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sua sofferenza, e dice: Le altrui persecuzio- prodotta la mia rovina, ma perchè il tale mi ni e maldicenze sono state cagione, ch' io ha negato quell' opportuno soccorso, per dipassassi le notti vegliando. Ciò non ostante fetto del quale io sono caduto in rovina. non ho detta parola, nè di mormorazione, Perchè del resto è certissimo, che Dio non nè di risentimento. vuole, nè può volere il peccato, per esser essenzialmente opposto alla sua santità, e al suo essere.

(12) Disegna qui il Testo Ebreo quell'augello, che appunto dagl' Italiani è nominato Passere solitario, e da' Francesi Chouette, siccome scrive nel suo Hierozoico il Bochart; il qual augello ha per sua natura di starsi solo in su la sommità d'una magione, o sotto un tetto, passando la notte in un flebile canto. Tal son fatt' io, dice il Profeta, che senza punto querelarmi de' miei nimici, passo le mie veglie, consolandomi unicamente sulla speranza, che ho nel mio Dio, e nell'invocare il suo nome.

(15) All'orizzonte, d' onde si comincia a muovere, e fa il primo passo a correr le sue rivoluzioni.

(16) Da questa penitenza, dice David, ne deriva ch' io sono estenuato e smunto, quasi terra arida e magra.

(17) Memoriale, cioè la memoria del cui santo nome e della cui immensa bontà sempre dura e durerà in eterno.

(18) Favella qui alla seconda Persona della Santissima Trinità, di cui si dice nell' Evangelio di S. Giovanni: Era la luce vera, che illumina ogni uomo ec. Questa luce levandosi tostamente, quasi Sole sua via (Psalm. XVIII. v. colla sua grazia Sion.

a correre la assicurerà

6 ),

(19) Di aver pietade di quella Città, cioè di Gerusalemme.

(20) La quale da ogni suo cittadino è rispettata ed amata.

(21) Ed è ragione, che tu le usi pietà, perciocchè i tuoi santi Profeti e Serviˇla riguardarono ognora con compiacenza e con affetto.

(13) Assegna qui il motivo, per cui molti gli erano contrari, e dice, che é, perchè faceva penitenza, per mortificare il fomite del peccato. In un Salmo qui avanti posto aveva generalmente ciò detto con questa espressione: Quia sequebar bonitatem. E questa sua penitenza era, ch' egli conoscendo la colpa sua, ne piangeva perpetuamente; mescolando la bevanda colle sue lagrime: e a mortificare la concupiscenza, che ve l'aveva fatto cadere, si umiliava profondamente, e si nudriva, per così dire, di cenere. Focosa Venere è poi qui detta la concupiscenza, o lascivia; nel qual significato fu comunemente dagli antichi Latini, Terenzio (In Eunuch. (22) I quali vedendo in ispirito i sospiSine Cerere et Baccho friget Venus), Vir-ri, l'acque, cioè le lagrime, i lamenti, e i gilio (Georg. 2 Frigidus in Venerem senior), guai di quella terra, affitta da te in gastigo Seneca ed altri adoperata. Nè su l'etimolo- delle sue colpe, si sentono per compassione gia di Venus son già da udire i Latini; ma intenerire, e vorrebbono, che le fosse dato essa è tratta dal Benoth degli Ebrei che si perdono. legge nel quarto Libro de' Re (Cap. 27. n 30 -Succoth Benoth, idest, Tabernacula Veneris), come osservò il Reinesio (De Ling, Punic. cap. 8).

(14) Questa è la ragione, per la quale si studiava di mortificar colla penitenza il suo appetito, ed è, dice, perchè troppo mi spaventa la vostra collera, quando io considero, che divenni lasso e fiacco, e però caddi in peccato nel tempo, che voi con tanti favori e grazie mi avevate esaltato. Il Testo Ebreo ha: Perchè avendomi innalzato, mi hai gittato contra terra: e potrebbe spiegarsi dello inalzamento temporale agli onori e alle dignità, e dell' atterramento, che Dio fece di lui nelle persecuzioni contra lui permesse. Ma realmente qui il Profeta parla dell' inalzamento e abbassamento spirituale, come apparisce da tutto il contesto. Onde quell' espressione: M'hai gittato a terra, è simile a quella, che Dio indurò il cuore di Faraone, e altre tali, le quali tutte non sono, che modi volgari di favellare, come volgarmente si suol dire il tale mi ha rovinato, non perchè il tale veramente abbia voluta e

(23) S' tu, invece di Se tu, apocope, o troncamento dagli antichi scrittori volgari assai frequentato. Lo stesso Dante nel Sonetto, che incomincia Dagli occhi, così dice:

E s'tu mi dici, come il sai? che'l sento. e Fazio degli Uberti:

e

e

E s'tu volessi dir, come il so io.
M. Cino:

Guardi d'Amor se tu piangi, o s'tu ridi.
M. Onesto:

A morir m'ha condotto, e s'tu nol credi ec. (24) Cioè da quelle afflizioni, che la guerreggiano e abbattono.

(25) Che apre il Cielo a sua voglia, e ne fa scendere giù le benedizioni.

(26) Questi sono i motivi, per li quali dalle genti sarà Dio magnificato, e sono: perchè ha voluto salvare Sion nella sua beltà, e manifestare in essa la sua gloria.

(27) Altro motivo, ond'è per essere glo

rificato il Signore, che è, perchè esaudisce i servi suoi, che lo pregano.

(28) Vuol dire : Ma ecco che gli Ebrei perfidi non crederanno alle mie ammonizioni, nè alle mie profezie. Però per loro non iscrivo io queste degnazioni del Signore, ma per altri, che sapranno approfittarsene.

(29) Cioè il Popolo Cristiano.

(30) In basso e in cima, cioè in terra, e in Cielo.

(31) Ecco il motivo, per lo quale questo popolo nuovo loderà Dio qui in terra, e poi anche in Cielo; perchè Dio dalle altezze del suo Tabernacolo in Cielo ha riguardato qui in terra ec.

(32) Cioè schiavi del peccato e favella qui Dante con mira a quello, che lasciò scritto a' Romani S. Paolo (Cap. V. n. 6 etc.), cioè, che il vecchio uomo nostro fu insieme crocifisso con Gesù Cristo, perchè fosse distrutto il corpo del peccato, che il signoreggiava nel mondo, e che ci aveva resi guasti; onde più non avessimo a servire ad esso.

(33) Degli Spiriti beati, che sono consorti degli Eletti nel gaudio.

(34) Ornati di pietà, o sia di probità, religiosi, e santi; e allude a' Re Seniori, dei quali si parla nell' Apocalisse (Cap. IV.). (35) Corrisponderanno volentieri alle ispirazioni e ai voleri di Dio.

(36) In questo tempo pericoloso, in quesla mia fervida età; ma datemi tempo di penitenza, e aspettatemi. E a terra rivocarmi è lo stesso, che farmi tornar in terra, cioè morire, giusta l'espressione di Dio nel Genesi (Cap. III. n. 19).

(37) Cioè, suggetto ad ogni infirmità e disgrazia, che mi può toglier la vita.

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tri Greci intendono dal profondo del cuore, cioè dall' intimo fondo. Ma può letteralmente intendersi dalla caverna d'Engaddi.

(2) Cioè a' peccati, che si commettono alla giornata, i quali, comunque veniali, ci demeritano i più singolari favori del Signore, ci diminuiscono la sua amicizia, e ci rendono men belli a' suoi sguardi. Perciocchè col nome d' iniquità s' intende qui qualunque prevaricazione della Legge, come ben notan gl' Interpreti, obbligante o sotto grave, o sotto leggiera colpa.

(3) Per intelligenza di questo verso è da osservare, che nel Testo Ebraico, e nella Version de' Settanta, invece della voce Ob→ servaveris, si legge Custodies; come se dicesse se tu, Signore, custodirai i nostri peccati, che sono i nostri debiti, per esigerne ragione, e per giudicarne a rigor di giustizia, certo che niuna peccatrice persona andrà salva: perciocchè ogni offesa divina è d' infinita malizia, e noi senza la misericordiosa sua grazia non possiamo pur invocare il suo nome, come insegna l' Apostolo Paolo (Epist. I, ad Corint. cap. 12, n. 3), non che dolerci, e soddisfare per le nostre colpe.

(4) Ben qui Dante interpreta quel propter legem tuam per misericordia infinita; perciocchè non parla qui il Salmista di quella legge, che Dio ci ha data, giusta la quale, più tosto a condannare ci avrebbe, ma di quella legge, come ben nota il Bellarmino (in hunc loc. Psal.), ch' egli tiene nel governarci, che è tutta piena d'infinita misericordia: onde nel Greco, invece di propter legem tuam, si ha propter nomen tuum.

(5) In Greco si legge spero, invece di a(38) Chiarissimo argomento, che qui si par-spetto, che è lo stesso: perciocchè volgarla di Gesù Cristo e della Chiesa sua Sposa, mente ancora diciamo: Io ne aspetto la granon della cattività di Babilonia, è, che l'A-zia, per dire: Io ne spero la grazia. Apostolo Paolo, volendo gli Ebrei convincere spetto`la tua volontà, è lo stesso che il didella divinità di Gesù Cristo, questo sedice- re: Spero, che vorrai esaudirmi, che mi simo versetto loro appunto allega: Initio tu sarai cortese, o simil cosa. Domine ec.

(6) Il Testo ha, l'animu mia ha spera(39) Allude l'Interprete nella sua Tradu-to nella sua parola, cioè promessa: e Dante zione alla Parabola Evangelica de' talenti (Mat- nella sua Versione ha posto la parola, o th. cap. XXV.), dove per talenti s' inten- promessa stessa, fattaci specialmente per bocdono i doni naturali e soprannaturali da Dio ca d' Ezechiello (Cap. XXXIII, n. 11 ), la datici ec. quale è che non vuol egli, che il peccatore muora, ma che si converta a penitenza, e viva.

(40) Festeggiamento e letizia, nel qual significato usò Dante sì fatta voce nella Cantica del Paradiso più volte, ed espressamente nel Canto 31, così scrivendo:

Qual è quell'Angiol, che con tanto

(7) Sant'Agostino ed altri interpretano questo passo della redenzione copiosa e soprabgiuocobondante, che Gesù Cristo ha fatta col Sangue suo. Comunque sia, egli è certo, che la misericordia di Dio è infinita, e supera infinitamente qualunque umana malizia.

Guarda negli occhi la nostra Regina, Innamorato sì, ch'ei par di fuocol

AL SALMO VI.

(1) S. Grisostomo, Teodoreto ed alcuni al

(8) Condoneragli, perdoneragli ogni demerito e colpa.

AL SALMO VII.

:

hanno lieve malizia, lievemente gli curano. E Brunetto Latini (Tes. 1. 2. 32): E le ma

rie di verno troppo duramente. E il Passavanti (Specch. di Penit. cap. 3): Cotale ha questa malizia rimedio: e il Petrarca e altri usano pure tal voce in questo significato. (13) L'intelletto mio è sì stupido, che non sa, che si pensi, se tu non l'aiuti. Egli è come terra secca, che non sa produrre verun pensiero, se con la tua grazia, quasi con acqua non lo fecondi.

(1) Cioè, secondo la verità delle tue pro-lizie, che son per cagione di flemma, sono messe, che fatte m' hai, di conservarmi in sul trono, d'onde m'ha cacciato il mio figliuolo Assalonne la qual verità non può andare scompagnata dalla tua giustizia, per cui tu giudichi tra me e lui. Il Grisostomo intende qui per giustizia la misericordia, osservando con ragione, che spesso la giustizia si mette nelle Sacre Scritture per la misericordia. L'una e l'altra interpretazione ricadono però nel senso medesimo; perchè la promessa fatta a Davide trae seco tanto la giustizia contra Assalonne, a favore di quel Re, che la misericordia verso il medesimo Re.

(14) Onninamente, e in ogni cosa. (15) Cioè al sepolcro, nella quale significazione più volte nelle Scritture è usata la voce lago.

(16) Di riguardarmi con ispezial protezione ed assistenza.

(17) Ciò è, che altrove diceva (Psal. LVI. v. 8): Il mio cuore è preparato, o Signore; io voglio essere tutto vostro: e mi dichiaro per vostro soltanto aiutatemi colla vostra grazia; perchè da me sono impotente pur a principiare la via della mia salvezza.

(2) Condannare, come peccatore e reo. (3) Di niente mi rimorde la coscienza, diceva l'Apostolo Paolo (Epist. 1. ad Corinth. IV, n. 4): ma non per ciò io sono giustificato; perciocchè chi mi giudica è il Signore. Nel vero gli Angeli non son mondi nel suo cospetto (Job. cap. XXIV. n. 6), sì perchè la loro santità è participazione e dono di Dio, e si perchè la medesima scomparisce davanti (18) Non che sieno altri Dei, fuori che il alla infinita divina Santità. Che direm de' mor- vero: ma intende di quegl' Idoli, che dalle tali, de' quali dice la Scrittura, che molte Genti eran adorati per Dei, de'quali Davide volte cadono i medesimi giusti? (Prov. cap. in altro Salmo si burla (Psal. CXXXIV. v. XXIV. n. 16, et Eccles. VII. n. 21). 15. etc.) chiamandogli Dei, che hanno orec(4) Quasi per abbandonare il corpo e fug-chi, e non sentono; hanno occhi, e non vegirsene, cioè a dire: io son ridotto all'estremo; il che dimostra l'ansioso frangente, al qual era allora il povero Davide ridotto. (5) Cioè son divenuto quasi uno scheletro, pura pelle, e ossa smunte.

(6) La Morte e la Tomba sono sovente significate nella Sacra Scrittura sotto il nome d'Oscurità; e le disgrazie sotto il nome di Morte. Ei vuol dunque dire, che l' hanno ridotto quasi alla tomba, e lo riguardano come un uomo perduto.

(7) Cioè di quegl'infelici, che si hanno per morti, che viver non possono un sol momento sicuri, per timore, che da un istante all'altro non sieno condotti al patibolo.

(8) Per traslazione; cioè abbattuti e spossati. (9) Cioè: con i detti spiriti abbattuti. (10) In fatti Della misericordia di Dio è piena la Terra, dice altrove (Psalm. XXXII, v. 5) questo Profeta.

(11) Benchè tanto la tua pietà, che la giustizia, siano dirette a tua gloria.

(12) Malizia qui non significa pensamento di rea mente, nè perversità morale; ma significa male fisico, consternazione, infirmità, e simil cosa: significazione, che fu non di rado usata dagli antichi Toscani. Cosi Albertano Giudice da Brescia (Cap. 38): È da servare l'usanza delli Medici, che coloro, che

dono; hanno mani, e non palpano; hanno piedi, e non camminano ec. Io non fo capo, dice egli a queste statue insensate, che sono argento ed oro, e niente più; ma sì a te, vero Dio.

(19) Questa è la prima cosa, di che prega Davide il Signore, per poter perseverare nella sua riunione con Dio, cioè d'intendere la volontà di lui, e quel ch' egli da esso desidera, per metterlo in esecuzione.

(20) E questa è la seconda cosa altresì necessaria alla perseveranza, della quale supplica Dio: cioè, che la grazia dello Spirito Santo il voglia per lo diritto cammino condurre.

(21) Duce, scorta, guida; nel qual senso più volte trovasi da lui usata tal voce nel suo gran Poema.

(22) Questa; e vien dall' ista de' Latini, onde i volgari fecero esta. Così il medesimo Dante nella Cantica dell'Inferno (Cant: 1. v. 5) disse:

Esta selva selvaggia, ed aspra, e forte.

(23) Come suoli co' servi tuoi per lo più praticare per la tua immensa bontà.

(24) Quali erano Assalonne, Achitofello, e cent' altri, che dopo aver ricevuto tanto bene da Davide, gli si erano rivolti contro.

NOTIZIA LETTERARIA

DEL MOTIVO CHE INDUSSE DANTE A COMPORRE IL CREDO

ESTRATTA DAL CODICE 1011 DELLA RICCArdiana di firENZE

Poi che l'Autore, cioè Dante, ebbe compiuto questo suo libro (la Divina Commedia), e pubblicato, e studiato per molti solenni uomini, e maestri in Teologia, e in fra gli altri di frati Minori, trovarono in uno capitolo del Paradiso, dove Dante fa figura che trova s. Francesco, e che detto s. Francesco lo domanda di questo mondo, e sì come si portano i suoi frati di suo Ordine, de' quali gli dice, che istà molto maravigliato, però che da tanto tempo ch'è in Paradiso, e mai non ve ne montò niuno, e non ne seppe novella. Di che Dante gli risponde si come in detto capitolo si contiene. Di che tutto il convento di detti Frati l' ebbono molto a male, e feciono grandissimo consiglio, e fu commesso ne' più solenni maestri, che studiasseno nel suo libro se vi trovasseno cosa da farlo ardere, e simile lui per eretico. Di che gli fecieno gran processo contro, ed accusaronlo allo'nquisitore per eretico che non credea in Dio, nè osservava gli articoli della fè. E' fu dinanzi al detto inquisitore, ed essendo passato vespero, di che Dante rispose, e disse: datemi termine fino a domattina, ed io vi darò per iscritto com' io credo Iddio: e s'io erro datemi la punizione ch' io merito. Di che lo 'nquisitore gliel diè per fino la mattina a terza. Di che Dante vegghiò tutta la notte, e rispose in quella medesima rima ch' è il libro, e sì come si seguita appresso, dove dichiara tutta la nostra fè, e tutti gli articoli, che è una bellissima cosa e perfetta a uomini non litterati, e di bonissimi assempri e utili, e preghiere a Dio e alla Vergine benedetta Maria, sì come vedrà chi lo leggerà, che non fa bisogno avere, nè cercare altri libri per sapere tutti i detti articoli, nè i sette peccati mortali, che tutto dichiara sì bene e sì chiaramente, che si tosto come lo 'nquisitore gli ebbe letti, con suo consiglio in presenzia di XII. maestri in Teologia, li quali non seppono che si dire nè allegare contro a lui: di che lo 'nquisitore licenziò Dante, e si fe' beffe di detti Frati, i quali tutti si maravigliarono come in sì piccolo tempo avesse potuto fare una si notabile cosa in rima, ec.

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