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mune.

Capitolo II. Espone il proemio della Canzone dal v. 1 al 20; lo divide in tre parti: dal v. 1 all' 8, dal 9 al 17, dal 18 al 20, e dinota come in essa si propose prima di trattar il vero, e poi di riprovare il falso relativamente all'argomento indicato, quando che in questo Trattato tratterà invece prima del falso, e quindi del vero. Ne dà ragione in ciò che nella Canzone importava di annunziar subito il vero per muovere al desiderio di udirlo; e nel Trattato stava meglio disgombrar gli errori, perchè poi la verità fosse ricevuta più liberamente.

Canzone dal v. 32 al 37, e dà luogo a compiere il comento della seconda strofa della Canzone dal v. 38 al 40.

Capitolo VIII. Fa conoscere come impugnando le due opinioni fallaci che sulla nobiltà sono invalse nella mente del popolo, e secondo l'idea dell'imperatore Federico, non perde la riverenza, di cui si chiama in debito, nè verso la imperiale maestà, nè contro l'autorità del Filosofo. E prima lo dimostra riguardo a quest'ultima.

Capitolo IX. Prova quindi come non manchi della debita riverenza all'Imperatore per questo, che non s'accorda nella definizione della nobiltà data da Federico; e propone che in tale argomento non è tenuto a suggezione a lui.

Capitolo X. Mostrato che egli è lecito riprovare le altrui false opinioni di nobiltà,prova falsa quella dell' Imperatore, in quanto pone nobiltà in belli costumi uniti ad antica ricchezza; e facendo palese che le ricchezze ně per tempo ne per copia danno titolo a nobiltà, prova ad un tratto che è falsa anche l'opinione del volgo, che sulle divizie si fonda. Così comenta la Canzone dal v. 41 al 55.

Capitolo III. Divide il rimanente della Canzone in tre parti: la prima dal v. 21 al1'80, la seconda dal v. 81 al 140, la terza dal v. 141 al 146. Nella prima parla della nobiltà secondo l'opinione d'altri; nella seconda della nobiltà secondo l'opinione vera: nella terza chiude la Canzone con qualche adornamento di quello che detto è. Suddivide la prima parte dal v. 21 al 40, e dal v. 41 all' 80, e la prima di questa suddivisione è distinta di nuovo in due parti, cioè dal v. 21 al 24, e dal v. 25 al 40. Chiede Capitolo XI. A dimostrare che le ricchezscusa per tante divisioni, conciossiachè sia ze sono disgiunte affatto da nobiltà, propoalto e poco cercato l'argomento che tratta. Inne che sono vili e imperfette tanto nell'acquesto Capitolo poi espone che dal v. 21 al 24 è detto cosa sia nobiltà secondo la definizione imperiale; e dal v. 25 sino al 31 è mostrato cosa ella sia, e quanto falsamente, anche nell' opinione del popolo. Si fa quindi strada a parlare delle radici dell' autorità imperiale come quella che ha più di forza ad aiutar questi errori.

quistarle, che nell'accrescerle e nel possederle: e lo prova prima per ciò che spetta all'acquisto quasi sempre contrario della giustizia distributiva.

Capitolo XII. Poi rispetto al loro accrescimento, in quanto genera un desiderio insaziabile di ricchezze sempre maggiori; ciò per comento della Canzone dal v. 56 al 58. Capitolo IV. Mostra che l'impero della Considera poi, che ad un tal desiderio porMonarchia universale è voluto dalla pace del ta incontro anche l'amore della scienza; ma mondo; ed entra a provare che il Romano per mostrare quanto sia diversa l'indole di fu costituito a tal fine non già con la forza, questi due desiderii, ragiona dell' instabilità ma per volontà divina, che diede a Roma ile varietà dei desiderii umani nella ricerca nascimento e il processo. del bene.

Capitolo V. Prova miracoloso, ed effetto di sola provvidenza divina, tanto il nascimento che il processo di Roma, città santa, da Dio pensata e ordinata per sede della Monarchia universale.

Capitolo VI. Dimostrata come ha l'altezza dell' autorità imperiale, procede con la digressione a mostrar quella della filosofica. Dichiara che intender debbasi con le parole Autorità e Autore; ne dà l'esempio in Aristotele; e conchiude, che l'una autorità all'altra non ripugna, ma che al bene dei popoli è d'uopo che l'autorità del Principe vada congiunta a quella del Filosofo.

Capitolo VII. Si fa quindi a provare quanto sia antica la falsa opinione del volgo, per cui si chiama Nobile ciascuno che sia figliuolo o nipote d'alcuno valente uomo, tuttochè esso sia da niente; lo che sta espresso nella

Capitolo XIII. Prova quindi che il desiderio della scienza conduce a perfezione, ancorchè s'accresca; quando che il desiderio delle ricchezze s' aumenta a danno di perfezione. Rispetto poi al possedimento delle ricchezze, lo dimostra dannoso, e come cagione di male, e come privazione di bene; onde sviluppa il sentimento delli v. 59 e 60.

Capitolo XIV. Riprovato che la ricchezza non fa nobiltà, prova che non la fa neppure la ricchezza antica; cioè, che non è il tempo e non gli antecessori quelli che si richiedano a nobiltà vera. Ciò comenta la Canzone dal v. 61 al 68.

Capitolo XV. Distrugge quindi l'errore, che uomo non si possa tare di villano gentile, o che di vile padre non possa nascere figlio gentile; e continua il comento della Canzone dal v. 69 all' 80.

Capitolo XVI. Propone soltanto la seconda parte della Canzone, dal v. 81 al 140, e la divide in due parti: la prima dal v. 81 al 120, la seconda dal v. 121 al 140, e suddivide la prima parte in altre due, dal v. 81 al 100 e dal 101 al 120. Per entrar poi bene nel Trattato si fa prima a definire che s' intenda per lo vocabolo Nobiltà.

felicità, che è imperfetta nella vita attiva, e quasi perfetta nella vita contemplativa, sia per diventare somma e perfetta nella vita avvenire per la visione di Dio.

Capitolo XXIII. Chiarita l'idea della vera nobiltà, seme di virtù dato da Dio per condurre l'uomo all'eterna felicità, si accinge a continuare il comento della Canzone dal v. 121 al 140; e per dimostrare che l'uomo nobile dà manifesti segni di sua condi

Capitolo XVII. Espone la Canzone dal v. 81 all'88, e dimostra come la perfezione umana, necessaria alla nobiltà vera, si fondizione per ogni età della vita, proposizione necessariamente sull' esercizio delle virtù morali, e come queste conducano sole a perfezione e felicità di vita.

Capitolo XVIII. Continua il comento dal v. 89 al 100, e si prova che, procedendo ogni virtù da un principio di perfezione, la nobiltà è quel principio da cui le virtù procedono come effetto da sua cagione. E prima lo ricava per supposizione da questo, che tanto di nobiltà come di virtù egli è effetto render pregiato colui che le possede; ond'è forza presumere che l'una venga dall' altra, s'egli appare che l'una val quanto l'altra; e che più facilmente nobiltà comprenda in sè ogni virtù, piuttosto che e converso.

Capitolo XIX. Continua il comento della Canzone dal v. 101 al 108, e prova che dove è virtù è sempre nobiltà, a quel modo che dove sono stelle v'è sempre cielo; e come poi dovunque è cielo non vi sono sempre stelle, così mostra che dovunque è nobiltà non v' ha sempre virtù.

Capitolo XX. Segue il comento dal v. 109 al 120 della Canzone, si dà per fermo che nobiltà è seme di felicità messo da Dio nell'anima umana ben disposta a riceverlo, provando che per esser nobile non basta discendere da stirpe nobile, ma bisogna dar frutti di nobiltà vera.

Capitolo XXI. Imprende a far conoscere come il principio di nobiltà discenda nell'animo nostro dalla virtù celeste; dimostrando, per modo naturale, che l'anima umana può ottenere uno stato di così perfetta generazione da poter mostrarsi divina nelle sue operazioni anche in mezzo ai legami del corpo; ed in via teologica, che Dio può accordare all'anima umana tutti li Doni che sono detti dello Spirito Santo, perchè l'accordarli è opera di solo amore divino.

Capitolo XXII. Discende quindi a provare come per questo principio di nobiltà sia dato all'uomo di raggiungere il fine della felicità alla quale è destinato; e come questa

contenuta dal v. 121 sino al 124, viene a far conoscere come il corso della vita umana sia simile ad un arco.

Capitolo XXIV. Continua l'argomento in generale sulla divisione e durata delle quattro età della vita: ed in particolare comento della Canzone dal v. 125 al 128, posto che ad ogni età si conviene l'uso di virtù sue proprie entra a trattare di quelle che convengono all'età adolescente; e prima dell' obbedienza.

Capitolo XXV. Poi della soavità, della vergogna, e per essa dello stupore, del pudore e della verecondia, e quindi dell' adornezza corporale, cioè della bellezza e snellezza del corpo.

Capitolo XXVI. Comenta li vv. 129-131, e dimostra come alla Gioventù si conviene la temperanza, la forza, l'amore, la cortesia, la lealtà.

Capitolo XXVII. Si fa a comentare li v. 132-135, e viene a provare che alla Senettute conviene essere prudente, giusta, larga, e allegra, cioè affabile.

Capitolo XXVIII. Passando al Senio, quarta parte della vita umana, comenta la Canzone dal v. 136 al 139, e mostra come a questa età si convenga ricondursi a Dio, e sentire contentezza della buona vita passata.

Capitolo XXIX. Viene all'ultimo verso il 140, dell' ultima strofa, e concludendo essere manifesto l'inganno di coloro che per essere di antiche e famose generazioni credono essere nobili, fa più da vicino conoscere che le grandi opere de'maggiori nulla giovano a coprire le vili opere dei successori; e che la progenie non basta a formare nobiltà perpetua, dappoichè li buoni che in essa fiorirono non ponno impedire che nascano i malvagi i quali ne cangiano la condizione ed il nome.

Capitolo XXX. Termina il Trattato con la dichiarazione della licenza della terza Canzone dal v. 141 al 146, con la quale raccomanda gli insegnamenti, che essa contiene, a tutti coloro nei quali alberga Filosofia.

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mente alla pag. 120 dell'edizione Tartini e Franchi, e termina: veggiamo uomini che esser non può, ove la stampa ha: veggiamo molti uomini, ecc.

Tutti questi codici sono illustrati dal Bandini nell'opera: Catalogus Codicum manuscriptorum Bibliothecae Mediccao Laurentianae, in fol. T. V., col. 404,405,406,412.

CODICI ROMANI

Codice XXVI della classe X de'codici manoscritti italiani, già posseduto da TommaSo Giuseppe Farsetti, ed illustrato dall' abate Morelli nella sua opera Biblioteca mass. Farsetti (in 12. Venezia, 1771) Tom. 1, pag. 283, cod. CVIII. Nella prima carta bianca leggesi: Questo libro è di Lucha di Simone della Robia. Ha alcune note mar- Codice Vaticano Urbinate 686. - Questo ginali contemporance alla scrittura del co- codice (ci scrive il ch. sig. Salvatore Betdice, ed altro di mano di Anton Maria Bi-ti) è di bellissima lettora, tutto in nitida scioni, che lo possedeva prima del Farset- cartapecora; e appartenue già al gran Feti, e ne parla nella prefazione all' edizione derico Duca d'Urbino.-Stimasi scritto prifiorentina del 1723, pag. xxxix. È scritto ma della metà del secolo XV, ed in fine

nel secolo XV.

Da noi questo codice viene chiamato priто Marciano.

Codice XXXIV. della classe XI. de' suddetti codici mss. Ital., già posseduto dalla famiglia Nani, e riferito dall'ab. Morelli alla pag. 52, cod. XXXVII dell' opera sua : I Codici manoscritti volgari della Libreria Naniana ecc. (in 4. Venezia, 1776). Ha alcune variazioni e supplimenti in margine. Si riconosce scritto nel secolo XIV. Noi lo citiamo sotto il titolo di secondo Marciano.

CODICI FIORENTINI

dell' I. R. Biblioteca Laurenziana.

Codice 134 Gaddiano. Pluteo 90 superiore. Del secolo XIV.

Codice 135 primo Gaddiano. Pluteo 90 superiore. Del secolo XV.

Codice 135 secondo Gaddiano. Pluteo 90 superiore. Del secolo XV.

Codice 3 Gaddiano. Pluteo 90 inferiore. Del secolo XV. Questo codice giunge sola

ha le Canzoni di Dante.

Codice Vaticano 4778.-E scritto anch' esso verso la metà del secolo XV. È diviso in Trattati ed in Capitoli, cartaceo, e di bonissima lettera.

Codice della libreria Barberini. Del secolo

XIV.

CODICI MILANESI

Codice Trivulziano. Sembra scritto nel secolo XV. È cartaceo, ben conservato, ma di lettera difficilissima a leggersi.

Un altro Codice, pur cartaceo e del secolo XV, o forse della fine del XIV, è venuto nella libreria Trivulziana dopo che la stampa del testo era già terminata. Il carattere n'è di gran lunga migliore di quello dell'antecedente; ma, pel riscontro che sc n'è fatto, si è trovato che la lezione ha presso a poco gli stessi difetti di tutti gli altri manoscritti.

Per le tre Canzoni, oltre i suddetti codici. del Convito, si sono consultati sette codici Trivulziani delle Rime di Dante, i quali si citano coi loro numeri.

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