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seguentemente stimo viziata la scrittura, e così, e l'anima forse ne perde la ragione che si debba leggere, non già la intelligen- |di quelle attinenze. Parlo dubitativamente, zia motrice, ma le Intelligenzie motrici; di perciocchè sento verissimo ciò che dice egli che viene prontamente questo bellissimo in- stesso Dante (cap. vIII.), cioè, che l'uomo tendimento. Massimamente conoscono quella è si mirabile creatura che certo non pur colle cioè, la forma umana, le intelligenze motri-parole è da temere di trattare di sue conci; perocchè sono ecc. cioè, perocchè elleno dizioni, ma eziandio col pensiero. Ora l'inIntelligenze motrici de'cieli sono le specia-ganno della detta sentenza forsechè ebbe molissime cagioni ordinate da Dio a dare, col tivo in parte dal considerare l'alta signoria mezzo de'celestiali movimenti, vita attuale che sul corpo tiene l'anima, la quale, coad essa forma umana, e ad ogni forma ge- munemente dico, gli fa cambiare assai della nerale di tutte le spezie di cose mondane. figura esterna, secondo ch'ella si trova in Confronti il lettore questo con quello che bene o in male passionata dentro. Così, per s'insegna dall'A. a'capi v. e xiv. tratt. 11. P. modo d'esempio, si vede molti, dopo una (13) Intendi: E se poi essa umana forma colpa, anche secreta, avere mutato viso. P. prodotta nel mondo in attualità, o vogliam (27) infonde e rende al corpo suo della dire, esemplata e individuata mediante l'o-bontà della cagione sua, che dà, così tutti i perazione delle Intelligenze motrici de'cieli, mss. e le stampe; ov'è manifesta la mancannon si trova perfetta, ciò non avviene per za del suggetto che infonde, essendo condifetto dell'esempio che di essa forma uma- traffatta l'indicazione di quella che è cagione na è nella divina Mente, ma per difetto della dell'anima umana, vale a dire di Dio, in vece materia la quale è individua, e per conse-di cui si è scritto e stampato da. V. il SAGguente oppone alla perfezione della cagione GIO, pag. 129. E. M. informante un essere di passività per ogni parte terminata. P.

L'anima è un'addizione al testo fatto dai Sigg. E. M., perciocchè parve loro qui me(14) Di fatto, se mirando l'esempio veg-nifesta la mancanza del suggello che infongono lei, bisogna dire ch' essa e l'esempio sono una cosa sola. P.

(15) Intendi: Ed ogni Intelletto di lassù la mira in forza di quella virtute, la quale

de. Io però credo che non era necessario, perciocchè l'anima appunto è il sostantivo principale reggente tutto il discorso; il quale sostantivo è espresso un poco lungi, ma non tanto, che la mente del lettore non gli possa (16) Affermare per Confermare; e vuol attribuire l'azione significata pei due verbi dire: E a confermare questo, cioè, che que-infonde e rende. P.

ecc. P.

sta donna sia una sola cosa di perfezione col- (28) I Tasso contrassegnò in margine it l'esempio della forma umana che è nella di-passo da l'anima è atto del corpo fino alle vina Mente, soggiungo ecc. P.

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ultime parole qui emendate: della bontà della cagione sua ecc. E. M.

(29) Dunque male que'poeti, spezialmente del Cinquecento, che prendono la voce forma per corpo. PERTICARI.

Forma per Anima intese il Petrarca nella pr. Canz. in morte di Laura, ove disse:

» L'invisibil sua forma è in Paradiso. E il Tasso usò questa voce per la sustanza angelica (Ger. 1. 13):

» La sua forma invisibil d'aria cinse, » Ed al senso mortal la sottopose. E. M. (30) Correggi che lo, perciocchè se il pronome si lascia rappresentare nient'altro che il corpo, tutta la sentenza è scompigliata. P. (31) riceve, cod. Vat. Urb. E. M.

(26) Poni ben mente a questa sentenza, della quale Dante farà uso al suo intendi- (32) Chi è che prova? Io credo che si debmento qui e poi ancora al capo VIII. Ma ba scrivere: E così provo, perciocchè questa pare ella ingannevole, per iscambio, come non è altro che una ripetizione confermativa si dice, del senso vero secondo uno rispet-di quelle parole poste di sopra: Poi quando to, col senso vero semplicemente. Di fatto dico: La sua anima pura, provo ecc. P. il corpo, se sia considerato in quanto componente dell'uomo, è veramente solo potenza, e l'anima gli dà l'atto e si fa quindi sua cagione; ma se il corpo sia considerato in quanto semplice corpo, la cosa non è più le

(33) Cioè, quella apparenza, per la quale si veggono in costei, quanto è dalla parte del corpo, maravigliose cose. P.

(34) beneficiata, cod. Gadd. 135 primo, Vat. Urb. Le stampe: beneficiata. E. M.

CAPITOLO VII.

(1) In questo luogo è difetto d'alquante parole, onde ne vengono alcuni gravi sconci nel discorso. Ma siccome elle si leggono presso il Biscioni; e d'altra parte i Sigg. E. M. non fanno motto d'avere eletto piuttosto altrimenti, crederò che nella loro edizione sieno state ommesse per semplice inavvertenza. Leggi adunque: È prima la commendo, secondochè il suo bene è grande in lei: la commendo poi, secondochè 'l suo bene è grande in altrui, e | utile al mondo. P.

abbiamo supplite col testo di Alberto Magno alla mano: Quaedam autem sunt spargentia tantum luminis et diaphani, quod vix discerni possunt. Vedi il SAGGIO, pag. 64. Nulladimeno non vogliamo tralasciare di proporre una nostra congettura; ed è, che Dante, senza attenersi scrupolosamente alle parole dell'autore allegato, abbia scritto: che par multiplicamento di luce lo loro aspetto. E. M.

(9) Anche qui viso per vista, atto del vedere, come altrove. E. M.

(10) Supplisci: È ricevuta; e così in tutti

(2) delle cose ricevute, così errano tutti ii luoghi seg. P. testi.

>> La gloria di Colui, che tutto muove,
» Per l'universo penetra, e risplende
>> In una parte più e meno altrove.

Par. 1. 1. E. M.

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(11) e altrimenti dalle piante,e altrimenti dalle miniere ecc., cod. Vat. Urb., Marc. secondo, codici. Gadd. 134, 135 secondo, 3.

E. M.

(12) Dopo i tanti nobilissimi concetti espressi dall' A. sulle Intelligenze celesti, appena si può aspettare qui che sia attribuito |l'essere intellettuale unicamente a Dio, poniamo che, parlando, secondo l'ultimo rigore della filosofia, sarebbe vero. Penso adunque che si deve forse scrivere che solo è intellettuale, sicchè solo sia avverbio e non aggettivo. Allora anche l'argomentazione ne acquista un miglior atto, intendendosi prontamente, che la terra, siccome materialissima, non può essere altro che rimotissima e improporzionalissima alla prima Virtù, che è solamente intellettuale. P.

(13) Gradi del modo di questo ricevimento della divina bontà. P.

(14) Ordina ed intendi: Che dell' anime umane, riceve quella bontà altrimenti una che un' altra. P.

grado supremo da cui si discende. E. M.

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(7) Ecco il luogo d'Alberto, come fu portato dal ch. Mazzucchelli; e così vedrà meglio il lettore nella loro fonte questi dommi naturali e il modo con che Dante gli derivò al suo intendimento. Albert. Lib. 1. DE IN- (15) E perocchè l'ordine intellettuale TELLECTU ET INTELLIGIBILI. Tract. 11. C. tutti i testi. Correggiamo nell' ordine intel11. T. v. pag. 250. 1. Propter multam victo-lettuale, perchè subito dopo Dante ne dice riam et per mixtionem perspicui clari in nell' ordine sensibile. E. M. corporibus terminatis videmus, quosdam co- (16) Qui la laguna è evidentissima in tutlores in luminis adventu effici scintillantes ti i testi, i quali leggono: dall' infima foret spargentes lumen ad illuminationem alio-ma all'altissima: all' infima; e mancano del rum: et aliquando si vere in toto sit perspicuum corpus coloratum, si lumen superveniat, illi colores colorant alia corpora sibi apposita, sicut videmus in vitro colorato, per quod lumen veniens secum trahit colorem vitri, et ponit eum super corpus, cui per vitrum incidit lumen. Quaedam autem sunt ita vincentia in puritate diaphani, quod adeo radiantia efficiuntur, quod vincunt harmoniam oculi, et videri sine magna difficultate non possunt. Quaedam autem sunt spargentia tantum luminis et diaphani, quod vix discerAni possunt visu propter parvitatem suae compositionis ex perspicuo, cuius proprius actus est lumen. P.

(8) I testi portano la sciocca lezione: in quelli è lo loro aspetto. Onde chiarissimo essendo che mancano in essa alcune parole, le

(17) perfetta,cod. Marc., Vat. Urb., Barb., Gadd. 134, 3, pr. ediz. Il Biscioni: imperfetta. E. M.

(18) Tutti i mss. e le stampe leggono: e noi veggiamo molti uomini tanto vili ecc... e così è da porre e da credere fermamente ecc.; ma è evidente la laguna della particella siccome nella protasi del periodo, e il soprappiù dell' e innanzi a così nell' apodosi. Da queste parole e siccome noi veggiamo ecc. fino a per la sperienza che aver da lei si può, il luogo è segnato in margine dal Tasso, ed è interlineata la sentenza: Questi cotali chiama Aristotile, nel settimo dell' Etica, divini; sentenza notata anche dal Perticari nel suo testo. E. M.

A me pare che l'aggiunta della particella

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ecc.

portano: la quale più che tutte le altre I codici Vat. Urb. e Gadd. 134 fedi aiuta tutta l' umana generazione. Il Gadd. 135 secondo legge anch' esso la quale. E. M.

siccome non bisognasse qui, come anche ad essi Sigg. E. M. è paruto non bisognare in capo agl' incisi antecedenti, tutti commessi insieme per l'istesso modo a costruire la protasi del periodo; la quale comincia alle parole E perocchè, e si conduce via via fino all'avverbio corrispondente così, dove comincia l'apodosi. Vedi un altro periodo a- li gli altri. Si noti però che noi abbiamo cor(30) Cioè: ed a noi faccia credere possibivente tutto essa la forma di questo, in fine retta la lezione manifestamente errata di tutdel capo, dalle parole perocchè conciossia-ti i testi: avere da noi faccia possibili ecc. cosachè innanzi. P.

(19) Cioè, ascendente e discendente. P. (20) Portamento che sia. Tasso; ed interlinea le parole: reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati Questo vocabolo portamenti è frequente nel Petrarca, parlando della sua Laura; ed il Tasso ne fa uso ove parla dei due messaggi del Re d'Egitto :

» Quando duo gran Baroni in veste ignota » Venir son visti, e 'n portamento estrano. E. M. (21) Supplisci: Ma sì in quelli che gli ammaestrano di così fare. P.

(29) E i miracoli. P.

E. M.

glossema. E. M.
(31) Questo cioè eternalmente pare un

(32) Vedi quello che Dante dice in fine del Capitolo antecedente, e ti accorgerai della laguna che qui si è supplita. E. M.

CAPITOLO VIII.

(1) Effetti, cioè opere. PERTICARI. (2) Cioè, la vegetale, la sensitiva, la razionale. P.

le

nature congiunte. P.
(3) Intendi: le virtù proprie di tutte e tre

codici Marc., il Vat. Urb. ed il Gadd. (4) Così con buona lezione le pr. ediz., 134. Il Biscioni: in tanto poco numero.

e E. M.

(22) ripresentare, pr. edizioni, codici Mar-i ciani, Gadd. 134, 135 secondo. La volgata di questo passo era sicuramente depravata confidiamo di averla rimessa nella sua genuina bontà. Ella stava come segue: ripresentano. | Onde siccome la immagine delle corpora in | alcuno corpo lucido si rappresenta, siccome nello ispecchio; così la immagine corporale, che lo specchio dimostra, non è vera: così la immagine della ragione, cioè gli atti, ecc. E. M.

(23) colei, ediz. Bisc.; con lei, ediz. da Sabbio, e codice Gadd. 134 e Vat. Urb.

E. M.

(24) Cioè, i concetti che muove esso spirito celestiale. P.

(25) È detto secondo il linguaggio delle antiche scuole, e si vuole intendere: Dovunque per bontà di natura è posto dell' attitudine all' amore; perciocchè amore non alligna ne' cuori de' tristi, secondo la sentenza: Amore e cor gentil sono una cosa. P.

(26) La quale natura semenza ecc., cod. Vat. Úrb., Barberino, Gadd. 134. E. M.

(27) Parere qui è in natura di nome, e vale apparenza, comparsa, e più veramente opinione. PERTIcari.

Ma forse il testo è viziato, e deve stare così: nel quale mirando possono fare sè parere gentili. Secondamente narro ecc. Le parole quello seguitando hanno tutta l'apparenza di glossema, non essendo esse che una spiegazione di nel quale mirando; ed aggiungiamo, che debbono forse mettersi al principio del susseguente periodo, così Quello seguitando, secondamente ecc. E. M.

(28) Il Biscioni legge scorrettamente lo qual

dell' Antropologia scrivono le si mirabili e (5) E questo sia detto a tutti quelli che ora pazze cose. PERticari.

(6) Forse dee dire: Sicchè cadono in ciò

ecc. E. M.

pienza di Dio precedette tutte le cose che
(7) Tutti i testi mss. e stampati: La sa-
ne col soccorso delle parole scritturali: Sa-
cercava. Si è corretta questa pessima lezio-
pientiam Dei praecedentem omnia quis in-
GIO, pag. 27. E. M.
vestigavit? (Ecclesiastic. 1. 3.) V. il SAG-

te ne scrutatus fueris: sed quae praecepit
(8) Altiora te ne quaesieris et fortiora
tibi Deus, illa cogita semper, et in pluri-
bus eius operibus ne fueris curiosus. (Ec-
cles. cap. 3). Col sacro testo davanti non
solamente si scorge che le parole ultime cioè
sema, perchè l'equivoca voce sollicito nou
sollicito sono un glossema (e sciocco glos-
priamente vale desideroso di sapere ); mi
risponde bene alla latina curiosus, che pro-
di più si viene a scuoprire il furto fattosi
pensa (cogita semper ); avverbio, in tal luo-
nelle stampe dell' avverbio sempre al verbo
go,
che ne fa Dio. E non è da credere che Dan-
di molto momento rispetto al comando
te, esattissimo e letterale nel volgarizzare i
testi della sacra Scrittura, l'abbia dimenti-
cato. SAGG. pag. 97. E. M.

to questo capo, bisogna richiamare alla men(9) Qui e per più altri luoghi vegnenti sotquesto trattato, cioè, che l' anima sia cagione te la sentenza posta dall' A. al cap. vt di

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perpetua, qui è con alcuna discontinuazione cagionata dall' impossibilità di riguardare perpetuamente in quella bellezza; ed anche con aspettazione di fine per la morte futura d'es

(10) Come se dicesse: Dànno a gustare. P. (11) Penso che la lezione primitiva sia solo nelle parole dimostrano de' piaceri di Pa-sa donna e de' riguardatori. Vedi come si radiso; perchè di questi direttamente ed u- conforta questa intelligenza nella esposizione nicamente dice il verso della canzone, e non allegorica al capo xIII. P. di nessun' altra natura di piaceri; e perocchè tal modo è tenuto anche dove l' A. spone allegoricamente l'istesso verso. Le altre parole di mezzo, cioè, e intra gli altri di que' vi saranno forse per interponimento di mano straniera. P.

(17) Cioè, dove appare in costei le cose che cagionano questo mirabile piacere. P..

(18) Sotto nome di questi due estremi, cioè, piacenza e dispiacenza io credo che si voglia significare le umane passioni, le quali tutte in quel mezzo si possono com

(12) Lo più nobile de' piaceri del Para-prendere, se mai non perciocchè elle abbiadiso. P.

no motivo dal piacere e dal dispiacere, certo almeno, perciocchè sono costantemente da piacere e da dispiacere, secondo più o meno, accompagnate. P.

(19) Onde è da sapere ecc. fino a peroc

е

(13) Beati gli occhi che la vider viva! disse il Petrarca di Laura. E. M. (14) risguardatori, pr. ed. E. M. (15) Sottintendi il piacere. E, M. (16) L'intrico di questo passo è tale, co-chè in quelli due luoghi quasi tutte e tre, me è detto nel SAGGIO (a carte 97), che luogo contrassegnato dal Tasso in margine, la Critica si sgomenta di poterlo riordinare. postillato: Nota. Il medesimo contrassegnò Ecco la correzione che per congettura ivi ne alquanto più avanti il passo: li quali due luoabbiamo proposta : « E questo si è essere ghi per bella similitudine ecc. amore >> beato, questo è piacere veramente; avve- vergogna. Ed a lato di quest' ultime parole » gnachè nell' aspetto di costei (che guar-fece la seguente postilla: Non annovera tut» dando costei la gente si contenta) tanto te le passioni. E. M.

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in qualunque parte del corpo l'anima fa più delle funzioni sue proprie, quella lavora con ogni sottigliezza, ed abbellimento. P.

>> dolcemente ciba la sua bellezza gli occhi (20) Intendi: Perciocchè è da sapere che » de' riguardatori, che per lo suo contentare è Paradiso perpetuo, che per altro modo » non può in alcuno essere questo. » Cioè: Non può questo accadere. Ne pare ancora (21) Questa lezione, che è la volgata può che si scioglierebbe passabilmente, quando reggersi, ma sembra che sarebbe assai mesi aggiungesse, espresso o sottinteso: che glio il dire: ...; del suo ufficio, quella non può ad alcuno uomo quaggiù essere que-più fissamente ecc., tralasciando quel che a. sto; e vale a dire: essere, avvenire, o simi-E. M.

le. E. M.

(22) Al suo lavoro. P.

(23) Che per cagione del sottigliarsi quivi ecc. P.

(24) Quivi, cioè, nella faccia. P.

E. M.

nello

(27) non si paresse, pr. ed., codici Gadd. 134 e Vat. Urb. E. M.

Io per me sopra il testo adottato dai Sigg. E. M. propongo una mutazione di leggerissimo ardimento, cioè, che si scriva chè pur lo contentare, ovvero solo trasmutando per- (25) Cosi il cod. Vat. Urb., ed il Gadd. chè lo contentare, invece di che per lo con-135 secondo. Il Biscioni legge tutte tre. tentare, senza la virgola che divide questa dalla seguente frase. Così mi pare di vede- (26) nel dificio del corpo, Bisc. re sicuramente risanato questo luogo, il qua- edificio porta il Vat. Urb., il quale, d'acle forse per ogni altro modo è disperato. Ab- cordo col Gadd. 134, legge alita invece di biamo veduto come Dante ha posto la pro-abita; lezione da non seguirsi. E. M. posizione, che nell' aspetto della sua douna appariscono cose le quali dimostrano de' piaceri del Paradiso; e come ha dichiarato, che il più nobile si è contentarsi che è essere beato, e come ha seguitato affermando che questo piacere, o vogliam dire, questa beatitudine è veramente, benchè non nell' istesso modo appunto, anche nello aspetto della suddetta donna, dando per ragione l'infinita (V. il SAGGIO, pag. 27.) Pure tutti i codolcezza che viene dalla bellezza di lei ne' ri- dici, tranne l'unico sopra citato, leggono guardatori. Ora adunque Egli viene a dispie-eterna nota; e così pure legge il Biscioni. gare la modificazione accennata unitamente E. M. a questa proposizione colle parole avvegnache per altro modo, quasi dica: Ben è vero però che laddove la beatitudine in Paradiso è DANTE. Opere Minori.

(28) notte è la buona lezione, conforme al cod. Gadd. 135 primo, ed al testo di Stazio (Theb. lib. 1. v. 47 ):

Merserat aeterna damnatum nocte pudorem
Oedipodes.

(29) Definizione del riso poetica. TASSO.Ecco la ragione della metafora lampeggiar d'un riso. PERTICARL.

43

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(31) È notabile l'assenza dell' articolo innanzi a donna. Sotto nome di questa s' intende l'anima, come si vede più su. P.

io tratti, mentre pure ne faccio subbietto del mio ragionare. P.

(38) Tutti i mss. e le stampe: lo intelletto nostro, cioè umano. Abbiamo espunte le parole cioè umano, perchè evidente glossema de' copisti. E. M.

(39) frale , pr. ed. e cod. Vat. Urb.

E. M.

(40) fisamente l'uomo ecc. Così il cod. Vat. 4778; laddove tutti gli altri testi hanno fisamente mosso, lezione priva di senso buo

(41) Disvia, cioè, si smarrisce. P.

(32) Questo libro, attribuito anche a Se-no. E. M. neca, è di S. Martino vescovo di Braga nel secolo VI., detto Martino dumense per aver fondato il monastero di Duma presso Braga. E. M.

(33) Ahi mirabile e onorabile riso, cod. Barb. e Gadd. 135 secondo. E. M.

(34) Soavissima espressione a dipingere la modestia del riso. Il verbo sentire non è catacresi in questo luogo, siccome alcuni stimano, perchè il vedere è sentire, e perciò gli occhi sono detti sentimento. PERTI

CARI.

(35) Perciocchè in essi massimamente ado

pera. P.

(43) informato ardore, pr. ed., codici Barb., Gadd. 134, 135 secondo, e Vat. Urb. E. M.

Questa lezione a me pare migliore che la comune nel testo; perciocchè il sostantivo dominante in questo membro del discorso è ardore; la dizione poi d'amore esprime una passione d'esso sostantivo e non ha altro ufficio. Ora se noi leggiamo informato, ardore, sovrabbonda, sì, ma innocentemente, il segno espressivo del caso dominante; ma l'altra sua passione, cioè l'essere informato, gli va condotta direttamente, come è do(36) Le quali sono l' armeria d' Amore. P. vere. Laddove se leggiamo informato amo(37) sovrastando a quella, il Biscioni d'ac-re, la passione è legata, non più al subbietcordo colle antiche ediz. e coi codici; ma to, ma alla passione; la qual cosa non accade nè egli, nè alcuno de' più vecchi editori e senza una come sottilissima tortura. P. de' copisti intesero la sentenza; perocchè, tutto al contrario di dire ch' esso sovrasta all'eccellenza della sua donna, Dante dice che quella sovrasta a lui, cioè ch' ella soverchia il suo intelletto per modo, ch' ei poco ne può parlare. Se però non vuolsi che sovrastare ad una cosa qui significhi aggirarsi sopra di essa: il che non ci sembra naturale; ma ce ne mette sospetto quell' espressione dell' Autore in questo stesso Trattato, Cap. XI. ove dice: chi desse loro quello che acquistare intendono, non sovrasterebbono allo studio, E. M.

O ch'io m'inganno o veramente fu il Biscioni ed i vecchi editori quelli che intesero la sentenza. Mi dicano per grazia i Sigg. E. M. anche nella lezione da loro composta, le parole sovrastando quella non entrano nel corpo dell' accusa? Or bene esse ne rompono appunto tutta la forza; perciocchè qual mai ragione di rimproverare altrui di ciò che poco dica in cosa, dalla quale si sa ch' egli è soverchiato? Dunque la dizione sovrastando a quella si vorrà spiegare, non già aggirandomi sopra di essa, ma fermandomivi sopra, o simile; come in questo esempio de' Serm. di S. Agost. 3. «Se tu se' domandato, farai meglio di dare breve risposta, che volere soprastare in lungo ragionamento. » Allora il pieno del discorso si risolve a questo modo: Escuso me che di tanta eccellenza di beltà poco pare, che

(44) e distrugge lo suo contrario delli buoni pensieri, così i mss. e le stampe (salvo che il cod. Vat. Urb., in cambio di delli buoni pensieri, legge alli buoni pensieri); Dante però non dice lo contrario delli buoni pensieri, ma lo suo contrario; e quel suo fa chiarissima prova che delli buoni pensieri è puro glossema. E. M.

(45) La lezione volgata è: certi vizii sono anco nell' uomo. Abbiamo adottata quella de' codici Barb., Vat. Urb., Marc., Gadd. 134, 135 primo e secondo, poichè la particella anco non ci parve richiesta dal discorso. E. M.

(46) per essa leggono rettamente i cod. Gadd. 134, e 135 secondo; laddove altri codici, ed il Biscioni con loro, hanno per essi. Ma come mai potè credere quell' erudito, che l'uomo si faccia virtuoso pei vizii; se già non si vogliono prendere a maestri di Etica Margutte o Falstaff? E. M.

(47) Con tutto ciò. P.

(48) Cioè: Si distrugge. E. M.

(49) non è equabile alla natura, tutti i testi. Ma il non è un vizio soprappiù che guasta il pensiero dell' Autore, il quale si è questo: che quantunque rimanga sempre il moto primo delle naturali passioni, pure la buona consuetudine ne impedisce il processo, perchè la sua forza equivale a quella della natura. E questa sentenza è presa da Aristotile: Quod consuetum est veluti inna

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