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St. III, v. 12-15. Intendi: in guisa che il Sole è segno del fuoco, il quale però non dà a lui ne toglie la forza, ma su qualunque altro luogo, che sopra di sè, fallo sembrare di maggior virtù nel suo effetto.

St. IV, v. 2, 3. Qui la lezione è forse errata, poichè è difficile il trarne alcun senso. Dubito anche che debba leggersi alta invece di altra.

CANZONE IX.

I' sento si d'amor la gran possanza. Col nome di Dante Alighieri fu stampata questa Canzone nell' Edizion Giuntina c. 26, ed in tutte le successive, non meno che fra le Rime di vari autori, unite dal Corbinelli alla Bella Mano di Giusto Conti. A Dante è pure attribuita dal Codice Martelli, dai tre Codici Magliabechiani, dai Laurenziani 42, Plut. 40, e 136, Plut. 90, e da vari dei Riccardiani. Nei Codici e nelle Stampe non trovasi mai che sotto il nome di Dante, a cui ne certifica appartenere il merito della medesima. Apparisce essere una delle sue filosofiche, non tanto per le ragioni superiormente accennate, quanto perchè colei della quale quivi si dimostra innamorato il poeta,

stassi come donna, a cui non cale Dell' amorosa mente,

Che senza lei non può passare un'ora; e perchè Dante va in essa dicendo, che non altri che un verace e costante Amore (un volontario ed assiduo studio) potea far sì ch'ei degnamente diventasse

Cosa di quella che non s' innamora;

Piacimento per bellezza, venustà manca nel Vocabolario, ove però registrasi piacente, per bello, vago. La voce piacimento, allegata dal Vocabolario col seguente esempio di Dante da Maiano,

Convienmi dir, Madonna, e dimostrare Come m'ha preso vostro piacimento, significa evidentemente venustà, bellezza, e non già piacere, siccome interpetra il Vocabolario medesimo. Ecco un altro esempio, che finirà di comprovare la nostra asserzione:

O crudel morte, e prava,

Come m'hai tolto dolce intendimento
Di riveder lo più bel piacimento,
Che mai formasse natural potenza
In donna di valenza.

Rim. ant. Canz. Poscia ch' io ho perduta,
St. V, v. 7.

St. V, v. 3. Cosa di quella, cioè proprietà di colei.

St. VI. Canzon mia bella. Nell' edizion del Pasquali, Venezia 1741, e nella successiva di Zatta 1758, si dice che la presente Stanza VI fu cavata dalle Rime aggiunte alla Bella Mano, corretta sopra un Manoscritto, indi posta in questo luogo ch'è il suo proprio.

Nella Bella Mano (Fir. 1715, pag. 186) questo brano di Canzone è così intitolato : Stanza di più nella Canzone di Dante che incomincia l' sento si d' Amor ec., trovata in un antichissimo libro di dette Canzoni. Nonostante però l'autorità del Corbinelli, e il riscontrarsi questa Stanza del tutto conforme nella tessitura a quelle della presente Canzone, resta sempre il dubbio se questo sia il luogo suo proprio, riflettendo che la Canzone verrebbe allora ad aver due Commiati, cosa non mai praticata, ed affatto improbabile. Convien quindi necessariamente dedurne che questo Commiato Canzon mia belIvi, v. 13. Ma se di buon voler nasce mer-la o fosse scritto da Dante per sostituirsi alcede, cioè: ma se la buona volontà merita ricompensa.

cioè a dire potesse degnamente chiamarsi seguace ed amante della Filosofia, della Scienza della verità e della virtù.

St. I, v. 12. Ch' alla voglia il poder non terrà fede, cioè: che il potere non sarà fedele alla volontà.

St. II, v. 8. Per che mercè, volgendosi a me, fanno, cioè: per lo che volgendosi a me, usano compassione.

Ívi, v. 14-16. Intendi: perchè bramo così fortemente l'impiegarmi per lei ed il piacerle, che s'io credessi ottener ciò col fuggirla, saria lieve cosa, essendo io pronto a farlo, ma so che ne morrei.

St. III, v. 3. Quand' io farei quel ch' io dico per lui, cioè: quando io farei per Amore quello ch' io dico.

Ivi, v. 9, 10. per virtù del piacimento che nel bel viso d'ogni bel s'accoglie, cioè: per virtù della bellezza che risiede in quel viso, bello sopra tutti i belli.

l'altro Canzon, a' tre men`rei (il quale do-
vrebbe allora eliminarsi), ovvero che appar-
tenga alla Canzone VIII Amor che muovi,
in cui vedesi esser mancante. Ed infatti a
tale Canzone vien dato dal Cod. 85, Classe
XXI della Magliabechiana accorciato però
nella guisa seguente:

Canzon mia bella, se tu mi somigli,
Tu non sarai sdegnosa

In tanto quanto a tua bontà s'avvene:
Però ti prego, che tu t'assottigli
In trovar via e modo che stia bene.
Se cavalier t'invita, o ti ritene,
Spia se far lo puoi di nostra setta,

Chè'l buon col buon sempre camera tene.

In qualunque caso converrebbe togliere da

questa Canzone uno dei due Commiati, e darlo a quella che n'è mancante, tanto più che nell' uno non si va che press' a poco ripetendo ciò ch'è stato detto nell' altro.

Ivi, v. 9. Spia, (o Espia, come porta la stampa del Corbinelli), se far lo puoi della tua setta, cioè Cerca, ingegnati di farlo della tua setta, vale a dire seguace della filosofia, della virtù.

Ivi, v. 10. La stampa del Corbinelli porta questo verso così: Se vuoi saver qual'è la sua persona, ma l'altra lezione sembrami migliore.

Ivi, v. 13 che non ha. Nella stampa del Corbinelli che non è.

Ivi, v. 15 nè ad ingegno, nè ad arte, o piuttosto nè a cerchio nè ad arte, secondo la lezione del Corbinelli, essendochè arte ed ingegno son una cosa istessa. Intendi allora: Coi malvagi non tenere nè discorsi familiari, nè scientifici, perciocchè non fu mai da saggio intendersela con loro.

CANZONE X.

E' m' incresce di me si malamente.

vita, pel motivo di non veder più da qualche tempo quei begli occhi, i quali

..aperse Amor con le sue mani.

Di ciò sentiva Dante un martirio, che recavagli acerbo dolore, e scriveva la presente Canzone per muovere la sua donna a pietà. Come dunque potrà intendersi quello ch' ei qui dice, cioè:

Ch'altrettanto di doglia

Mi reca la pietà, quanto il martiro? Come mai la pietà, ch' egli implora, potea recargli altrettanto dolore, quanto recavagliene il martiro, del quale lagnavasi? Ciò che abbiamo di sopra accennato rende facile la risposta. La pietà che recava a Dante altrettanta doglia, quanta il martiro, era quella che dimostravangli le donne, delle quali (affinchè sospettar non si potesse di Beatrice) fingeva d'essere innamorato; e questa pietà per essergli affatto inopportuna, e per fargli palese come altre femmine erangli più benigne di colei, la quale formava la di lui fiamma esclusiva, recava ad esso non già sollievo, ma doglia.

Ivi, v. 4. Intendi: Ma poichè gli occhi della bella donna si avvidero, che a cagione del grande amor per lei, io era smarrito e quasi fuor di me, si dileguarono ec.

La bellezza e sublimità di questa erotica Canzone, dettata con nobile e purgata favel- St. II, v. 1. Non darem pace ec. Argola, e piena di passionate espressioni e di alti mento per credere, che Beatrice non sempre concetti, la palesa per lavoro di Dante Ali-si dimostrasse dura e insensibile all' amore ghieri. Questa non parla già d'un amor fi-di Dante. losofico, ma di un amor naturale, ed apparisce dettata, vivente Beatrice. Non tutti i poetici componimenti da Dante scritti, mentre viveva quella donzella, furon da lui riportati nella Vita Nuova egli stesso cel dice (ivi, pag. 9): chè anzi molti di essi, non esprimendo (siccome la presente Canzone) il nome dell' amata, servirono a lui per farne schermo alla veritade, celando l'oggetto dell'anima. l'amor suo, e facendo credere di essere invaghito di un' altra femmina.

St. III, v. 3. La sconsolata, cioè l'anima. Ivi, v. 8. Sopra colei, vale a dire con quella rimanente vitalità.

St. IV, v. 8. Con quella vita, cioè sopra

St. V, v. 1. Lo giorno che costei nel mondo venne, cioè lo giorno che Beatrice apparFu col nome di Dante stampata questa Can-ve alli miei occhi, (come dice in sul prinzone nell' Edizion Giuntina c. 27 retro ed in cipio della Vita Nuova) secondo che si trotutte le successive. Col nome di lui vedesi va nel libro della mente che vien meno, cioè pure ne' Codici Laurenziani 136, Plut. 90 a dire nella memoria labile (così nella Vi42, Plut. 40, ed in altri. Quello però che fi-ta Nuova: In quella parte del libro della nisce di provare, che la Canzone appartiene mia mente), la mia piccola persona (aveevidentemente all' Alighieri, si è, che il poeta va egli nove anni) concepì una nuova pasfa nelle due Stanze Lo giorno che costei, e sione, ec. Quando m' apparve poi, la storia del suo Ivi, v. 10. E se 'l libro della mente, cioè innamoramento di Beatrice con tutte quelle la memoria, non erra, lo spirito maggiore, circostanze e quasi con quelle stesse paro-vale a dire lo spirito vitale, tremò si forle, colle quali ei lo racconta nelle prime due pagine della Vita Nuova.

temente, che parve bene, che per lui fosse venuta in questo mondo la morte. Quest' effetto fu prodotto nel pargoletto Dante dalSt. I, v. 2, 3. Io ho già detto che questa la prima comparsa di Beatrice: il racconCanzone è uno di quei poetici componimento coincide perfettamente con quanto ne ti, i quali non portando il nome di Beatrice, servirono a celare il vero oggetto dell'amore di Dante. In essa si lagna il poeta, che la sua anima è rimasta afflitta piangente, ed in sulla mossa d'andarsene fuori di questa

dice nel suo libro della Vita Nuova: Lo spirito della vita, il quale dimora nella segretissima camera del cuore, cominciò a tremare si fortemente, che appariva nelli mcnomi polsi orribilmente.

Ivi, v. ult. a quei, cioè ad Amore.

St. VI, v. 9. Intendi: Sicchè la virtù che ha più nobiltà, cioè l' Intelletto, disse poi piangendo alle altre, cioè alle altre potenze dell' anima, vale a dire alla Memoria ed alla Volontà: qui giungerà ec.

St. VII, v. ult. a quella bella cosa che me n'ha colpa, cioè a quella bella donna, che ne tien colpa inverso di me.

CANZONE XI.

La dispietata mente, che pur mira.

evidenti sono conformi a quello degli altri suoi poetici componimenti. Chi non riconoscerà il giovine innamorato Alighieri in quei versi:

Canzone, il tuo andar vuol esser corto;

Chè tú sai ben, che picciol tempo onai Puote aver luogo quel per che tu vai? Se il merito di questa Canzone non è superiore alle altre, non potrà dirsi però tanto inferiore da doverla escludere dal Canzoniere del divino poeta. Nulla osta adunque per farla ammettere siccome legittima.

Il poeta in questa Canzone prega utilmente la sua donna ad aver pietà di lui, mandandogli un cortese saluto, il quale possa St. I, v. 2. al tempo che se n'è andato riconfortare alquanto la sua abbattuta virtù, cioè al tempo felice, quando la Portinari lo ed il quale egli dice esser l'ultima sua spe- consolava col suo grato saluto: e per questo ranza. Il saluto di Beatrice fu infatti, sicco- ei dice dispietata la mente, perchè ricordame dicemmo, uno dei maggiori desiderii a-vagli le passate contentezze, in cotal guisa amorosi di Dante. Egli cel racconta nella Vi- mareggiandogli il cuore.

ta Nuova. Alcune femmine gentili così l'in- St. II, v. 3. Poi trovasi molte volte adoterrogarono: «< A che fine ami tu questa tua prato da Dante e da altri antichi Scrittori in » donna, poichè non puoi la sua presenza so- significato di poichè. Basterà l'averlo accen» stenere? Dilloci: chè certo il fine di cota-nato una volta.

» le amore conviene che sia novissimo. Ed St. IV, v. ult. Di fuor conosce che den» egli: Madonne, lo fine del mio amore fu tro è pietate, cioè dal nostro esterno cono» già il saluto di questa donna, ed in quello sce che dentro di voi alberga la compassio» dimorava la beatitudine, che era fine di tut-ne: le quali parole convengono benissimo a >> ti i miei desiderii ma poichè le piacque Beatrice, siccome quella, davanti a cui fug» di negarlo a me, lo mio signor Amore (la gon superbia ed ira. >> sua mercede), ha posta tutta la mia bea>>titudine in quello, che non mi puote venir » meno », vale a dire, nel parlar delle lodi di Beatrice, siccom' ei soggiunge dipoi.

Dicendo il poeta, fin dal principio della Canzone, che il desio amoroso lo tira

Verso il dolce paese ch' ha lasciato,

St. V, v. 1. vostra salute, cioè vostro saluto. Salute per saluto è adoprato spesso da Dante nella Vita Nuova.

Ivi, v. 10. nella mia guerra. Intendi: nella guerra degli affetti che combattono il mio

cuore.

Ivi, v. ult. del Signor, cioè d' Amore.
St. ult., v. ult. Puote aver luogo qui sulla

CANZONE XII.

fa conoscere ch' ei la scrisse mentre si tro-terra, cioè puote aver vita.
vava lontano da Firenze, la qual cosa dove
più volte succedere ancor nella di lui giovi-
nezza. Dopo tutto questo è inutile il dire,
che la Canzone non tratta di un amor filo-
sofico, ma di un amor naturale: anzi dalla
storia degli amori di Dante congetturar po-
trebbesi, che fosse uno dei primi giovanili suoi
componimenti; imperciocchè prima delle lo-
di di Beatrice, andò l' Alighieri parlando del
saluto, per lui dolcissimo, di quell' onesta
donzella.

Amor, dacchè convien pur ch'io mi doglia.

Il Quadrio nella sua Storia e Ragione d'ogni poesia (Tomo II, P. II, Mil. 1742) dopo aver detto, che la Canzone non è un agevol componimento, siccome alcuni han pensato, ma anzi in tutto e per tutto malagevolissimo, soggiunge: «ond'è che, come ci lasciò scritto Dante, senza acume d'ingegno, abito di scienza ed assiduità d'arte, non mai alcuna comporre se ne potrà, che meriti lole. E come il medesimo Dante fu, che l'arte tutta di questa sorta di componimenti il primo maestrevolmente insegnò, il primo fu altresì che in pratica maestrevolmente la pose.

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Per l'originalità della Canzone, diremo che vedesi stampata in tutte le antiche edizioni, siccome nella Giuntina a c. 29, non meno che in tutte le moderne, e sempre costantemente col nome di Dante Alighieri. Col nome di lui vedesi pure nei Codici Lauren- · Quindi egli così conchiude: - « Per metziani num. 42, Plut. 40, num. 136, Plut. ter fine però con vantaggio a questi miei in90, in vari dei Riccardiani ed in altri. Le seguamenti, da lui per la maggior parte cacircostanze della Canzone convengono piena- vati, la sua Canzone Amor dacchè convien mente all' Alighieri, e concordano esattamen- vo' qui rapportare ad esempio. Essa è di quelte colla storia dei suoi giovenili amori; lole che egli chiamò elegiache (cioè che tratstile terso e conciso, i concetti passionati ed tano argomenti umili ); nè merita perciò

minore estimazione di qualche altra sua tra-f gica, che pur è molto stimata. E per dir breve quel ch' io ne sento, questa è forse una delle migliori Canzoni che abbia la volgar poesia. » —

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Io credo dipoi, che la presente Canzone si aggiri intorno ad argomento filosofico e che sia una di quelle che l' Alighieri dispiegar dovea nel Convito. Il tuono e l'andamento della medesima mi confermano in tale opinione; ed i seguenti versi, accennando le qualità della femmina di cui va parlando il poeta, fanno conoscere che dessa non è altri che la Filosofia, perciocchè questa femmina intellettuale non solo è bandita dalla corte d'Amore, ma non può pure venir ferita da nissuno strale di lui:

E questa sbandeggiata di tua corte,
Signor, non cura colpo di tuo strale:
Fatt'ha d'orgoglio al petto schermo tale,
Ch'ogni saetta li spunta suo corso,
Per che l'armato cuor da nulla è morso.

sentino. Iacopo Corbinelli dice che Dante in età avanzata si trovasse nelle Alpi del Casentino, che quivi s'invaghisse d'una femmina, assai poco per bellezza di corpo stimabile: il quale innamoramento se appare, come il fatto è, inverosimile, non distrugge il dato storico della dimora di Dante in quel luogo. Giuseppe Pelli narra altresì, che nel Castello di Porciano, posto a sinistra dell' Arno in Casentino, dagli abitanti vien mostrato un certo sito, nel quale per antica tradizione dicono essere stato carcerato, o piuttosto essersi rifugiato, Dante Alighieri.

Dopo aver rintracciato il luogo ove fu dettata la Canzone, vediamo se potessimo discuoprirne l'epoca. Dalla chiusa si conosce che il ghibellino poeta, allor ch' ei la compose, avea deposta la prima fierezza, perciocchè inutile avea sperimentata la violenza:

Se dentro v'entri, va' dicendo: Omai

Non vi può fare il mio Signor più guerra.

Dalla rabbia della fazione de' Guelfi ingiustaCol nome di Dante Alighieri fu stampata nel- mente privato della patria l'indomabile Alil'edizion Giuntina a c. 30 ed in tutte le al-ghieri cercava in quella ristabilirsi per meztre si antiche che moderne. Col nome istesso zo della forza dell' armi ogniqualvolta dalla si vede nei Codici della Laurenziana num. 40, ghibellina fazione, a cui si era sposato, glie Plut. 42, num. 136, Plut. 90, ed in alcune poteva esser offerta occasion favorevole. ni dei Riccardiani.

Questa Canzone ha dato occasione di controversia intorno al luogo, nel quale trovavasi Dante allorch' ei la dettò. Il primo verso del Commiato

O montanina mia Canzon. . . .

fece credere al Quadrio che fosse stata scritta in qualche monte del Veronese, ove il poeta star doveva a diporto; e quindi dedusse che il fiume accennato nei seguenti versi, Così m'hai concio, Amore, in mezzo l'Alpi, Nella valle del fiume,

Lungo il qual sempre sopra me sei forte, dovesse esser l'Adige. Il Cav. Vannetti poi vuole che sia scritta nel mezzo dell' Alpi Rezie e Trentine nella Val Lagarina (1). Io finalmente opino col Dionisi, che il luogo ove fu composta sia la falda dell' Alpe del Casentino, nel Valdarno Casentinese e lungo il fiume Arno si trovava Fiorenza, a cagion della quale era Amore sempre forte sopra il poeta, imperocchè questa aveva quivi ogni cosa diletta più caramente. Che Dante nell'esilio si trattenesse alcun tempo nel Casentino lo dicono vari scrittori della sua vita. Il Boccaccio racconta che l' esule poeta si rifuggisse fra gli altri presso il Conte Guido Salvatico, il quale sappiamo essere stato signore del Castello di Prato Vecchio nel Ca

(1) V. Dante, Ven. Zatta 1758, t. iv, part. n, pag. 141.

Più d'un tentativo egli fece dal 1302 fino al 1313: nel qual anno venuto a mancare Arrigo, si affievolirono le speranze che l'esule ghibellino avea per la guerra concepite, e si piegò a men violento consiglio. Dai più accurati di lui biografi rileviamo che presso Guido Polentano in Ravenna si ricovrò soltanto nel 1319, prima della qual' epoca, cioè fino dal 1317, si narra essersi egli trattenuto presso Cane Scaligero in Padova. Ora dunque se questi dati storici non possono farci conoscefu scritta, possono con una qualche approsre con precisione l'anno in cui la Canzone simazione indicarcelo; imperciocchè di necessità conviene determinarlo a quel periodo di tempo, che dalla morte d' Arrigo trascorse fino alla cortese accoglienza dello Scaligero, cioè negli anni 1314-1316.

St. I, v. 3, d'ogni virtute spento, cioè privo di ogni vigore, d'ogni forza.

Ivi, v. 4. Dammi savere a pianger come voglia, cioè Concedimi ch' io sappia piangere, com' io voglio, o com'è la mia voglia.

Ivi, v. 6. La lezione data dal Quadrio ha Portin invece di Porti, e sembrami migliore. Intendi: Sì che le mie parole portino agli orecchi altrui il duolo che si snoda e scioglie, e il dimostrino in quella acerbità ch' io sento dentro di me.

Ivi, v. 10, si colto, sì ferito da' tuoi strali, o Amore?

Ivi, v. 11-13. Intendi: Ma se mi dài altrettanta facondia a parlare, quanto mi dài

tormento, fa', Signore, che avanti ch'io sia morto, questa rea dei miei dannf non possa udire quel mio parlare, perchè se ascoltasse ciò etc.

ma, quasi com' altro animale, pur secoudo l'apparenza e non secondo la veritate. E questo é quello, per che il sembiante onesto secondo il vero, ne pare disdegnoso e fero. (Convito. Tratt. III, Cap. X). E qui si conviene sapere, che gli occhi della Sapienza sono le sue dimostrazioni, colle quali si vede la verità certissimamente; e'l suo riso sono le sue persuasioni, nelle quali si dimostra la luce interiore della Sapienza sotto alcuno velamento ». (Tratt. III, Cap. XV). Ivi, v. 10. incende, arde, brucia.

St. II, v. 2. Nell'immagine mia, cioè nella mia immaginativa, fantasia, o mente. Ivi, v. 3. Intendi: Io non posso fuggir lei, se non come posso fuggire il pensiero che ve la mena: il che è impossibile, perchè non posso non pensare, e ogni mio pensare è di lei. Ivi, v. 4. Intendi: L'anima, che va follemente in traccia del suo male, se la dipinge ognora, siccome ella è, bella e ria, ed a questa guisa si forma da sè medesima la sua pena. Poi riguarda la detta immagine dipinta nella sua fantasia, e quando è accesa dal gran desiderio che dagli occhi le viene, s'a-dano quelli della Coinmedia, Purg. xxx, 97. dira contro sè stessa, ch'è la cagione del suo male ec.

Come mai obbietterammi taluno, potrete voi sostenere che la femmina, di cui parla la presente Canzone, debba essere la Filo

Ivi, v. 11, 12. Intendi: Quale argomento della ragione può darmi calma, quando è in me tanta tempesta d'affetti?

Ivi, v. 13 e 14. Questi due versi ci ricor

Lo giel, che m'era intorno al cor ristretto,
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia
Per la bocca e per gli occhi uscì dal petto.
Ivi, v. 14. si ch' ella s'intende, inquan-

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St. III, v. 3. la virtù che vuole, cioè la volontà, in tal guisa accennata per modo di circonlocuzione. Così nel Purg. xxi, 105.

Ma non può tanto la virtù che vuole. Ïvi, v. 4. Mi fane, cioè mi fa, per licenza chiamata dai Grammatici Epentesi. Dante disse anche altrove.

Pure ascoltando, timida si fane.

Par. xxvII, 33. creder si puone. Canz. XVI, St. VII, v. 16.

Ivi, v. 5. Intendi: L'immagine della mia nemica, essendo rimasta vincitrice della mia volontà, vaga di sè medesima, cioè invaghita del soggetto che rappresenta, mi fa andar colà dov' ella è vera, cioè dove non in immagine, ma dove realmente si trova.

sofia (e che sia quindi una favola l'asser-tochè esce fuori per via di sospiri. zion del Corbinelli, il quale pretende che Ivi, v, ult. lor merito rende, cioè rende Dante la scrivesse per una deforme Casenti-loro, agli occhi, la condegna ricompensa nese), quando questa femmina intellettuale sforzandoli a piangere. trovasi quivi chiamata rea e fera, quando si rappresenta siccome avente occhi e siccome capace di emettere un dolce riso? Ecco la risposta che sarà breve. Tutti questi istessi epiteti, tutti questi istessi attributi si trovano dati dall' Alighieri alla femmina delle tre Canzoni del Convito. Chi è che possa negare che in quelle si tratti della Filosofia? « Per mia donna intendo sempre quella che nella precedente Canzone è ragionata, cioè quella luce virtuosissima filosofia, i cui raggi fanno i fiori rinfronzire e fruttificare la verace degli uomini nobiltà». (Convito, Tratt. IV Cap. I). Che l'amore da cui si dimostra in quelle preso il poeta sia l'amor che muove sua virtù dal cielo, cioè l'amore della virtute, e della sapienza? « Onde io fatto amico di questa donna, di sopra nella verace sposizione nominata, cioè la Filosofia, cominciai ad amare e ad odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai dunque ad amare li seguitatori della verità e odiare li seguitatori dell' errore e della falsità, com' ella face ». (Convito, Tratt. IV, Cap. 1). Fera e disdegnosa chiama poi Dante la Filosofia, perchè eragli duro e malagevole l'entrare addentro nelle sentenze di lei, nonostante che ei fosse assiduo suo settatore ed amante. E per gli occhi di essa non altro vuole intendere che le di lei dimostrazioni, come pel riso le persuasioni. « Onde quanto la cosa desiderata più s'appropinqua al desiderante, tanto il desiderio è maggiore: e l'anima più passionata, più si unisce alla parte concupiscibile, e più abbandona la ragione: sicchè allora non giudica come uomo la persona,

Ivi, v. 10. Intendi: fo come quegli che di sua volontà va in potere e forza d'altrui, colà dove egli viene ucciso.

Ivi, v. 11-15. Intendi: Quando son giunto presso colei, parmi udire chi dica: Via, via, abbi pietà: vorrai tu veder morto costui? Allora io accorgendomi che mi sovrasta la morte, mi rivolgo attorno per vedere a chi mi raccomandi, e chi mi soccorra. «E dal contesto s'intende che trova esser Amore : onde il poeta soggiunge: » A questo lagrimevole stato sono condotto d' avere a sentire Amore, tuttochè egli sia il mio crudo tiranno, chieder mercede per me, e d'avermi a raccomandare a lui per aver vita dagli occhi della mia nemica, i quali mi feriscono a gran torto, e m'uccidono.

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