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quale levandolo da queste nebbie mortali, il fe' poggiare sopra il cielo, e quivi contemplando l'ultimo nostro desio, indiarsi.

Poco dopo la morte di Beatrice, racconta il nostro Poeta nella Vita Nuova, di essersi

bro non intendo. »

incominciato ad innamorare di un'altra Femmina. Ma della bellezza e sublimità del suo amore intellettuale cotanto egli era già acceso, che il terreno pensiero, il quale aveagli per alquanti giorni parlato di quella Fem

avesse per lo meno concepita l'idea della Di

il Dionisi e l' Arrivabene. Ma se vuolsi che Dante, quantunque fermo nel proponimento, differisse l'esecuzione di quella grand' opera, noi diremo ch'ei la differi fino all'epoca in cui fosse stato in grado di parlar di Beatrice più degnamente, vale a dire fino all'epoca in cui egli avesse coll' assiduo studio acquistato i lumi della Filosofia e delle Scienze: la qual cosa dalle parole di Dante islesso (Convito, Trattato II, Cap. 111.) intendiamo esser avvenuta trenta mesi dopo la morte di Beatrice, quando Dante contava già sei lu

tivi che spinsero Dante a comporre quei due Libretti. Esser non possono le morali ed ero-vina Commedia. Di questa opinione son pure tiche sue Canzoni, poichè se Dante ad elogio di Beatrice proponeasi scrivere Canzoni e Ballate, come mai poteva annunziare di voler dire quello che mai era stato detto d'alcuna? Non eran forse state mai scritte Canzoni e Ballate in lode di donna? Esser non può quest' opera il Convito, poichè l'autore, dopo averci fatto sapere (Trattato I. cap. I) che egli incominciò a scriver tal libro dopo l'anno 45 dell' età sua, epoca per vero dire un po' tarda a compiere la promessa, dice voler quivi parlare soltanto di filosofiche dottrine: anzi fino dal principio di quello (Tratt.stri d' età. 11, cap. IX.) si propone ed intende di non Intorno all' anno 1295 noi fissiamo pervoler punto (se non per incidenza) parlare tanto l'incominciamento della Divina Comdi Beatrice, così protestando: -Dell' im- media, o per dir con maggior precisione, mortalità dell'anima ragionando, sarà bello l' incominciamento dei sette Canti rinvenuti terminar lo parlare di quella viva Beatrice da Andrea Poggi, nel rivedere i quali Dante beata, della quale più parlare in questo li-cosi esclamò alla presenza del Malaspina: Ór dunque se nissuna Certo io mi credea, nella rovina delle mie di queste opere è quella che fu scritta da cose, questi con altri miei libri aver perDante per celebrare in alto e inusitato modo duti: e però per questa credenza e per la molla sua Beatrice, esser dovrà necessariamente titudinc delle altre fatiche per lo mio esilio la Divina Commedia. Ma potrà oppormi ta- sopravvenute, del tutto avea l'alta fantasia, luno: Credete voi che il sacro poema sia l'ef- sopra quest' opera presa, abbandonata. Ma fetto soltanto dell' amore? Dir non pretendo poiché la fortuna inopinatamente me li ha già questo; ma dico e sostengo che l'amor rispinti dinanzi, ed a voi aggrada, io cerper Beatrice da una parte. siccome l'ira ghi-cherò di ridurmi a memoria il primo probellina da un' altra, il desiderio di fama, la posito, e procederò secondo mi fia data la sete di vendetta, ed altre umane passioni in-grazia. › Questi sette Canti esser doveano fiammarono il petto e la mente dell' Alighie- affatto terminati allor che Dante fu eletto del ri, si che in quell'opera ammirabile, la Di- numero de' Priori, la suprema Magistratura vina Commedia, tutti diffondesse i tesori della della Repubblica Fiorentina; poichè non è sua dottrina e del suo ingegno sublime, come presumibile che negli anni 1300 e 1301, i tutto palesasse lo stato del suo cuor tempe- quali furono i più tempestosi della vita di lui, stoso ed ardente. non tanto per le animosità delle fazioni cui Se dalla Vita Nuova non può trarsi molto dove opporsi, quanto per le cure gravose che vantaggio per l'intelligenza della Divina Com-fu costretto addossarsi, potess' egli attendere media, può trarsene grandissimo per l'argo- un istante a quel suo faticoso poetico lavoro. mento che adesso trattiamo. Nella prima Can- A prima vista crederà taluno poter distrugzone riportata da Dante in quel suo Libret-gere tutti gli argomenti, da me finora adto, leggesi alla Stanza seconda, che avendo gli Angeli e i Santi domandato al Signore di levar dalla terra al Cielo Beatrice, come quella che per l'eccellenza delle sue virtù, avrebbe fatta maggiore la festa del Paradiso, piacque a Dio risponder loro in tal guisa:

Diletti miei, or sofferite in pace,
Che vostra speme sia quanto mi piace
Là ov'è alcun che perder lei s'attende,

E che dirà nell' Inferno a'mal nati;
I'vidi la speranza de' beati.

Il qual passo prova evidentemente che l'Ali-
ghieri allor che scrisse quella Canzone, cioè
nell'anno venticinquesimo circa del viver suo,

dotti, coll' obbiettarmi: che, siccome l'epoca fittizia del poema è incontrastabilmente l'Aprile del 1300, e siccome l'allegoria della Selva, (in cui fin dal principio del poema dice essere entrato il poeta), rappresenta il governo di Firenze, nel quale sappiam con certezza essere entrato Dante l'anno suddetto; così per questa ragione, come per l' altra, che pur nella prima Cantica si parla (a modo di predizione) di fatti posteriori al 1300, non può la Divina Commedia, anzi la prima Cantica ed il Canto primo, supporsi scritta avantichè quei fatti seguissero.

Nissuna difficoltà possiamo avere nel convenire, che Dante finga intrapreso il suo poe

mina, gentile in quanto di gentil donna ragionava, cominciò ben presto ad esser da lui tenuto vilissimo.

Ma che Dante si tenesse anche in seguito saldo ognora contro i colpi d'amore, è Cosa molto dubbia: e noi infatti non sappiamo veder nulla d'improbabile e di straordinario, se un uomo, il quale fino dalla sua prima gioventù avea provate le fiamme amorose, un uomo d'ardente immaginazione, un poeta infine, privo per morte del caro oggetto dei suoi primi sospiri, e lontano per l'esilio dalla sua sposa (che peraltro non riempi giammai il vuoto lasciato dalla partita di Beatrice) abbia potuto provar talvolta nel corso della sua virilità un' inclinazione amorosa, un naturale affetto per una qualche femmina, di bellezza e di bei pregi adornata. Nella qual cosa sarebbe più facilmente da scusarsi l'Alighieri che il Petrarca, il quale, mentre profondeva nei suoi versi tanta purità di sentimenti e tanto entusiasmo di virtù, mentre descriveva la sua fiamma per Laura come unica ed esclusiva, facendosi credere un martire sublime dell'amore platonico (1), teneva, vivente Laura, e nella stessa città d'Avignone, commercio con un' altra donna, dalla quale sappiamo avere egli avuto due figli naturali.

tico viaggio il 4 Aprile del 1300, e nel riconoscere epilogati nel primo Canto della sua prima Cantica i principali avvenimenti a lui occorsi in ventidue mesi, cioè dal marzo dell'anno suddetto fino al gennaio 1302. Ma con questo fatto, del quale pienamente convenghiamo, vien forse a distruggersi tutto quello che coi dati storici e colle prove intrinseche ci siamo finora ingegnati provare? No: perciocchè noi diremo che Dante, allor che si pose a continuare la sua Divina Commedia, il che fu nel 1306, (poichè non prima di quell' anno si portò presso il Marchese Malaspina) rifece tutto o quasi tutto il Canto primo, come egualmente nel Canto sesto rifece od allungò la parlata di quel fiorentino, nel terzo cerchio tormentato

Per la dannosa colpa della gola.

Se Dante infatti, estinta Beatrice, non avesse amato altre donne, come mai avrebbe,potuto meritarsi i rimproveri di quella donzella?

Nel Purgatorio C. XXX, dopo aver raccontato, come il suo spirito, il quale erasi assuefatto per tanto tempo a stare colla presenza immaginaria di Beatrice, non si rimase affranto di stupore, trovandosi alla di lei presenza vera e reale, in tal guisa prosegue, dicendo: - Non potendo io cogli occhi aver conoscenza di Beatrice (poichè ella era velata) un raggio dell' occulta virtù (della virtù intellettuale) il quale mosse da lei, fece si ch' io

D'antico amor sentii la gran potenza. E tosto che mi percosse nella vista l'altra virtù (la virtů sensitiva), la quale aveami trafitto

Prima ch'io fuor di puerizia fosse (2), volsimi alla sinistra per dire a Virgilio, il quale io credeva tuttor li presente: men che dramma di sangue m' è rimasta, la quale non tremi;

Conosco i segni dell'antica fiamma.Quindi Beatrice prende la parola, così rim

sentemente (meno il primo e la parlata di Ciacco nel sesto, che furono certamente rifusi) son quelli medesimi scritti da Dante innanzi del suo esilio: cosicchè a Firenze, o per meglio dire all' amor di Beatrice debbesi in qualche parte la gloria dell' incominciamento della Divina Commedia. Della qual cosa esser non può minor riprova delle addotte il veder come fin dal principio del poema, nell'Inferno istesso (Can.II, 52 e seg.) trovi l'innamorato poeta occasione di parlare a lungo per bocca di Virgilio della diletta Beatrice e di celebrarla con alte lodi, come di far conoscere al lettore, che solo per l'amore di quella

Uscir poté della volgare schiera.

(1) — « Si è creduto comunemente che i nostri primi poeti abbiano ricavate le loro sublimi idee, o piuttosto le loro inconcepiE che può esservi d'improbabile nel dir che bili chimere sull' amore dai libri di Platone, un poeta, il quale dopo il lasso di cinque e questo è un errore. La filosofia di Platone anni riprende un lungo intermesso lavoro, fu conosciuta assai tardi in Italia. ... . Il possa cambiarne od aggiungerne alcun trat- vero Platone di Dante e del Petrarca, come to? E non è stato forse da molti Comentatori di tutto il nostro occidente letterario, era alaccennato, che la parlata di Ciacco sembri, lora S. Agostino. Le opere di questo Padre sto per dire, intrusa, perchè non conveniente tutto platonico formavano in generale la fial carattere di persona si scostumata e si vile? losofia di quei tempi; e quelle parole disce E non è stato forse osservato, che il primo amare in creatura creatorem, et in factura Canto, il quale dee considerarsi come un'in-factorem, furono bastanti per fondarvi sopra troduzione a tutta l'opera, debba essere stato | tutti i sistemi amoroso-platonici dei nostri priscritto dopo che una parte del poema era di mi rimatori entusiasti.» Torti Prospetto già composta? del Parnaso Italiano, part. I, cap. III. Adunque i setti Canti, che abbiamo pre- (2) Cioè nel suo nono anno. DANTE. Opere Minori.

3

proverandolo:-oh! Dante, poichè Virgilio se | meglio vergogna del tuo errore, e perchè, n' andò, non piangere ancora, chè ti conver-udendo altra volta le Sirene, tu sia più forrà ben tosto piangere per più importante ca- te, calma il dolore, cagione del tuo pianto, gione. Per dono di natura, per l'influsso be- ed ascolta, nigno de' cieli, e per larghezza delle divine grazie tu eri nella tua età giovenile in così buona disposizion naturale, che ogni tuo abito virtuoso, se si fosse applicato al bene, avrebbe fatto in te prova mirabile.

Ma tanto più maligno e più silvestro Si fa 'l terren col mal seme e non colto, Quant' egli ha più di buon vigor terrestro. Ti sostenni alcun tempo colle attrattive del mio volto; e coll' innocente potere degli occhi miei giovinetti ti condussi per la retta via. Ma

Quando di carne a spirto era salita,

io cominciai ad esserti meno cara e meno gradita, e tu a me ti togliesti dandoti in preda ad altri amori, e volgendo i tuoi passi per via non vera,

Immagini di ben seguendo false,
Che nulla promission rendono intiera (1)
Non mi valse il richiamarti al dritto sentie-
ro colle ispirazioni e coi sogni: tanto ti abban-
donasti al tuo acciecamento, che per ritrar-
tene mi fu d'uopo mostrarti i castighi delle
perdute genti.-Nè qui si arresta il rimpro-
vero di Beatrice, perciocchè ella così pro-
segue (Canto XXXI.): - Ma dimmi, dimmi,
se questo, di che io ti rimprovero, sia vero:
tanta accusa conviene esser congiunta alla
tua confessione. - Dante confuso e pauroso,
a voce bassa risponde di sì: quindi dopo la
tratta d'un amaro sospiro esclama piangendo:
Le presenti cose

Col falso lor piacer volser miei passi
Tosto che il vostro viso si nascose.

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Si udirai, come in contraria parte Muover doveati mia carne sepolta: Mai non t'appresentò natura ed arte Piacer (2) quanto le belle membra, in ch' io Rinchiusa fui, e ch' or son terra sparte (3). E se questa grande bellezza ti venne a mancare per la mia morte, qual' altra cosa mortale dovea poi occupare i tuoi desiderii? Istrutto dalla prima ferita, tu dovevi innalzarti al di sopra degli oggetti terreni, e me seguir sempre, me che più non era fallace e manchevole. Non doveano farti abbassare il volo e farti provare colpi novelli o giovani donne o altre vanità parimenti caduche. L'inesperto augelletto può cadere iu un secondo, un terzo laccio, ma l'augello, le cui penne invecchiarono, non paventa più nè reti, nè dardi.

in

Ecco pertanto una sincera confessione del-
l'Alighieri, colla quale si accusa di essersi
talvolta (dopochè Beatrice era di carne diven-
tata spirito) lasciato vincere dalla passione
d'amore. L'Alighieri non scese mai a velar
con ipocrisia le proprie inclinazioni, le quali
non furon d'altronde quelle di un effemina-
to e di un libertino: e s'ei non fu dunque
nemico del bel sesso, e s' ei talvolta sospirò
per alcuna femmina, fece paraltro
Come la fronda che flette la cima

Nel transito del vento, e poi si leva
Per la propria virtù che la sublima.
Par. xxvi, 85.

La riportata confessione è affatto conforme al
carattere franco e schietto di lui; e Dante tan-
to più volentieri mossesi a farla, in quanto
che, come egli dice,

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cò non vivente Beatrice, ma quella estinta. (2) Bellezza.

(3) Cioè a dire che sono sparte in terra, o ridotte in cenere. Chi crede che la Beatrice di Dante non fosse una donna, ma una cosa allegorica, consideri bene questi pochi versi del poema, e se persiste nella sua credenza, giudichiamo inutile ch'ei prosegua la lettura di questo discorso.

(4) Figuratamente per bocca.

sono dal Venturi comentati in questo modo: Diessi in preda ad altri amori, e allegoricamente abbandonò gli studi sacri, e si diè in preda alla vanità ed all' ambizione.- Questa interpretazione è veramente singolare. Dante appena (si tosto) fu morta (5) Cioè, si spuntano le armi in mano Beatrice, abbandonò gli studi sacri? Fu anzi alla Divina Giustizia, poichè quando la ruotutto all'opposto, poiché agli studi della Teo-ta, che affila le armi, si rivolga contro il logia e delle altre scienze filosofiche si appli- taglio, le viene a rendere ottuse e spuntate.

tro volesse ammettere in quella confessione, se non che di essere stato affascinato dall' amore degli studi profani, ovvero dalla vanità e dall'ambizione degli impieghi e degli onori. Ma come potranno condursi a questi sensi quei versi, in fra gli altri, coi quali Beatrice così rimprovera a Dante i suoi trascorsi?

Tuttavia perchè me' vergogna porti

Del tuo errore, e perchè altra volta
Udendo le Sirene sie più forte,

Pon giù'l seme del piangere, ed ascolta:

Ben ti dovevi per lo primo strale
Delle cose fallaci levar suso
Diretr'a me che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso
Ad aspettar più colpi o pargoletta,
O altra vanità con si brev' uso.

mata Madonna Pietra della nobil famiglia Padovana degli Scrovigni (allegandosi per costei la Canzone Amor tu vedi ben che questa donna come fatta a bella posta dal poeta esule in Padova), per la Bolognese e per altre, pensa il Dionisi (1) esser tutte apparenze o sciocchezze, dette senza fondamento da chi non sapeva il soggetto delle Rime amorose dell' onestissimo autore, nè la fatica da lui intrapresa nel Convito per ischermirsi da somiglianti calunnie. Noi crediamo però che l'asserzione dell' innamoramento della Gentucca Lucchese (2), e forse di alcun' altra donna, non possa sembrare priva affatto di fondamento, specialmente dopo quanto abbiamo or or detto in proposito degli amori del nostro poeta, cui Beatrice rimprovera. Infatti il sopracitato Dionisi, rattemprando la troppo generale proposizione allegata di sopra, si trova aver delto altrove (3):-« Degli amo

Ed in conseguenza, quali strane interpreta-ri di Dante chi n' ha parlato troppo bene, chi zioni dovranno darsi alle frasi:-Perchè altra volta udendo le Sirene tu sia più forte;— Ben ti dovevi per lo primo strale levar su dagli amori; - Non ti dovea far provare più colpi giovine donna?

-

Gli amori di Dante per varie femmine, come per la giovinetta lucchese Gentucca, per quella conosciuta sotto il nome di Montanina, per un' altra da Anton Maria Amadi chia

(I) Aneddoto II, p. 111.

troppo male. Mario Filelfo e il Canonico Biscioni ed aggiunger potremo anche alcuni moderni) gli han voluti tutti di filosofia e di scienze fino a negare che la celebre Beatrice sia stata una donna come le altre. L'autor delle Memorie nell' edizione di Zatta (4) li vuole tutti di femmine, concedendo però che la Beatrice della Commedia sia talora la Teologia ». Questi due estremi sarebbero

giunta.

abbastanza, e significa che l'affetto che Dante (2) Dalle parole dell' istesso Dante Purg. avrebbe sentito per Gentucca disacerberebbe XXIV, possiamo rilevare che s'invaghi di lo sdegno del poeta contro la patria di lei. questa femmina nel tempo che, essendo egli Ed in grazia appunto di tale leggiadra donesule, fece dimora nella città di Lucca. Bo-zella, piaciutogli il soggiorno di Lucca volle nagiunta Urbiciani Lucchese, trovatore con- in certo modo espiar quello sdegno per mezzo temporaneo di Dante, e da lui conosciuto del gentile artificio della predizione di Bonanel mondo, per essersi scambievolmente scritti de Sonetti, viene incontrato dall' Alighieri Errano quei Commentatori di Dante,i quali nel sesto balzo del Purgatorio. Egli mor- ripongono questo innamoramento all' anno morava fra se: Gentucca, Geatucca. Richie-1301, poiché se nel 1300, epoca della visione sto dall Alighieri a palesargli il significato poetica della Divina Commedia, era Gentucca di quella parola, vi ha una fanciulla, ri- una fanciullina di piccola età, che non portaspose, che ti farà piacere la mia città, an- va ancor benda, cioè non ancora andava vccorchè vi sia taluno che or la riprenda e la lata, come si costumava andare dalle femmisprezzi, (intendendo dell' istesso Dante che ne di quel tempo, lo era egualmente un anno nel XXI dell' Inferno caratterizzò i Luc-dopo, nel 1301. E di femmina di un'età puerile chesi per barattieri): è affatto improbabile, che Dante adulto s'invaghisse. Infatti sappiamo dalla storia che Alighieri non dimorò in Lucca se non nell'anno 1314, dopo che Uguccione della Faggiuola s'insignori di quella città. E se in mezzo alla caligine dell'antichità può credersi alle congetture, le sopravviventi me morie di Gentucca, già moglie di Bernardo Morla degli Antelminelli Allucinghi, fa rebbero sospettare che fu ella colei la quale tanto sull' Alighieri pote. (V. Troya, del veltro allegorico di Dante, pag. 142).

Ma come fa chi guarda, e poi fa prezza
Più d'un che d'altro, fe'io a quel da Lucca,
Che più parea di me aver contezza.
Ei mormorava; e non so che Gentucca
Sentiva io là, ov' ei sentia la piaga
Della giustizia, che si gli pilucca.
O anima, diss' io, che par si vaga

Di parlar meco, fa' si ch' io t' intenda,
E te e me col tuo parlare appaga.
Femmina è nata, e non porta ancor benda,
Cominciò ei, che ti farà piacere
La mia città, comech'uom la riprende. ec.
Il senso contenuto in questi versi è chiaro |

(3) Aneddoto II, p. 40.

(4) Tom. IV, part. I, Cap. VII. Questo biografo è il Pelli.

difficili e presso che impossibili a conciliarsi,» sero sì di leggiero le non fittizie parole ap

» prese, nè per loro sarebbe data fede alla » sentenza vera come alla fittizia, perocchè » di vero si credea del tutto che disposto fos» si a quell' amore, che non si credeva di >> questo. >>

se Dante istesso non ce ne avesse porto il mezzo, commentando alquante delle sue Canzoni nel senso letterale e nell' allegorico. Il nostro poeta adunque dando, dopo la letterale sentenza, la sposizione allegorica e vera d'una sua Canzone, narra (1) che « com' ebbe per- Se pertanto i filosofici ragionamenti del » duto il primo diletto dell' anima (cioè ap- Convito si aggirano intorno ad un amore in» presso lo trapassamento di quella Beatrice tellettuale e scientifico, le sincere narrazioni » beata, che vive in cielo con gli Angeli, e della Vita Nuova parlano di una vera e na>> in terra colla mia anima (2)), io rimasi di turale passione, siccome ogni non pregiudi>> tanta tristizia punto, che alcuno conforto cato lettore potrà restar persuaso, leggendo » non mi valea. Tuttavia dopo alquanto tem- quell'elegante libretto. E che così debbasi te» po, la mia mente, che s' argomentava di nere per certo, argomentasi fra le altre, an>> sanare, provvide (poichè nè il mio nè l' al- che dalle parole di Dante istesso allorch' egli >> trui consolare valea) ritornare al modo che dichiara nel Convito qual fosse il motivo, per >> alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi. cui si accinse a commentare le sue erotiche e » E misimi a leggere quello, non conosciuto morali Canzoni. Muovemi, ei dice (3), timo» da molti, libro di Boezio, nel quale, capti- re d'infamia, e muovemi desiderio di dot»vo e discacciato, consolato s' avea. E uden- trína dare, la quale altri veramente dare » do ancora che Tullio scritto avea un altro non può. Temo l' infamia di tanta passio» libro, nel quale trattando dell'amistà, avea ne avere seguita, quanta concepe chi legge » toccate parole della consolazione di Lelio, le sopranominate Canzoni, (cioè quelle del >> uomo eccellentissimo, nella morte di Sci- Convito che egli ha di sopra nominate) in me > pione amico suo, misimi a leggere quello. avere signoreggiato; la quale infamia si ces>> E avvegnachè duro mi fosse prima entrare sa, per lo presente di me parlare, interamen>> nella loro sentenza, finalmente v'entrai tan- te, lo quale mostra che non passione, ma » t'entro, quanto l'arte di gramatica ch'io virtù sie stata movente cagione. Intendo an» avea e un poco di mio ingegno potea fa- che mostrare la vera sentenza di quelle, che >> re... E siccome essere suole che l'uomo va per alcuno vedere non si può, sio non la >> cercando argento, e fuori della intenzione conto, perch' è nascosta sotto figura d' alle» trova oro,... io che cercava di consolarmi, goria. Or dunque se a Dante piaceva purgar>> trovai non solamente alle mie lagrime rime- si affatto al cospetto delle genti da quella co>> dio, ma vocaboli d'autori e di scienze e di m' ei chiamala, infamia, avrebbe potuto age» libri; li quali considerando, giudicava bene volmente far credere al lettore, siccome fe» che la Filosofia, che era la donna di questi ce pel Convito, che anche gli amori della >> autori,di queste scienze e di questi libri,fosse Vita Nuova non doveano intendersi secondo » somma cosa. E immaginava lei fatta come la lettera, dicendo esser tutte allegorie, e >> una donna gentile, e non la potea immagi- per Beatrice in quel suo libretto venir figu»nare in atto alcuno se non misericordio- rata una disciplina od una virtù. Ma ciò non » so. Per che si volentieri lo senso di vero poteva dire, nè disse mai l' Alighieri, per>> l'ammirava, che appena lo potea volgere ciocchè i suoi giovenili amori non erano pun» da quella. E da questo immaginare comin- to allegorici. Anzi si avverta qui alla deli»ciai ad andare là ov'ella si dimostrava vera- catezza ed all' onesto costume del nostro poe» cemente, cioè nelle scuole de'Religiosi alle ta, il quale temeva non gli recasse infâmia >>> disputazioni de' Filosofanti: sicchè in pic-l'aver tanta passione proseguita, cioè l'aver>>ciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai la dall' adolescenza continuata nella virilità: e >> tanto a sentire della sua dolcezza, che il perciò si mosse a commentar nel Convito le » suo amore cacciava e distruggeva ogni altro sue morali Canzoni, dichiarando che la fem» pensiero. Perchè io sentendomi levare dal mina in quelle amoreggiata si era la Filosofia. >> pensiero del primo amore alla virtù di que- E da questa avvertenza potrassene anche in>> sto, quasi maravigliandomi apersi la boc- ferire, che se Dante nell'esilio provò talvol» ca nel parlare della proposta Canzone, mo- ta alcun colpo di strale amoroso, non potè, » strando la mia condizione sotto figura d' al- se non per breve tempo, restar soggetto al >> tre cose; perocchè della donna di cui io tirannico potere d'amore, poichè l'immagi» m'innamorava non era degna rima di vol-ne di Beatrice cotanto signoreggiavagli la men» gare alcuno palesemente parlare, nè gli te, che nissun altro affetto poteva al primo »uditori erano tanto bene disposti, che aves- stabilmente succedere (4).

(1) Convito, Trattato II, cap. XIII.
2) Convito, Trattato II, cap. II.
(3) Convito, Trattato I, cap. II.

(4) Ciò basta a smentire chi, come il Corniani, crede di vedere indicato nel XXX del Purg., che « Quando Dante vide Beatrice

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