poscia, invece di Oimè, fu non solamente dall' Alighieri, ma da altri ancora adoperato. Così il Boccaccio (Amor. Vision. Cant 8): In abito crucciato con costei

Seguia Medea crudele e dispietata:
Con voce ancor parea dicere, Omei!
E Cin da Pistoia (Madr. Donna il beato punto):
Cui non rimase vita,

Nè lena tanta, che dicesse, Omei!
altro Antico (Rim. Ant. lib. X. Canz,
Oimè lasso)

Ed

(16) Intende sotto il nome de' suoi nimici tutti coloro, che l'hanno indotto a peccare, tanto uomini, che demonii; e dice di essere afflittissimo, sulla considerazione principalmente, d'essersi invecchiato nella sua colpa, cioè d'aver in essa perseverato per molti mesi; da che quando Natano fu ad ammonirlo, già gli era nato di Bersabea il figliuolo: onde per lo men nove mesi dalla (19) Cioè m'ha preso sotto la sua protesua colpa esser dovean già trapassati. Davi-zione, o sotto l'ombra dell' ale sue, come alde poi qui altamente si umilia, per muove- trove questo Profeta si esprime. re più a pietà di lui il Signore: paragonandosi, e posponendosi infino, per questa sua lunga durazione nel peccato, agli stessi de

monii.

(17) Conducesti invece di conduceste. Lionardo Salviati (Avvert. lib II. cap. 10.) scrive, che Voi mostrasti, Voi diresti, e simili, invece di Voi mostraste, Voi direste ec., eziandio nel miglior secolo, non che nella favella, alcuna volta trascorsero nelle scritture; e ne allega non pochi esempli, tra i quali sono: lo vorrei, che voi mi vedesti (Boccac. Giorn. VIII. Nov. 9): Voi perdonasti alla Maddalena (Tav. Rít.): Per quel lo, che voi mi dicesti (Stor. di Barlaam): Voi facesti tanto, che Voi avesti Consoli ec. (Stor. di Livio): ed è divenuto idiotismo si proprio de' Fiorentini il valersi della seconda voce del singolare, invece di quella del plurale, che Giambatista Strozzi nelle sue Osservazioni intorno al Parlare e Scriver Toscano (Pag. 52.) afferma infino che sa

Finir non deggio di chiamar Omei!

(20) La parola Rogna, usata da Dante altresi nella Cantica dell' Inferno, dispiacque veramente al Bembo, al Nisieli, e ad altri Critici, che riguardandola come incivile e sor dida, ne lo censurarono però, e nel ripresero d' averla usata. Ma a giudicare con rettitudine, io credo, che a' tempi di Dante non fosse la medesima si stomachevole e brutta, com'è poi divenuta, e com' era a' tempi del Bembo. Il Menagio nella Origine della Lingua Italiana deriva si fatta voce dal Rubigo de' Latini, per queste vie: Rubigo, Robigo, Robiginis, Robigine, Rogine, Rogina, Rogna, per esser la Rogna, com'e' dice, quasi la Ruggine dell' uomo: e in questa opinione segue egli il Ferrari. Ma ci vuol ben della forza per tenere a si fatte etimologie le risa. Rogna è fatto dal Ronger de' Francesi, che significa rodere: onde Ronge, Rodimento, che si è poi da' Francesi applicato alla ruminazione degli animali; e in Provenzale, Rongia per Rosione. E poi nota la trasposizione, che

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in non poche parole fu praticata della Gel (2) Cioè avanti al Trono di Gesù Cristo neldella N onde Ponghiamo e Pogniamo, si l'estremo giudizio: Quando verrà il Figliuodice per esempio in Italia, Spongia e Spo- lo dell' Uomo nella sua maestà: e tutti gli gna, Venga e Vegna, Tenga e Tegnia. Co- Angeli con lui ec. (Matth. XXIV. v. 31 ). si di Rongia ci venne Rogna. Il Bastero in- (3) Teme in iscambio di Temono: maniéfatti (Crusc. Provenz.) questa voce tra quel- re di dire usata dall' Alighieri, non pur in le pur numera, che ci sono dalla Provenza questa Versione, ma anche nel suo maggior venute. Ora tal voce, come novamente nella Poema, donde sei esempli se ne possono venostra favella a' tempi di Dante introdotta, dere, da me allegati nella Storia e Ragione ne' quali la parlatura Francese, o Francesca, d' ogni Poesia (Tom. I. pag. 478 479). Il come dice, e narra Brunetto Latini (Tesor.), medesimo Dante nel suo Convivio (Fol. 94. ) era la più comune di tutti i linguaggi, per- si scrisse riluce in essa le intellettuali e chè non potè egli adoperarla con laude in le morali virtù: riluce in essa le buone disignificato di Incentivo, Tentazione, Stimo- sposizioni da Natura date: riluce in essa lo, o simil cosa, nel qual senso è qui in fatti le corporali bontadi: e il Crescenzio (Lib. usata, come dal contesto apparisce? Le voci III. cap. 2.) Si dee cercare il luogo, doacquistano nell' estimazione degli uomini no- ve spiri i venti australi : e'l Villani (Lib. biltà o bassezza dall'uso, che se ne fa nel V. cap. 1.) Al qual (Nome Imperiale) scparlare. Potè pertanto la detta parola dive-lea ubbidire tutte le nazioni : e Fazio (Ditnire passo passo triviale, e per fin sordida, come la riputarono a' tempi loro il Bembo e il Nisieli, senza che tale fosse ne' suoi principii, e senza che Dante però peccasse in usarla a' suoi giorni.

AL SALMO II.

tam Lib. V. cap. 5. ) Liso la nominò gli Antichi; e altrove ( Cap. 12. ) Sì nacque le prime genti di questo paese e il Boccaccio (Fiam. lib. V. n. 131. ) Corsevi il caro marito, corsevi le sorelle. Questa maniera di accordare in diversi numeri i nomi e i verbi, come questi fossero assolutamente posti, è propria della Lingua, e molto usata, dice il Bartoli, ( Tort. e Dirit. n. 108.) il quale molti altri esempi ne allega. Ma non è per tanto questa maniera si propria della volgar nostra Lingua, che non fosse da' Latini altresì usata, e da' Greci, presso a' quali era nominata Enallage, come da'Grammatici fu osservato.

così dice in questo luogo: Aspettando che il calor gli tocchi; in iscambio di dire, Aspettando che si riscaldano un poco: come nella sua Cantica dell' Inferno aveva pur detto, a cagion d' esempio, Dove il Sol

(1) Le persone, che godono della grazia di Dio, sono in tre classi divise. La prima è di quelle, che cadute in grave colpa, si sono per la penitenza giustificate. La seconda è di quelle, che non sono giammai in grave colpa cadute; tuttochè di qualche imperfezione e venialità macolate, secondo il detto della Scrittura (Prov. Cap. 24. n. 16) Sette volte cade il Giusto. La terza è di (4) Ristretti in sè stessi, e raggruppati. quelle, che, tranne la colpa d'origine, sono (5) Ermogene e Longino commendano sodel rimanente innocenti del tutto, e pure; pra tutte l'altre quelle metafore, le quali come sono i pargoletti morti dopo il Battesi- attribuiscono senso alle cose, che ne son primo, a cagione d'esempio ec. Tutt'e tre que-ve. Dante fu nell'uso di queste preclaro: e ste classi sono da Davide qui accennate in principio, e dette Beate; volendo farci comprendere, che tutti coloro sono veramente invidiabili, che hanno la grazia di Dio. La prima classe è accennata nel primo versetto. La seconda in quelle parole: Nec est in spi-tace, per Dove non è il Sole. ritu eius dolus, o come altre versioni hanno: Nec est in ore eius dolus, dove supponendosi la potenza della volontà agli atti dolosi e iniqui, a' quali non si è però determinata, si vede, che parla egli degli adulti. La terza in quelle parole: Cui non imputavit ec. per esser la colpa originale quella sola, che non ci è propriamente imputata da Dio a mancamento di nostra attual volontà, che sola è il principio del merito e del demerito, quantunque come vero reato contratto dal primo padre, peccatori da sè ci costituisca, e rei di pena. L' Alighieri ha volute queste tre classi dichiarare nella sua versione con alquanta maggior chiarezza; la prima nel primo Terzetto; la seconda nel secondo; e la terza nel terzo.

(6) S'invecchiaro, cioè scemarono di vigore, si dimagrarono ec. e non intende l'Autore di tempo, ma è metafora, che s'usa pur oggi, dicendo d'uno divenuto per alcun accidente disfatto e smunto, che si è 'nvecchiato. Tale infatti è la significazione dell'Ebraica voce Balu, che S. Girolamo rese però ottimamente così: Le ossa mie si sono consumate.

(7) Il Testo Latino Dum clamarem tota die, è stato variamente dagl'Interpetri spiegato. Teodoreto seguitato dal Bellarmino o da altri, lo ha inteso, come se Davide detto avesse: Poichè io tacqui perseverando nel mio peccato; però non rifinando io di gridare per un vero sentimento di penitenza, le mie ossa si sono consunte. All'opposito i Santi

Girolamo e Agostino lo hanno spiegato, co- | flettendo ai calamitosissimi tempi, che il preme se Davide avesse ivi voluto dire: Poichè cederanno, ne' quali Sarà, dice Sofonia ( Cap. io tacqui perseverando nel mio peccato, le I. v. 24), tribolato lo stesso Forte; e Samie ossa si sono estenuate per le continuerà gran tribolazione, come dicea lo stesso inquietudini e rimorsi; ed io senza riflet- Redentore ( Matth. XXVI. v. 21 ); Ah! esclatere alla cagion de' miei mali, andava scioc-ma, che non tutti tra quelle tentazioni si sercamente tutto il giorno mettendo querele e beranno costanti; nè tutti se la terranno con gridori. Dante ha seguitata questa seconda Gesù Cristo. Infatti, dicea l'Apostolo Paolo, interpretazione, che è la più naturale, anzi scrivendo a Timoteo ( Ep. II. cap. 3. v. 1. la vera, atteso il contesto. Nè solamente a ec.): Sappi che negli ultimi giorni sopravprevenirla vi ha premessa quella similitudi- verranno tempi pericolosi, e saranno gli uone di chi teme il gelo, molto bene adatta- mini amatori di sè stessi, pieni di cupita; ma vi ha aggiunto, Come fan gli scioc- digia, vanagloriosi, superbi, disubbidienti chi; perchè questi in verità si affannano e a' loro maggiori, ingrati, scellerati, sengridano, senza tuttavia aver ricorso agli op-z' affetto, senza pace, calunniatori, inportuni rimedi. continenti, crudeli, senza benignità, tra

(8) Così nel suo Poema, di chi è uscito ditori, protervi, orgogliosi, e amatori delle fuor del pelago alla riva, con non dissimil voluttà, più che di Dio, aventi un appamaniera disse: Si volge all'acqua periglio-renza di pietà, ma alieni dalla sostanza sa e guata.

di essa. Ed ecco perchè dice l'Interprete : Ma gli orrori ec. cioè a dire: Ma le cose che spaventeranno l'uomo dalla via della verità in quel diluvio di molte acque, cioè in quel diluvio di iniquità e di errori, come bene interpreta S. Agostino (In Psal. XXXI.

(9) Vuol dire, che la confessione del suo peccato sarà sincera, non nascondendolo, non iscusandolo, nè alleggerendolo. Dante ha seguito qui il Testo Ebreo, che ha il futuro Hodiacha (Cognitum faciam ) Farò noto; dove la Volgata ha (Cognitum feci) Hovers. 8), saranno tante, che non tutti si falto noto; sebbene è tuttuno, da che sovente nella Sacra Scrittura l'un tempo è posto per l'altro: e questo Interprete entrato nel vero sentimento di Davide, passa tosto a spiegarlo.

terran saldi incontro ad esse; nè avranno il coraggio d' approssimarsi a colui, che si fece uomo per noi, e disse (Joan. cap. XIV. n. 6): Io sono la via, la verità e la vita.

(14) Ora se i Santi non tutti si terran forti (10) Questa è quasi una correzione, come in quel diluvio di pericoli, che farò però io, se dicesse: Che dico io? ti voglio dir la mia dice qui Davide, in mezzo di tante tentazioni, colpa? Tu sai, Signore, che te l'ho già det-che, come nimici miei, mi vanno perseguita: e tu, come pieno d'infinita bontà, me l'hai già condonata.

tando, per farmi cadere nel male? Ecco quel, che farò, soggiunge egli, e che ciascuno far dee al mio esempio. A te, Signor, ricorro lagrimando ec.

(11) È qui da avvertire, che gli antichi Rimatori non solevano elidere quelle vocali, che erano seguite da qualche altra aspirata, (15) De' miei nemici, cioè de' nemici deldel che moltissime prove si possono addur-lo spirito mio, come sono il Mondo, il Dere, e molte ne ho io in fatti altrove allegate monio e la Carne.

(Stor. e Rag. d'ogni Poes. T. I. pag. 665. (16) Consummi con due M, com' è chiaec.) Ciò è manifestissimo segno, che qual-ro per le voci, che con quella consuonano: che cosa nell'aspirazione facevan pur essi sen-e qui è tratto dal latino consummare, usato tire, che suppliva al tempo mancante di quella sillaba, la qual pronunzia gl'Italiani ammolliti hanno tuttavia perduta; forse per non isconciarsi con quell' incomodo.

da Cicerone, da Plinio, e da altri, che vale Condurre a fine, o Finire; e derivato da Summa, che vale Ristretto, Somma, e da Con; quasi dica: nou consentire, Signore, che la potenza de' miei avversari mi finisca, ini uccida ec.

(12) Il senso è: Per questa tua infinita benignità, colla quale i peccatori a penitenza ricevi, tutti i Santi ti pregheranno, (17) Non si avrà in quel regno fame, che vogli con loro esser misericordioso nel- |non sete, non caldo ec., dice Isaia (Cap. l'estremo di del Giudizio. Nol pregheranno XLIX. v. 10); perchè ivi è la pienezza di già in quel giorno, perchè in esso non sarà tutti i beni senza mancarne pur uno; onde luogo ne a clemenza, nè a prieghi; ma i ti- la beatitudine fu da Dio stesso diffinita Ogni. morati di Dio il pregheranno ne' tempi op-bene (Exod. XXXIII. v. 19). portuni, ne' tempi delle tentazioni, e nelle (18) Degnerommi ancora di riguardarti con occorrenze, affinchè voglia esser loro propi-quella spezial provvidenza e protezione, colzio in quel giorno.

(13) In tutto questo Salmo il Profeta si comprende assai bene, che aveva davanti agli occhi il tremendo di del Giudizio. Però ri

la quale soglio adoprarmi per gli amici miei.

(19) Mullo, con doppia t, forse in grazia della rima, con licenza, che ben poteva concedersi a Dante. Ma forse ancora questo no

pril. pag. 48), e scritta poco dopo il principio dell'ottavo secolo, dove così si dice: Decursis huius vitae terminis, ad infinita gaudia spiritus transtolli malit. Transtolli

bile ingegno fu di parere, che si dovesse si | laco, rapportata da' Bollandisti (Tom. II. Ascrivere: perciocchè quasi tutti gli Etimologisti con Isidoro (De Origin.) derivano la voce mulo dal greco myllo, che val macinare, di cui il Tema è myli, cioè mola; perché si fatto animale era usato principal-è qui invece di Transferri; e da quel vermente ne' mulini a mover attorno le macine, o mole: onde venne myllos, mullos, che fu usato in significato di tortuoso, o non dritto, quasi si dicesse bastardo; il che appunto si verifica di tali bestie, che son generate da un asino e da una cavalla.

(20) Trastullo sembra voce qui impropria: poiché pare, che altro non significhi, che un puerile trattenimento. Così spiegando la Crusca il verbo trastullarsi, è, dice, trattenersi con diletti per lo più vani e fanciulleschi. Non è tuttavia ciò vero assolutamente nè attesa l'origine di questa voce, nè atteso l'uso. E quanto all' origine, il Menagio (Orig. della Ling. Ital.) veramente la deriva da Trans e da Obiectulare, onde ne forma Tulare, indi Tullare, e poi Transtullare, e in fin Trastullare. Così, segue egli, da Transoblectulum n'è venuto Trastullo: e di questa sua etimologia, e della sua invidiabile fortuna in averla trovata, fa però a sè medesimo grandissima festa, esclamando: Chi cerca trova. Ottavio Ferrari aveva però già scritto prima di lui, che passavano canzonando l'ozio coloro, che da oblectulare e oblectare, e da trans, volevano tirar la voce trastullare e i suoi derivati. Nel vero nè trans si conviene coll'oblectare, nè l'obleclulare fu mai, salvo che nell'immaginazione del Menagio. Ma non più felicemente il detto Ferrari la derivò da interlusitare; poichè questa voce ha tanto a fare col trastullare, come qualunque altra parola, dove entri la 1, e lar, e la t. Il Muratori (Antiquit. Ital. Med. Evi. Tom. II. Disser. 33) pertanto riprovando amendue le dette derivazioni, e inerendo a ciò, che dice la Crusca, che Trastullo è trattenimento per lo più puerile, pensa, che possa questo vocabolo esser derivato da quell' altro Tollenum, che fra le Leggi de'Longobardi si trova (Leg. LXXXIII. Liutprandi Reg. lib. 6), sorta appunto di pueril passatempo, che i Toscani in oggi altalena dinominano, consistente in una tavola nobile, librata sopra una trave, o altro della quale un capo si alza, mentre l'altro s' abbassa: onde trastullare giudica ei fatto quasi transtollenare. Può anch' esser venuta, segue quest' erudito Scrittore, dalla formola Tollutim incedere, che val Trottare, onde Trastullare sia detto quasi Transtollutare. Finalmente conchiude: Non sarebb' essa già venuta da Trans e Tollo? E appunto dico io, che dal verbo Transtollere che usato fu ne' secoli barbari è venuta la detta voce. Abbiamo esso tal verbo nella vita di S. Ger

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bo ci è venuto Trastullare e Trastullo, quasi si dicesse Trasportare e Trasporto. Onde con recondito sentimento vien qui Dio appellato da Dante Singolare Trastullo, perchè rapisce a sè per amore e trasporta quell' anime, che lo conoscono. Ma in senso ancora di voluttà e beatitudine dell' anima, fu altrove dal medesimo Dante usata la delta voce, così scrivendo nella Cantica del Purgatorio, là dove di Rinieri di Calvoli tien discorso (Cant. XIV. v. 90):

E non pur lo suo sangue è fatto brullo

Tra'l Po, e'l Monte, e la Marina, e'l Reno, Del ben richiesto al vero, ed al trastullo. Io so, che per bene richiesto al trastullo, altri i beni di fortuna; ma questa interpreintendono il Vellutello, il Landino, e gli tazione è molto lontana dal vero, come dal contesto si mostra, poichè soggiunge:

Che dentro a questi termini è ripieno Di venenosi sterpi, sì che tardi, Per coltivar, omai verrebber meno. Parla degli animi efferati e bestiali, ond' era tutta Romagna piena, che circoscrive tra'l Po, e'l Monte, e la Marina, e il picciolo Reno, che scorre di qua da Bologna; e dei nocivi ed orrendi vizi, ch'ivi abbondavano, che intende egli sotto il nome di venenosi sterpi. Or ridicola cosa sarebbe il dire, che non pure i discendenti di Rinieri erano fatti poveri de' beni di fortuna, ma che la Romagna tutta era divenuta viziosa. Bensi, dic' egli, è sì mancata la vera virtù dopo Rinieri, che non pure i costui posteri ne sono brulli, cioè poveri e ignudi; ma in tutta la Romagna non si trova, che vizi. E dice del ben richiesto al vero ed al trastullo, per dire del bene, cioè del savere richiesto alla beatitudine dell' intelletto, che è il vero, cioè una chiara e distinta cognizione delle cose, onde la mente riman soddisfatta e contenta; e del bene, (cioè della virtù) richiesto alla beatitudine della volontà, che è il gaudio, cioè quell' allegrezza, che da un facile e costante esercizio di azioni dirette secondo virtù deriva.

(21) Eccettua i pargoletti, e gli stolti, perchè questi uso non han di ragione, e da' soli sensi sono condotti.

(22) Lo suo velle, cioè il suo volere, il suo capriccio; voce latina usata dal medesimo Dante altresì nella Cantica del Paradiso, (Cant. IV. v. 25) così scrivendo:

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