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AVVERTENZA

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che per volgare idioma intende quello, il quale senz' altra regola, imitando la balia, s'apprende. Havvi ancora ei prosegue ) un altro parlare, il quale i Romani chiamano Grammatica; e questo hanno pure i Greci ed altri, ma non tutti, perciò che pochi all' abito di esso pervengono; conciossiacosachè, se non per ispazio di tempo ed assiduità di studio, si ponno prendere le regole e la dottrina di lui. Quindi dopo aver accennato, che solo l' uomo ha il commercio del parlare e che questo commercio all'uomo solo fu necessario; dopo aver cercato a qual uomo fu primamente dato il parlare, qual fu la sua prima parola e di qual lingua; e dopo altre ricerche, ch' appariscono essere del gusto scolastico di quel tempo, e che oggi possono a noi ben poco interessare, viene alla divisione del parlare in più lingue. E qui, incominciando dalla confusione per la torre di Babel avvenuta, e brevemente tenendo dietro alla diffusione de' vari

Due nostri antichi Scrittori, Giovanni Villani (1), e Giovanni Boccaccio (2), l'uno contemporaneo di Dante Alighieri, l'altro di poco ad esso posteriore, affermarono essere stata da lui scritta un' Opera intitolata de Vulgari Eloquio; e Dante istesso avea detto nel suo Convito (3), che se gli bastasse la vita, avrebbe un giorno dettata un' Opera di Volgare Eloquenza. Di quest' Opera due soli libri, comechè di quattro dovesse comporsi (4), sono a noi pervenuti, sia che alla morte dell'Alighieri andassero gli altri perduti, sia che l'Opera non fosse portata al suo compimento per affrettato fine dello Scrittore. Di questa seconda opinione, che a me par la più vera, sono ambedue gli scrittori summentovati. Quest' Opera vide primamente la luce in Vicenza nel 1529, non però nel suo originale latino, ma sibbene in un' italiana traduzione d' anonimo, che alcuni falsamente supposero esser Dante medesimo, e che quindi fu riscontrato essere il Trissino. L'origi-idiomi pel mondo, si ferma a quelli d' Euronale latino fu poi nel 1577 dato alla luce in Parigi da Iacopo Corbinelli, cui Pietro Del Bene, gentiluomo fiorentino, rimise l'unica copia MS. che siasi finor conosciuta, e che da lui era stata in Padova ritrovata.

pa, e più particolarmente a quelli dell' Europa meridionale, che in tre sommariamente distingue per le tre loro affermazioni. Questi tre idiomi, che son quelli dell' oc, dell' oil e del sì, derivano secondo Dante ( ed egli L'argomento d' un' Opera intorno il volga- mal non s'appose) da una radice comune, re linguaggio se era interessante al tempo dappoichè comuni a tutti e tre sono tanti e dell' Alighieri non lo è meno al presente, do- tanti vocaboli principali. Ma come questo pripo tante quistioni mosse intorno la lingua no- mitivo idioma coll' andare del tempo in tre stra e non ancor terminate. Incomincia l' Au-si variò, così queste tre variazioni ciascuna tore dall'origine dell' umana loquela, e dice

in sè stessa non poco si varia. E la ragione n'è questa: che ogni nostra loquela dopo la confusion di Babel, la quale nient'altro fu che una obblivione della loquela prima, essendo a nostro beneplacito racconcia ed al(4) V. De Vulg. Eloq, lib. II, cap. 4 e cap. 8. terata, ed essendo l'uomo instabilissimo e

(1) Croniche fiorentine libro IX, cap. 135.
(2) Vita di Dante, cap. 16.
(3) Tratt. I, cap. 5.

DANTE. Opere Minori.

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debbano usarlo. Cerca in quali materie questo illustre linguaggio debba essere adoperato, e trova che solo in tre cose, cioè nel trattare della gagliardezza dell'armi, dell' ardenza dell' amore e della regola della volontà, o, per ripeterlo con esso lui più concisamente, dell' armi, dell' amore e della rettitudine. Viene poi a dire in qual modo debba adoperarsi; e, lasciata la prosa, tratta delle tre forme di poesia allora usitate, il Sonetto, la Ballata e la Canzone, e conchiude che la Canzone è il modo più nobile che per lui si cercava. Della Canzone egli tien quindi discorso,

variabilissimo animale, la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere: e come le altre cose, costumi ed abiti secondo le convenienze di luogo e di tempo si mutano, co si questa secondo le distanze di luogo e di tempo si varia. Fatte queste premesse, viene a trattare dell' idioma del si, e distingue ed esamina quattordici de' principali dialetti allor parlati i Italia, il Siciliano e il Pugliese, il Romano e lo Spoletano, il Toscano e il Genovese, il Calabrese e l'Anconitano, il Romagnolo e il Lombardo, il Trivigiano e il Veneziano, il Friulano e l'Istriano, i quali tutti trova essere inornati od aspri o sconcie distinti brevemente i tre stili, il tragico, il o in alcun che difettosi. Quindi parla del conico e l'elegiaco, parla a lungo de' vocavolgar bolognese, e non dissente da coloro boli, de' versi, delle stanze, e delle rime, onche a quel tempo dicevano essere il migliore de compor si dee la Canzone. Qui termina il di tutti gli altri volgari: non lo trova però libro secondo, il quale poichè non compie il si eccellente, che sia degno d'essere agli trattato intorno lo stile tragico o altissimo, altri di gran lunga preferito perciocchè esso pare essere stato dall' autore lasciato impernon è quello che da lui si cerca, e chè fetto. Gli altri due libri poi, che avrebbon dodetto illustre, cardinale, aulico, e cortigiano: vuto a questo seguire, dovean trattare degli che se quello si fosse, il massimo Guinicel- altri due stili, il comico e l'elegiaco, e ci li, Guido Ghisliero, Fabrizio ed Onesto, poeti rilevasi da alcune parole dell' Autore medesie dottori illustri, e delle cose volgari intel- mo (Libro II, cap. IV, e cap. VIII. ). ligentissimi, non avrebber cantato « Madonna il fermo core » — « Lo mio lontano gire » — « Più non attendo il tuo soccorso, Amore » ec. Le quali parole (e questo si noti bene) sono, dice lo stesso Dante, in tutto diverse dalle proprie bolognesi.

Molte gravi questioni sonosi agitate intorno quest'Operetta di Dante fino da quando essa comparve la prima volta alla luce; le quali note sono così, che mi dispensano dal farne l'istoria. Non lascerò per altro dire, che male a parer mio s'è finor quistionato: perciocchè gli uni hanno voluto che le opinioni da Dante in questo libro emesse siano tuttequante vere e inconcusse, gli altri poi hanno preteso che l'opera che oggi leggiamo, non sia quella dall' Alighieri dettata, ma un'altra tutt'affatto diversa, fabbricata a bella posta dai Trissino, e quindi dal Corbinelli pubblicata col nome di Dante. Di qui pare altre questioni aspre, intricate, interminabili. A ma sembra peraltro, che mentre pressochè gratuita o sostenuta da deboli e vacillanti argomenti si è l'opinion di coloro i quali per illegittima tengono quest'operetta di Dante, av valorata da più argomenti e ben forti sia l'opinione degli altri i quali genuina la dicono. Abbiamo or ora veduto che Dante in quest'o

Or poichè tutte queste ricerche e disamine del nostro autore ad altro non tendono che a far conoscere, come nessuno fra i dialetti italiani era degno d'oftener sopra gli altri il primato in modo da essere a buon dritto chiamato quell'illustre linguaggio, in che tutti i sapienti italiani avrebbon dovuto scrivere, così conchiude che il volgare illustre, cardinale, aulico e cortigiano in Italia è quello, il quale è di tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna. Passa poi a dir le ragioni per le quali a questo volgare dà i titoli d'illustre, cardinale, aulico e cortigiano; e come si può trovare un volgare ch'è proprio di Cremona, uno ch'è proprio di Lombardia, ed un altro ch'è proprio di tutta la sinistra parte d'Italia, cosi e-peretta si studia di provare come nessun volgli dice potersi trovare quello ch'è proprio di tutta Italia. E se il primo si chiama Cremonese, il secondo Lombardo, e il terzo di mezza Italia, cosi questo, ch'è di tutta Italia, dee chiamarsi volgare italiano; e questo, egli esclama, è veramente quello che hanno usato gl'illustri Dottori, che in Italia hanno fatto poemi in lingua volgare. Qui termina il primo libro, ch'è il più importante si per la storia della nostra lingua, si per la vita e per le opinioni di Dante.

Nel libro secondo cerca l'Autore se tutti gli scrittori possano e debbano usare il volgare illustre, e conchiude che solo i sapienti

gare d'Italia fosse degno d'esser preso a modello dai sapienti Scrittori, e d'esser chiamato illustre, cardinale, aulico e cortigiano Or bene, il Villani, che avea indubbiamente reduta l'opera, dice, che in essa con forte e adorno latino e con belle ragioni Dante riprova tutti i volgari di Italia. E noti il lettore che la maggiore appunto delle ragion, le quali sono state messe in campo da chi tiene per l'illegittimità, è appunto questa di ve der nell'opera rifiutati tutti i nostri volgari. Dante, e' dicono, avrebbe certo eccettuato il toscano, quel volgare cioè, nel quale aveva egli dettato le maggiori delle opere sue, ne

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