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CAPITOLO I.

TRATTATO PRIMO

la prima dalla parte di fuori, non sono da vituperare, ma da scusare e.di perdono degue; le due altre, avvegnachè (17) l' una più, sono degne di biasimo e d'abbominazione. Manifestamente adunque può vedere

quelli che all'abito da tutti desiderato (18) possano pervenire, e innumerabili quasi sono gl'impediti che di questo cibo da tutti (19) sempre vivono affamati (20). Oh beati quei pochi che seggono a quella mensa ove il pane degli Angeli (21) si mangia, e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo! Ma perocchè (22) ciascun uomo (23) a ciascun uomo è naturalmente amico, e ciascuno amico si duole del difetto (24) di colui ch'egli ama, coloro che a si alta mensa sono cibati, non sanza misericordia sono inver di quelli che in bestiale pastura veggiono erba e ghiande gire mangiando. E acciocchè (25) misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente coloro che sanno porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri (26), e sono quasi fonte vivo, della cui acqua si ri

Siccome dice il Filosofo (2) nel principio della prima Filosofia (3), tutti gli uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere (4), che ciascu-chi bene considera, che pochi rimangono na cosa da provvidenzia di propria natura impinta (5) è inclinabile (6) alla sua perfezione; onde, acciocchè (7) la scienza è l'ultima perfezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima felicità, tutti naturalmente al suo desiderio siamo suggetti. Veramente (8) da (9) questa nobilissima perfezione molti sono privati (10) per diverse cagioni che dentro dall' (11) uomo, e di fuori da esso, lui rimuovono dall'abito di scienza. Dentro dall'uomo possono essere (12) due difetti: è impedito l'uno dalla parte del corpo; l'altro dalla parte dell'anima. Dalla parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte, sicchè nulla ricevere può (13); siccome sono sordi e muti, e loro simili. Dalla parte dell' anima è quando la malizia vince in essa, sicchè si fa seguitatrice di viziose dilettazioni, nelle quali riceve tanto in-frigera la natural sete (27) che di sopra è ganno, che per quelle ogni cosa tiene a vile. Di fuori dall'uomo possono essere similmente due cagioni intese, l'una delle quali è induttrice di necessità, l'altra di pigrizia. La prima è la cura famigliare e civile, la quale convenevolmente a se tiene degli uomini il maggior numero, sicchè in ozio di speculazione essere non possono. L'altra è il difet-ricordevolmente to (14) del luogo ove la persona è nata e nudrita, che talora sarà da ogni studio non solamente privato (15), ma da gente studiosa lontano. Le due (16) prime di queste cagioni, cioè la prima dalla parte di dentro e

nominata. (28) E (29) io adunque, che non
seggo alla beata mensa, ma, fuggito dalla
pastura del vulgo, a'piedi di coloro che seg-
gono ricolgo di quello che da loro cade, e
conosco la misera vita di quelli che dietro
m'ho lasciati, per la dolcezza ch' io sento
in quello ch'io a poco a poco ricolgo, mise-
mosso,
non me dimentican-
do, per li miseri alcuna cosa ho riservata (30),
la quale agli occhi loro già è più tempo ho
dimostrata (31), e in ciò gli ho fatti mag-
giormente vogliosi. Per che ora volendo loro
apparecchiare, intendo fare un generale con-

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vito di ciò ch'io ho loro mostrato, e di quel- pane apposito (1), e quello purgare da ogni lo pane ch'è mestiere a così fatta vivanda macola; perch'io, che nella presente scritsanza lo quale da loro non potrebbe esser tura tengo luogo di quelli, da due macole mangiata (32) a questo convito; di quello mondare intendo primieramente questa spopane degno a cotal vivanda, qual (33) iosizione, che per pane si conta nel mio corintendo indarno essere ministrata.. E però ad redo (2). L'una è, che parlare alcuno di sè esso (34) non voglio s' assetti (35) alcuno medesimo pare non licito; l'altra si è, che male de'suoi organi disposto (36); perocchè parlare, sponendo (3), troppo a fondo pare nè denti, nè lingua ha nè palato: nè alcuno non ragionevole. E lo illecito (4) e'l non assettatore di vizii; perocchè lo stomaco suo ragionevole il coltello del mio giudicio purè pieno di umori venenosi, contrarii, sic-ga in questa forma. Non si concede per li che (37) mia vivanda non terrebbe. Ma ve- Rettorici alcuno (5) di sè medesimo sanza gnaci qualunque è per cura (38) famigliare necessaria cagione parlare (6). E da ciò (7) o civile nella umana fame rimaso, e ad una è l'uomo rimosso, perchè parlare non si può mensa cogli altri simili impediti (39) s' as- d'alcuno, che il parlatore non lodi o non biasetti: e alli loro piedi si pongano tutti quelli simi quelli di cui egli parla; le quali due che per pigrizia si sono stati, chè non sono cagioni rusticamente stanno a fare parlare (8) degni di più alto sedere (40): e quelli e que- di sè nella bocca di ciascuno. E per levare sti prenderanno la mia vivanda col pane, un dubbio (9) che quivi surge, dico che pegche la farò loro e gustare e patire (41). La gio sia biasimare, che lodare; avvegnache vivanda di questo convito sarà di quattordici l'uno e l'altro non sia da fare. La ragione maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni si è, che qualunque cosa è per sè (10) da biadi Amore, come di virtù materiate (42), le simare, è più laida che quella che per acquali sanza lo presente pane aveano d' al- cidente. Dispregiare sè medesimo è per se cuna scurità ombra, sicchè a molti lor bel- biasimevole, perocchè allo amico dee l'uomo lezza più che lor bontà era in grado (43); lo suo difetto (11) contare segretamente, e ma questo pane, cioè la presente sposizio- nullo è più amico che l'uomo a sè; onde ne (44), sarà la luce, la quale ogni colore nella camera de' suoi pensieri sè medesimo di loro sentenzia fará parvente (45). E se riprendere dee e piangere li suoi difetti, e nella presente opera, la quale è CONVITO non palese. Ancora del non potere e del non nominata, e vo' che sia, (46) più virilmen- sapere bene sè menare, le più volte non è te (47) si trattasse che nella VITA NUOVA, l'uomo vituperato; ma del non volere è semnon intendo però a quella in parte alcuna pre, perchè nel volere e nel non volere nostro derogare, ma maggiormente giovare per que-si giudica la malizia e la bontade. E perciò chi sta quella; veggendo siccome ragionevolmen-biasima sè medesimo, appruova (12) sè cote quella fervida e passionata, questa tem-noscere lo suo difetto,appruova se non essere perata e virile essere conviene. Chè altro si buono; per che per sè è da lasciare di parconviene e dire e operare a una etade, che lare, sè biasimando (13). Lodare sè è da fugad altra perchè certi costumi sono idonei gire siccome male per accidente, in quanto e laudabili a una etade, che sono sconci e lodare non si può, che quella loda non sia biasimevoli ad altra, siccome di sotto nel maggiormente vituperio: è loda (14) nella quarto Trattato di questo libro sarà propia punta delle parole, è vituperio chi cerca loro ragione mostrata. E io in quella (48) dinanzi nel ventre. Che parole sono fatte per moall'entrata di mia gioventute parlai, e in que- strare quello che non si sa. Onde chi loda sta di poi quella già trapassata. É concios- sè, mostra che non crede essere buono tesiacosachè la vera intenzione mia fosse altra, nuto; che non gli incontra (15) sanza maliche quella che di fuori mostrano le Canzoni ziata coscienza, la quale sè lodando discuopredette, per allegorica sposizione quelle in- pre, e discuoprendo si biasima. (16) E antendo mostrare, appresso la litterale storia cora la propria loda e il proprio biasimo è ragionata: sicché l'una ragione e l'altra darà da fuggire per una ragione (17) egualmente sapore a coloro che a questa cena sono con- siccome falsa testimonianza fare; perocchè vitati; li quali priego tutti (49), che se il non è uomo che sia di sè vero e giusto miconvito non fosse tanto splendido quanto con- suratore, tanto la propria carità (18) ne inviene alla sua grida (50), che non al mio ganna. Onde avviene (19) che ciascuno ha volere, ma alla mia facultate imputino ogni nel suo giudicio le misure del falso mercadifetto; perocchè la mia voglia di compiuta tante, che vende coll'una, e compera coll'ale cara liberalità è qui seguace (51). tra: é ciascuno con ampia misura cerca (20) lo suo mal fare, e con piccola cerca lo be ne; sicchè il numero e la quantità e il peso del bene gli pare più che se con giusta misura fosse saggiato, e quello del male meno (21). Per che parlando di sè con lode,

:

CAPITOLO II.

Nel cominciamento di ciascun bene ordinato convito sogliono li sergenti prendere lo

o col contrario, o dice falso per rispetto alla cosa di che parla (22), o dice falso per rispetto alla sua sentenzia; che l'una e l'altra è falsità. E però, conciossiacosachè 'l consentire è un confessare, villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno; perchè nè consentire nè negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimarsi (23). Salva qui la via della debita corruzione, ch'essere non può sanza improperio (24) del fallo (25), chi correggere si intende; e salva la via del debito onorare e magnificare, la quale passare non si può sanza fare menzione dell'opere virtuose, o delle dignitadi virtuosamente acquistate. Veramente (26) al principale intendimento tornando, dico, com'è toccato di sopra (27), per necessarie cagioni lo parlare di sè è conceduto. E intra le altre necessarie cagioni due sono manifeste: l'una è quando sanza ragionare di sè, grande infamia e pericolo non si può cessare (28); e allora si concede per la ragione, che delli due sentieri prendere lo meno reo è quasi prendere un buono. E questa necessità mosse Boezio di sè medesimo a (29) parlare, acciocchè sotto pretesto (30) di consolazione scusasse la perpetuale infamia del suo esilio, mostrando quello essere ingiusto; poichè altro scusatore non si levava. L'altra è quando per ragionare di sè, grandissima utilità ne segue altrui per via di dottrina; e questa ragione mosse Agustino nelle Confessioni a parlare di sè; che per lo processo della sua vita, la quale fu di malo (31) in buono, e di buono in migliore, e di migliore in ottimo, ne diede esemplo (32) e dottrina, la quale per più (33) vero testimonio ricevere non si poteva. Per che l'una e l'altra di queste ragioni mi scusa, sufficientemente il pane del mio formen-vemente ora qui piace toccare; e prima perchè to è purgato dalla prima sua macola. Movemi timore d'infamia, e movemi desiderio di dottrina dare (34), la quale altri veramente dare non può. (35) Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate Canzoni in me avere signoreggiato; la quale infamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente; lo quale mostra che non passione, ma virtù sia stata la movente cagione. Intendo anche mostrare la vera sentenza di quelle (36), che per alcuno vedere non si può, s'io non la conto, perchè nascosa sotto figura d'allegoria; e questo non solamente darà diletto buono a udire, ma sottile ammaestramento, e a così parlare, e a così intendere l'altrui scritture.

sè medesima, e quello induce; siccome quegli (2) che fosse mandato a partire una zuffa, e prima che partisse quella ne cominciasse un' altra (3). E perocchè 'l mio pane è purgato da una parte, convienlomi purgare dall'altra per fuggire questa riprensione, che il mio scritto, che quasi Comento dire si può, è ordinato a levare il difetto delle Canzoni sopraddette, e esso per sè sia forse in parte (4) un poco duro (5); la qual durezza per fuggire maggior difetto, non per ignoranza, è qui pensata (6). Ahi piaciuto fosse al Dispensatore dell'universo, che la cagione della mia scusa (7) mai non fosse stata; chè nè altri contro a me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, d'esilio e di povertà. Poichè fu piacere de' cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza (8), di gettarmi fuori del suo dolcissimo seno (nel quale nato e nudrito fui fino al colmo della mia vita (9), e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto il cuore di riposare l'animo stanco, e terminare il tempo che m'è dato ), per le parti quasi tutte, alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contro a mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che (10) vapora la dolorosa povertà: e sono vile (11) apparito agli occhi a molti, che forse per alcuna fama in altra forma mi aveano immaginato; nel cospetto de' quali non solamente mia persona invilio, ma di minor pregio si fece ogni opera, si già fatta, come quella che fosse a fare. La ragione per che ciò incontra (non pure in me, ma in tutti) brie

CAPITOLO III.

Degna di molta riprensione è quella (1) cosa ch'è ordinata a tôrre alcuno difetto per DANTE. Opere Minori.

la stima oltre la verità si sciampia (12), e poi perchè la presenza oltre la verità stringe (13). La (14) fama buona principalmente generata dalla buona operazione nella mente dell' amico, da quella è prima partorita (chè la mente del nemico, avvegnachè riceva il seme, non concepe) (15). Quella mente che prima la partorisce, si per fare più ornato suo presente, si per la carità dell'amico che lo riceve (16), non si tiene alli termini del vero, ma passa quelli; e quando per ornare ciò che dice li passa, contro a coscienza parla; quando inganno di carità li fa passare, non parla contro a essa (17). La seconda mente che ciò riceve, non solamente alla dilatazione (18) della prima sta contenta, ma'l suo riportamento siccome (19) suo effetto procura d'adornare, e sì (20) che per questo fare, e per lo 'nganno che riceve dalla carità in lei (21) generata (22) quella (23) più ampia fa, che a lei non viene, o (24) con concordia o con discordia di coscienza come la

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cellenzia di quello cotale meno essere pregiati: e questi non solamente (13) passionati mal giudicano, ma, diffamando, agli altri fanno mal giudicare. Per che appo costoro la presenzia ristrigne lo bene e lo male in ciascuno appresentato (14); e dico lo male, perchè molti, dilettandosi delle male operazioni, hanno invidia alli mali operatori. La terza si è la umana impuritade, la quale si prende dalla parte di colui che è giudicato,

prima (25). E questo fa la terza ricevitrice, e la quarta; e così in infinito si dilata (26). E così volgendo de cagioni sopraddette nelle contrarie, si può vedere la ragione dell'infamia, che simigliantemente si fa grande. Per che Virgilio dice nel quarto della Eneida «che la Fama vive (27) per essere mobile, e acquista grandezza per andare. » Apertamente adunque veder può chi vuole, che la immagine per sola fama generata sempre è più ampia, quale che essa sia, che non è la co-e (15) non è sanza familiarità e conversaziosa immaginata nel vero stato.

CAPITOLO IV.

ma la

ne alcuna. Ad evidenza di questa (16) è da sapere che l'uomo è da più parti maculato, e, come dice Agostino, « nullo è sanza macula. » Quando (17) è l'uomo maculato da Mostrata la (1) ragione innanzi, perchè la alcuna passione, alla quale talvolta non può fama dilata lo bene e lo male oltre la vera resistere; quando è maculato d'alcuno sconquantità, resta in questo Capitolo a mostra- cio membro; e quando è maculato d'alcuno re quelle ragioni che fanno vedere perchè colpo di fortuna; quando è maculato d'infala presenzia ristrigne per opposito: e mostra-mia di parenti, o d'alcuno suo prossimo: le te quelle, si verrà lievemente al principale quali cose la fama non porta seco, proposito; cioè della sopra notata (2) scusa. presenza, e discuoprele per sua conversazioDico adunque, che per tre cagioni la pre-ne (18); e queste macule alcuna ombra gitsenza fa la persona di meno valore ch'ella tano sopra la chiarezza della bontà, sicche non è. (3) L'una delle quali è puerizia, non la fanno parere meno chiara e meno valendico d'etade, ma d'animo: la seconda è in- te. E questo è quello per che ciascuno providia; e queste sono nel giudicatore: la ter-feta è meno onorato nella sua patria; queza è la umana impuritade; e questa è nel giusto è quello per che l' uomo buono dee la dicato. La prima si può brievemente così sua presenzia dare a pochi, e la familiaritaragionare: La maggior parte degli uomini de dare a meno, acciocchè il nome suo sia vivono secondo senso, e non secondo ragio- ricevuto (19) e non ispregiato. E questa terne, a guisa di pargoli; e questi cotali non za cagione puote essere così nel male, coconoscono le cose se non semplicemente di me nel bene, se le cose della sua ragione fuori, e la loro bontade, la quale a debito si volgano (20) ciascuna in suo contrario (21). fine è ordinata (4) non veggiono, perocc'han- Per che manifestamente si vede che per inno chiusi gli occhi della ragione, li quali puritade, sanza la quale non è alcuno, la passano a vedere quello (5); onde tosto veg-presenzia ristrigue il bene e'l male in ciagiono tutto ciò che possono, e giudicano se- scuno più che 'l vero non vuole. Onde concondo la loro veduta. E perocchè alcuna opi- ciossiacosachè, come detto è (22) di sopra, nione fanno nell' altrui fama per udita, dal- io mi sia quasi a tutti gl' Italici apppresentala quale nella presenza si discorda lo imper-to, per che fatto mi sono più vile forse che'l fetto giudicio, che non secondo ragione, ma secondo senso giudica solamente (6), quasi menzogna reputano ciò che prima udito hanno, e dispregiano la persona prima pregiata. Onde appo costoro, che sono come quasi tutti, la presenza ristrigne l'una e l'altra qualità (7). Questi cotali tosto sono vaghi, e tosto sono sazii; spesso sono lieti, e spesso sono tristi di brievi dilettazioni e tristizie; e tosto amici, e tosto nemici; ogni cosa fanno come pargoli, sanza uso di ragione. (8) La seconda si vede per queste ragioni, che la paritade (9) ne' (10) viziosi è cagione di invidia, e invidia è cagione di mal giudicio; perocchè non lascia la ragione argomentare per la cosa invidiata (11), e la potenzia giudicativa è allora quello giudice che de pure (12) l' una parte. Onde quando questi cotali veggiono la persona famosa, incontanente sono invidi, perocchè veggiono assai pari membra e pari potenza; e temono per la ec

vero non vuole, non solamente a quelli alli quali mia fama era già corsa, ma eziandio agli altri, onde le mie cose sanza dubbio meco sono alleviate (23), convienmi che più alto stile dea (24) nella presente opera un poco di gravezza, per la quale paia di maggiore autorità; e questa scusa basti alla fortezza (25) del mio Comento.

CAPITOLO V.

Poichè purgato è questo pane dalle macole accidentali, rimane scusare lui d'una sustanziale, cioè dall' essere volgare, e non latino, che per similitudine dire si può di biade, e non di formento. E da (1) ciò brievemente lo scusano tre ragioni che mosser me ad eleggere (2) innanzi questo, che l' altro (3). L'una si muove da cautela di disconvenevole ordinazione; l'altra da prontezza di liberalità (4); la terza dal naturale amore a

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CAPITOLO VI.

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propria loquela. E queste cose e sue (5) ra- | manifestare lo concetto umano è virtuoso gioni, a soddisfacimento di ciò che riprende- quando quello fa; e più virtuoso è quello che re si potesse per la notata ragione, intendo più lo fa. Onde conciossiacosachè lo Latino per ordine ragionare in questa forma (6). molte cose manifesta concepute nella menQuella cosa che più adorna e commenda le te, che il Volgare fare non può, siccome umane operazioni, e che più dirittamente a sanno quelli che hanno (18) 1 uno e l'altro buon fine le mena, si è (7) l'abito di quel- sermone, più è la virtù sua, che quella del le disposizioni che sono ordinate allo inteso Volgare. Ancora non era suggetto, ma sofine; (8) siccom'è ordinata al fine della ca- vrano per bellezza. Quella cosa dice l'uomo valleria franchezza d'animo, e fortezza di cor- essere bella, cui le parti debitamente risponpo. E così colui ch' è ordinato all' altrui ser- dono, perché dalla loro armonia resulta piavigio dee avere quelle disposizioni che sono cimento: onde pare l'uomo essere bello a quel fine ordinate; siccome suggezione e quando le sue membra debitamente risponconoscenza e obbedienza, sanza le quali è cia-dono; e dicemo bello il canto, quando le voci scuno disordinato a ben servire. Perchè s'el-di quello secondo debito dell'arte sono intra li non è suggetto, in ciascuna condizione (9) sè rispondenti. Dunque quello sermone è più sempre con fatica e con gravezza procede nel bello, nel quale più debitamente le parosuo servigio, e rade volte quello contino-le (19) rispondono, e ciò fanno più (20) in va (10); e s'elli non è obbediente, non ser- Latino, che in Volgare: però il bello Volve mai se non a suo senno e a suo volere: gare seguita uso, e lo Latino arte; onde conch'è più servigio d'amico, che di servo. Dun-cedesi esser più bello, più virtuoso e più que a fuggire questa disordinazione convie-nobile (12). Per che si conchiude lo prinne questo Comento, ch'è fatto in vece di cipale intendimento, cioè che non sarebbe servo alle infrascritte Canzoni essere sug- stato suggetto alle Canzoni, ma sovrano. getto a quelle in ciascuna sua ordinazione; e dee essere conoscente del bisogno del suo signore, e a lui obbediente: le quali disposizioni tutte gli mancherebbono (11) se lati- Mostrato come il presente Comento non sano e non volgare fosse stato, poichè le Can-rebbe stato suggetto alle Canzoni volgari se zoni sono volgari. Chè primamente non era fosse stato latino, resta a mostrare come non suggetto, ma sovrano e per nobiltà e per vir- sarebbe stato conoscente, nè obbediente a tù e per bellezza: per nobiltà, perchè il La-quelle; e poi sarà conchiuso come per cestino è perpetuo e non corruttibile (12), e il sare disconvenevoli disordinazioni fu mestiere Volgare è non istabile corruttibile. Onde volgarmente parlare. Dico che latino (1) non vedemo nelle scritture antiche delle comme- sarebbe stato servo conoscente al signore voldie e tragedie latine, che non si possono tras-gare per cotale ragione. Alla (2) conoscenza mutare, quello medesimo (13) che oggi ave- del servo si richiede massimamente due cose mo; che non avviene del Volgare, lo quale perfettamente conoscere: l'una si è la natura a piacimento artificiato si trasmuta (14). On- del signore; onde (3) sono signori di sì aside vedemo nelle città d'Italia, se bene vo- nina natura, che comandano il contradio di lemo agguardare a cinquanta anni, molti vo- quello che vogliono; e altri che sanza dire caboli essere spenti e nati e variati; onde se'l vogliono essere serviti (4) e intesi; e altri picciolo tempo così trasmuta, molto più tras- che non vogliono che'l servo si muova a fare muta lo maggiore. Sicch' io dico (15), che quello ch'è mestieri, se nol comandano. E se coloro che partiro di questa vita già so- perchè (5) queste variazioni sono negli uono mille anni tornassono alle loro cittadi, cre- mini non intendo al presente mostrare (che derebbono la loro cittade essere occupata da troppo moltiplicherebbe la digressione) se gente strana per la lingua da loro discordan- non intanto che, dico in genere, che cotali (6) te. Di questo si parlerà altrove più compiu- sono quasi bestie, alli quali la ragione fa poco tamente (16) in un libro ch'io intendo di fa- prode. Onde se il servo non conosce la nare, Dio concedente, di volgare eloquenzia.tura del suo signore, manifesto è che perAncora non era suggetto, ma sovrano per virtù. Ciascuna cosa è virtuosa in sua natura, che fa quello a che ella è ordinata; e quanto meglio lo fa, tanto è più virtuosa; onde dicemo uomo virtuoso, che vive in vita contemplativa o attiva, alle quali è ordinato naturalmente (17): dicemo del cavallo virtuoso, che corre forte e molto, alla qual cosa è ordinato: dicemo una spada virtuosa, che ben taglia le dure cose a che essa è ordinata. Così lo sermone, il quale è ordinato a

fettamente servire nol può. L'altra cosa è, che si conviene conoscere al servo gli amici del suo signore; chè altrimente non li potrebbe onorare, nè servire, e così non servirebbe perfettamente (7) lo suo signore: conciossiacosache gli amici siano quasi parte d'un tutto, perciocchè'l tutto loro è uno volere e uno non volere (8). Nè il Comento latino avrebbe avuto la conoscenza di queste cose (9), che l'ha il Volgare medesimo. Che lo Latino non sia conoscente del Volgare e de' suoi a

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