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TRATTATO QUARTO

THOHO

Le dolci rime d'Amor, ch'io solia

Cercar ne' miei pensieri,

Convien ch'io lasci; non perch'io non speri
Ad esse ritornare,

Ma perchè gli atti disdegnosi e feri,
Che nella donna mia

Sono appariti, m' han chiuso la via
Dell'usato parlare:

E poichè tempo mi par d'aspettare,
Diporrò giù lo mio soave stile,

Ch' io ho tenuto nel trattar d'Amore,
E dirò del valore

Per lo qual veramente uomo è gentile,
Con rima aspra (1) e sottile,
Riprovando il giudicio falso e vile
Di que' che voglion che di gentilezza
Sia principio ricchezza:

E cominciando, chiamo quel signore
Ch' alla mia donna negli occhi dimora,
Per ch'ella di sè stessa s'innamora.

Tale imperò (2) che gentilezza volse,
Secondo 'l suo parere,

Che fosse antica possession d'avere (3),
Con reggimenti belli:

E altri fu di più lieve sapere,
Che tal detto rivolse,

E l'ultima particola ne tolse,
Chè non l' avea fors' elli.

Di dietro da costui (4) van tutti quelli
Che fan gentili (5) per ischiatta altrui,
Che lungamente in gran ricchezza è stata.
Ed è tanto durata

La così falsa opinion tra nui,
Che l'uom chiama colui
Uomo gentil, che può dicere i' fui
Nipote, o figlio di cotal valente,
Benché sia da nïente:

Ma vilissimo sembra, a chi 'l ver guata,
Cui è scorto il cammino e poscia l'erra,
E tocca tal, ch'è morto, e va per terra.
Chi difinisce: uomo è legno animato;
Prima dice non vero,

E dopo 'I falso parla non intero;
Ma più forse non vede.
Similemente fu chi tenne impero
In difinire errato,

Chè prima pose 'l falso, e d'altro lato
Con difetto procede;

Chè le divizie, siccome si crede,

Non posson gentilezza dar, nè tôrre;
Perocchè vili son da lor natura:
Poi chi pinge figura,

Se non può esser lei, non la può porre:
Nè la diritta torre

Fa piegar rivo che da lunge corre.
Che sieno vili appare ed imperfette,
Chè, quantunque collette,

Non posson quietar, ma dan più cura;
Onde l'animo, ch'è dritto e verace,
Per lor discorrimento non si sface.

Nè voglion che vil uom gentil divegna, Nè di vil padre scenda

Nazion, che per gentil giammai s'intenda:
Quest'è da lor confesso;

Onde la lor ragion par che s'offenda,
In tanto quanto assegna,

Che tempo a gentilezza si convegna,
Difinendo con esso.

Ancor segue di ciò che innanzi ho messo,
Che sien tutti gentili, ovver villani,
O che non fosse a uom cominciamento.
Ma ciò io non consento,

Nè eglino altresì, se son Cristiani;
Per che a intelletti sani

È manifesto i lor diri esser vani:
E io così per falsi li riprovo,
E da lor mi rimuovo;

E dicer voglio omai, siccome io sento,
Che cosa è gentilezza, e da che viene,
E dirò i segni, che gentil uom tiene.

Dico ch'ogni virtù principalmente
Vien da una radice:

Virtude intendo che fa l'uom felice
In sua operazione;

Quest'è, secondochè l' Etica dice,
Un abito eligente,

Lo qual dimora in mezzo solamente,
E tai parole pone.

Dico che nobiltate in sua ragione
Importa sempre ben del suo suggetto,
Come viltate importa sempre male:
E virtute cotale

Dà sempre altrui di sè buono intelletto;
Perchè in medesmo detto

Convengono ambedue, ch'en d'un effetto; Onde convien dall'altra venga l'una,

O da un terzo ciascuna (6):

Ma se l'una val ciò che l'altra vale,

Ed ancor più, da lei verrà piuttosto:
E ciò ch'io ho detto, qui sia per supposto.
E gentilezza dovunque virtute (7),
Ma non virtute ov'ella;

Siccome è 'l Cielo dovunque la Stella;
Ma ciò non e converso.

E noi in donne, ed in età novella
Vedem questa salute,

In quanto vergognose son tenute;
Ch'è da virtù diverso.

Dunque verrà, come dal nero il perso,
Ciascheduna virtute da costei,

Ovvero il gener lor, ch'io misi avanti.
Però nessun si vanti,

Dicendo: per ischiatta io son con lei (8),
Ch' elli son quasi Dei

Que'c'han tal grazia (9) fuor di tutti rei (10);
Chè solo Iddio all'anima la dona,
Che vede in sua persona

Perfettamente star, sicchè ad alquanti (11),
Ch'è seme di felicità, s'accosta,
Messo da Dio nell'anima ben posta.
L'anima, cui adorna esta bontate,

Non la si tiene ascosa;

Chè dal principio, ch'al corpo

La mostra infin la morte:

Ubidente, soave e vergognosa
E nella prima etate,

si

sposa,

E sua persona acconcia di beltate,
Colle sue parti accorte :

e

che l'amor dell'una si comunica nell'altra, e così l'odio e'l desiderio e ogni altra passione; per che gli amici dell'uno sono dall'altro amati, e li nemici odiati; per che in greco proverbio è detto: « Degli amici esser >>deono tutte le cose comuni. » Onde io fatto amico di questa donna, di sopra nella verace sposizione (5) nominata, cominciai ad amare e a odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai dunque ad amare li seguitatori della verità, e odiare li seguitatori dello errore e della falsità, com'ella face. Ma perocchè ciascuna cosa per sè è da amare, nulla (6) è da odiare, se non per soprav venimento di malizia, ragionevole e onesto è, non le cose, ma le malizie delle cose o| diare, e procurare da esse di partire. E a ciò se alcuna persona intende, la mia eccellentissima donna intende massimamente; a partire, dico, la malizia delle (7) cose, la qual cagione è di odio (8); perocchè in lei (9) è tutta ragione, e in lei è fontalmente l' onestade. Io, lei seguitando nell'opera, siccome nella passione, quanto potea, gli errori della gente abbominava e dispregiava, non per infamia o vituperio degli erranti, ma degli errori; li quali biasimando, credea fare dispia cere, e, dispiaciuti, partire da coloro che per essi eran da me odiati. Intra i quali errori, uno massimamente io riprendea, il quale (10), non solamente (11) dannose e pericoloso a coloro che in esso stanno, ma eziandio agli altri che lui riprendono, parto da loro (12) e danno. (13) Questo è Perrore dell'umana bontà, in quanto in noi è dalla natura seminata, e che nobillade chiamar si dee; che per mala consuetudine e per poco intelletto era tanto fortificato (14), che Fopinione di tutti quasi n'era falsificatas e della (15) falsa opinione nasceano i falsi giudicii, e de'falsi giudicii nasceano le non giusle reverenzie, e vilipensioni; per che li buoni erano ir villano dispetto tenuti, e li malvagi onorati ed esaltati. La qual cosa era pessima confusione del mondo; siccome veder può chi mira quello che di ciò può seguitare sottilmente. E (16), conciofossecosachè questa mia donna un poco lì suoi dolci sembianti trasmutasse a me (17), massimamente in quelle parti ove io mirava e cercava se la prima materia degli eleAmore, secondo la concordevole sentenziamenti era da Dio intesa (18), per la qual delli savii di lui ragionanti, e secondo quello cosa un poco da frequentare lo suo aspetto che per isperienza continuamente vedemo, mi sostenni (19), quasi nella sua assenza diè che (1) congiugne e unisce l'amante colla morando entrai a riguardar col pensiero it persona amata; onde Pittagora dice: (2) « nel-difetto umano intorno al detto errore. E per l'amistà si fa uno di più» (3). E perocchè fuggire oziosità, che massimamente di quele cose congiunte comunicano naturalmente sta donna è nemica, e per distinguere (20) intra se le loro qualità, intantochè talvolta questo errore che tanti amici le toglie, proè che l'una torna (4) del tutto nella natura posi di gridare alla gente che per mal camdell'altra, incontra che le passioni della per-mino andavano (21), acciocchè per diritto sona amata entrano nella persona amante, si calle si dirizzasse; e cominciai una Can

In giovinezza temperata e forte,
Piena d'amore e di cortese lode,

E solo in lealtà far si diletta:

E nella sua senetta,

Prudente e giusta, e larghezza se n'ode;
E in sè medesma gode

D'udire e ragionar dell'altrui prode:
Poi nella quarta parte della vita
A Dio si rimarita,

Contemplando la fine che l'aspetta
E benedice li tempi passati.
Vedete omai quanti son gl'ingannati!
Contr'agli erranti mia, tu te n'andrai;
E quando tu sarai

In parte, dove sia la donna nostra,
Non le tenere il tuo mestier coverto.
Tu le puoi dir per certo:

Io vo parlando dell'amica vostra (12).

CAPITOLO I.

zone, nel cui principio dissi: le dolci rime fè da trapassare (7) con piè secco ciò (8) che d'Amor, ch'io solia; nella quale io intendo si dice in tempo aspettare; imperocchè poriducere la gente in diretta (22) via sopra tentissima cagione è della mia mossa (9) ; la propia conoscenza della verace nobiltà; ma da vedere è come ragionevolmente quel siccome per la conoscenza del suo testo, alla tempo in tutte nostre operazioni si dee atsposizione del quale ora s'ntende, veder si tendere, e massimamente nel parlare. Il potrà. E perocchè in questa Canzone s' in- tempo, secondochè dice Aristotile nel quartende (23) a rimedio così necessario, non to della Fisica, è numero di movimento, se. era buono sotto alcuna figura parlare; ma condo prima e poi: e numero di movimencominciasi (24) per tostana via questa me to celestiale, il quale dispone le cose di dicina, acciocchè tostana sia la sanitade, la quaggiù diversamente a ricevere alcuna inquale (25) corrotta a così laida morte si formazione; chè altrimenti è disposta la tercorrea. Non sarà dunque mestiere nella spora nel principio della primavera a ricevere sizione di costei alcuna allegoria aprire, ma in sè la informazione dell' erbe e de'fiori; solamente a (26) sentenzia, secondo la let-e altrimenti lo verno; e altrimenti è dispo tera, ragionare. Per mia donua intendo sempre quella che nella precedente Canzone è ragionata, cioè quella luce virtuosissima Filosofia, i cui raggi fanno i fiori rinfronzire e fruttificare la verace degli uomini nobiltà, della quale trattare la proposta Canzone pie-po, altrimenti a un altro; per che le paronamente intende.

CAPITOLO II.

in

sta una stagione a ricevere lo seme, che un'altra. (10) E così la nostra mente, quanto ellà è fondata sopra la complessione del corpo che ha a seguitare la circolazione del cielo, altrimenti è disposta a un tem

le, che sono quasi seme (11) d'operazione si' deono molto discretamente sostenere (12) e lasciare, (13) perchè bene siano ricevute e fruttifere vengano; si perchè dalla loro Nel principio della impresa sposizione, parte non sia difetto di sterilitade. E però per meglio dare a intendere la sentenzia del il tempo è da provvedere, si per colui che la proposta Canzone, conviensi quella par- parla, come per colui che dee udire: chè tire prima (1) in due parti; chè nella prima se'l parlatore è mal disposto, più volte soparte proemialmente si parla, nella secon- no le sue parole dannose; e se l'uditore è da si seguita il Trattato, e comincia la se- mal disposto, mal sono quelle ricevute che conda parte nel cominciamento del secondo buone sono. E però Salomone dice nell'Ecverso, dove e' dice: Tale imperò che genti- clesiaste (14): « Tempo è da parlare, temlezza volse. La prima parte ancora in tre po è da tacere. » Il (15) perchè io sentendo membri si può comprendere. Nel primo si in me turbata disposizione, per la cagione dice perchè dal parlare usato mi parto: nel che detta è nel precedente Capitolo, a parsecondo dice quello che è di mia intenzione lare d' Amore, parve a me che fosse d'aa trattare: nel terzo domando aiutorio (2) aspettare tempo, il quale seco porta il fine quella cosa che più aiutare mi può, cioè d'ogni desiderio, ed appresenta (16), quasi alla verità. Il secondo membro comincia: E come donatore, a coloro a cui non incresce poichè tempo mi par d'aspettare. Il terzo d'aspettare. Onde dice santo Iacopo Apostocomincia; E cominciando, chiamo quel sito nella sua Pistola al quinto capitolo:« Ecgnore. Dico adunque che a me conviene la-» co lo agricola aspetta lo prezioso frutto sciare le dolei rime d'Amore, Le quali (3) » della terra, pazientemente sostenendo, insolcano cercare i miei pensieri: e la cagio- finochè riceva lo temporaneo e lo serone assegno perchè dico che ciò non è per» tino. » chè tutte le nostre brighe (17), se intendimento di più non rimare d'Amore, bene venimo a cercare li loro principii, proma perocchè nella donna mia nuovi sem-cedono quasi dal non conoscere l'uso del bianti sono appariti, li quali m'hanno tolta tempo. Dice poichè d'aspettare mi pare, dimateria di dire al presente d'Amore. Ov'è porrò, cioè lascerò stare lo mio stile, cioè da sapere che non si dice qui gli atti di modo sove (18), che d' Amor parlando è questa donna essere disdegnosi e fieri se stato tenuto: e dico di dicere di quello vanon secondo l'apparenza; siccome nel de- lore, per lo quale uomo (19) gentile è vecimo Capitolo del precedente Trattato si può ramente. E avvegnachè valore intender si vedere; come (4) altra volta dico, che l'ap- possa per più modi, (20) qui si prende vaparenza dalla (5) verità si discordaya; e co-lore quasi potenzia di natura, ovvero bontà me ciò può essere, che una medesima cosa sia dolce e paia amara, ovvero sia chiara e paia scura, qui (6) sufficientemente veder si può. Appresso quando, dico: Epoichè tempo mi par d'aspettare, dico, siccome detto è, questo, che trattare intendo. E qui non

da quella data, siccome di sotto si vedrà : e prometto trattare di questa materia con rima sottile e aspra. Perchè saper si conviene che rima si può doppiamente considerare, cioè largamente e (21) strettamente. Strettamente (22), s'intende pur quella con

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cordanza che nell'ultima e penultima sillaba cipali, che sono tre; chè nella prima si tratfar si vuole: quando largamente, s'intende ta della nobiltà secondo opinioni d'altri: nella per tutto quello parlare che con (23) nume- seconda si tratta di quella secondo la veri (24) e tempo regolato in rimate conso- ra (1) opinione: nella terza si volge il parnanze cade; e così in questo proemio pren- lare alla Canzone, ad alcuno adornamento di dere e intendere si vuole. E però dice aspra, ciò che detto è. La seconda parte comincia : quanto al suono del dettato che a tanta ma- Dico ch'ogni virtù principalmente. La terteria non conviene essere leno; e dice sot- za comincia: Contra gli erranti mia, tu te tile, quanto alla sentenzia delle parole che n'andrai. E appresso queste parti generali, sottilmente argomentando e disputando pro- altre divisioni fare si convengono a bene cedono. E soggiungo: Riprovando il giudi- prendere lo 'ntelletto (2), che mostrare s'incio falso e vile; ove si promette ancora di tende. Però nullo si maravigli se per molte riprovare il giudicio della gente piena d'er- divisioni si procede; conciossiacosachè granrore: falso, cioè rimosso dalla verità; e vi- de e alta opera sia per le mani al presenle, cioè da viltà d'animo affermato e forti- te e dagli autori poco cercata; e che lunficato, ed è da guardare a ciò, che in que-go convenga essere lo Trattato e sottile, nel sto proemio prima si promette di trattare quale per me ora s'entra, ad istrigare lo telo vero, e poi di riprovare il falso; e nel sto perfettamente; secondo la sentenzia, ch'esTrattato si fa l'opposito; chè prima si ri- so porta. Dico adunque che ora questa priprova il falso, e poi si tratta il vero; che ma parte si divide in due; chè nella prima si pare non convenire alla promissione. E pe- ripongono le opinioni altrui, nella seconda rò è da sapere che tuttochè all' uno e al- provano quelle; e comincia questa seconda l'altro s'intenda, al trattare lo vero s' in- parte Chi difinisce: uomo è legno animato, tende principalmente di riprovar lo falso Ancora la prima parte che rimane si ha due s' intende in tanto (25), in quanto la verità membri: il primo è la variazione dell' opiniomeglio si fa apparire. E qui prima si pro- ne dello Imperadore: il secondo è la variamette lo trattare del vero, siccome princi-zione dell' opinione della gente volgare, ch'è pale intento, il quale agli animi degli uditori porta desiderio d'udire; che (26) nel Trattato prima si riprova lo falso, acciocchè fugate (27) le male opinioni, la verità poi più liberamente sia ricevuta. E questo modo tenne il maestro della umana ragione, Aristotile, che sempre prima combatteo cogli avversarii della verità, e poi, quelli convinti (28), la verità mostrò. Ultimamente quando dico: E cominciando, chiamo quel signore, chiamo la verità che sia meco, la quale è quel signore che negli occhi, cioè nelle dimostrazioni della Filosofia dimora: e ben è signore (29), chè a lei disposata l'anima è donna (30), e altrimenti è serva fuori d'ogni libertà. E dice: Perchè ella di se stessa s'innamora, perocchè essa Filosofia, che è (siccome detto è nel precedente Trattato amoroso uso di sapienzia, sè medesima riguarda quando apparisce la bellezza degli occhi suoi a lei. E che altro è a dire, se non che l'anima filosofante non solamente contempla essa verità, ma ancora contempla il suo contemplar medesimo e la bellezza di quella (31), rivolgendosi sovra sè stessa, e di sè stessa innamorando per la bellezza del primo suo guardare? E così termina ciò che proemialmente per tre membri porta il testo del presente Trattato.

CAPITOLO III.

Veduta la sentenzia del proemio, è da seguire il Trattato: e per meglio quello mostrare, partire si conviene per le sue parti prin

d'ogni ragione ignuda; e comincia questo secondo membro: E altri fu di più lieve sapere. Dico adunque: Tale imperò, cioè tale usò l'ufficio imperiale. Dov'è da sapere che Federigo di Soave (3), ultimo Imperadore de' Romani, (ultimo dico per rispetto al tempo presente; non ostante che Ridolfo e Adolfo e Alberto poi eletti sieno appresso la sua morte e de' suoi discendenti ) domandato che fosse gentilezza, (4) rispose: «< ch'era antica ricchezza, e be'costumi. » E dico che altri fu di più lieve sapere, che pensando e rivolgendo questa difinizione in ogni parte levò via l'ultima particola, cioè i belli costumi, e tennesi alla prima, cioè all' antica ricchezza. E secondochè 'l testo par dubitare, forse per non avere i belli costumi, non volendo perdere il nome di gentilezza, difinìo quella secondochè per lui facea, cioè possessione d'antica ricchezza. E dico che questa opinione è quasi di tutti, dicendo che dietro da costui vanno tutti coloro che fanno altrui gentile per essere di progenie lungamente stata ricca; conciossiacosachè quasi tutti così latrano (5). Queste due opinioni (6) (avvegnachè l' una, come detto è, del tutto sia da non curare) due gravissime ragioni pare che abbiano in aiuto. La prima è, che, dice il Filosofo (7) che quello che pare alli più, impossibile è del tutto esser falso: la seconda è l'autorità della definizione dello Imperadore. E perchè meglio si veggia poi la virtù della verità, che ogni autorità convince, ragionare intendo quanto l'una e l'altra di queste ragioni è aiutatrice e possente (8).

!

E prima, della imperiale autorità sapere non si può se non si trovano le sue radici; di quelle per intenzione in Capitolo speziale è da trattare.

CAPITOLO IV.

eserciti, in tutte quelle cose che sono, com'è detto, a fine ordinate. Per che manifestamente veder si può, che a perfezione dell' universale religione (10) della umana spezie, conviene essere uno quasi nocchiere, che considerando le diverse condizioni del mondo, e li diversi e necessarii ufficii ordiLo fondamento radicale della imperiale mae- nando (11), abbia del tutto universale e istà, secondo il vero, è la necessità dell' u- repugnabile ufficio di comandare. E questo mana civiltà che a vero fine è ordinata, cioè ufficio è per eccellenzia Imperio chiamato a vita felice; alla quale nullo per sè è suffi- sanza nulla addizione; perocchè esso è di tutti ciente a venire senza l'aiuto (1) d'alcuno; gli altri comandamenti comandamento: e così conciossiacosachè l'uomo abbisogna di molte chi a questo ufficio è posto, è chiamato Imcose, alle quali uno solo satisfare non può. peradore; perocchè di tutti li comandamenti E però dice il Filosofo, che l' uomo natural- egli è comandatore; e quello che egli dice, mente è compagnevole animale e siccome a tutti è legge, e per tutti dee essere ubbiun uomo (2) a sua sufficienza richiede com- dito, e ogni altro comandamento da quello pagnia dimestica di famiglia; così una casa, di costui prende vigore e autorità. E così si a sua sufficienzia, richiede una vicinanza; al-manifesta la imperiale maestà e autorità estrimenti molti difetti sosterrebbe, che sareb- sere altissima nell' umana compagnia (12). bono impedimento di felicità. E perocchè una Veramente potrebbe alcuno cavillare, dicendo vicinanza sè non può in tutto satisfare, con- che tuttochè al mondo ufficio d' imperio si riviene a satisfacimento di quella essere la cit- chiegga, non ciò fa l'autorità del romano Printà. (3) Ancora la città richiede alle sue arti cipe ragionevolmente somma: la quale s'ine alle sue difensioni avere vicenda (4) e fra- tende dimostrare (13); perocchè la romana tellanza colle circonvicine (5) cittadi, e pe- potenzia, non per ragione, nè per decreto rò fu fatto il regno. Onde conciossiacosache di convento (14) universale fu acquistata, ma l'animo umano in terminata possessione di per forza, che alla ragione pare essere conterra non si quieti, ma sempre desidera glo- traria. A ciò si può lievemente rispondere, ria acquistare, siccome per esperienza vede- che la elezione di questo sommo ufficiale conmo, discordie e guerre conviene surgere tra venia primieramente procedere da quel conregno e regno; le quali sono tribulazioni delle siglio che per tutti provvede, cioè Iddio; alcittadi; e per le cittadi delle vicinanze; e per trimenti sarebbe stata la elezione per tutti le vicinanze delle case dell'uomo (6); e così non eguale (15); conciossiacosachè (16) anzi si impedisce la felicità. (7) E perché (8), a l' uffiziale predetto nullo a ben di tutti in aqueste guerre e a le loro cagioni torre via, tendea. (17) E perocchè (18) più dolce na conviene di necessità tutta la terra e quanto tura signoreggiando (19), e più forte in so all' umana generazione a possedere è dato es- stenendo, e più sottile in acquistando, nè ser Monarchia, cioè uno solo principato, e fu, nè fia, che quella della gente latina, sic * uno principe avere il quale, tutto posseden- come per isperienza si può vedere, e mas_ #do e più desiderare non possendo, li Re ten- simamente quello popolo santo (20), nel qua ga contenti nelli termini delli regni, sicchè le l'alto sangue Troiano era mischiato (21) pace intra loro sia, nella quale si posino le Iddio quello elesse a quello ufficio. Peroc-' cittadi e in questa posa le vicinanze s'a- chè, conciossiacosachè a quello ottenere non mino, in questo amore le case prendano o- sanza grandissima virtù venire si potesse, e gni loro bisogno; il quale preso, l'uomo vi- a quello usare grandissima e umaníssima beva felicemente; ch'è quello per che l'uomo nignità si richiedesse, questo era quello po¡è nato. E a queste ragioni si possono ridu-polo che a ciò più era disposto. Onde non cere le parole del Filosofo, che elli nella da forza fu principalmente preso per la roPolitica dice, che quando più cose a uno fine mana gente; ma da divina provvidenzia, ch'è sono ordinate, una di quelle conviene esse- sopra ogni ragione. E in ciò s' accorda Virre regolante, ovvero reggente, e tutte l'altre gilio nel primo dell'Eneida, quando dice rette e regolate. Siccome vedemo in una na-in persona di Dio parlando: « A costoro (cioè ve, che diversi ufficii e diversi fini di quel-» alli Romani (22)) (23) nè termine di cola a uno solo fine sono ordinati, cioè a pren-» se, nè di tempo pongo: a loro ho dato imdere loro (9) desiderato porto per salutevo-» perio sanza fine. » La forza dunque non le via: dove siccome ciascuno ufficiale ordi- fu cagione movente, siccome credea chi cana la propia operazione nel propio fine; così villava, ma fu cagione (24) strumentale, sicè uno che tutti questi fini considera, e or- come sono i colpi del martello cagione del dina quelli nell'ultimo di tutti; e questi è coltello, e l'anima del fabbro è cagione efil nocchiere, alla cui voce tutti ubbidire deo- ficiente e movente; e così non forza, ma cano. E questo vedemo nelle religioni e negligione (25) ancora divina è stata principio DANTE. Opere Minori,

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