Sayfadaki görseller
PDF
ePub
[ocr errors]

SULLA MONARCHIA

utilissima, causa massima all' ottimo vivere delle genti: dunque a conseguire un tanto effello è necessario al mondo una tanta causa. Se non che a far pieno e inconcusso il suo teorema, Dante vuole un monarca necessitato dal propostosi fine di dare e serbar sempre giustissime leggi; quindi monarca afferma solamente colui, che disposto sia a reggere oltimamente, e cosi argomentando fa vedere che non il popolo solo si uniforma alla volontà del legislatore, mentre il legislatore stesso, egualmente che il popolo alle leggi obbedisce. Conchiude poi che sebbene il monarca, riguardo ai mezzi, sembri il dominatore delle nazioni, in quanto però al fine,altro egli non è che il loro ministro, re pel perciocchè non il popolo pel re, ma popolo è creato: Non enim gens propter regem, sed e converso rex propter gentem (lib. 1).

in cotal guisa i suoi argomenti prosegue :
Chi ha per iscopo il fine della repubblica
tende a conseguire il vero fine della giusti-
zia.I Digesti non definirono la giustizia qua-
le si è veramente in sè stessa, ma quale ap-
pare nel suo pratico esercizio. Il giusto con-
siste nella reale e personale proporzione del-
l' uomo verso l'uomo, la quale conservata
conserva, e corrotta corrompe la società.
Ond'è che non sarà mai diritto quello, che
non tenda al comun bene de'socii; ed è per
ciò che Tullio nella sua Rettorica afferma
che le leggi si deggiono sempre interpretare
secondo l'utilità della repubblica (1). Ora il

pio, vennero in seguito da straniere nazioni; ma di-
venuti imperatori, si dichiararono romani, e fino a
Costantino stabilirono in Roma la permanente lor
sede. Era questo sistema, che da non pochi in Italia
invocavasi, sebbene i desiderii fossero rivolti a im-
peratori germanici, ed era fra questi desiderii pur
quello di riveder Roma sede e centro dell'Impero
(CARMIGNANI, loc. cit.)
del mondo, e l'Italia tornata ad essere la regina
delle nazioni.

Nel secondo libro, che s' aggira tutto in provare come l'impero appartien di diritto all'Italia ed a Roma, fassi dapprima l'autore (1) Le idee dell' Alighieri sulla nozione del dia mettere in vista la serie de'prodigii opera-ritto razionalmente considerato, sulla libertà, sulla giustizia, sulla legge come espressione della mente ti dal cielo per istabilire, promuovere e cone della volontà sociale, sono d' una maravigliosa servare la sovranità del popolo romano. Doesattezza, e d' una più maravigliosa originalità. Gli po di che egli dice, che quello il quale alla sua perfezione è da'miracoli aiutato, è da Dio Scolastici non seppero immaginare un diritto, che dalla volontà d'un superiore e da una legge preesivoluto, ed è perciò di diritto. Adunque l'imstente non derivasse. Dante lo ravvisa nella ragione e nelle leggi, perchè per queste sole leggi sono copero di Roma, che nella caduta dello scudo celeste, nel gridare delle oche della rocca nosciute ed esistono le proporzioni,detinendolo una tarpeia, nella mala final riuscita delle vitto- personale o reale proporzione da uomo a uomo, servata la quale havvi relazione sociale tra loro.Nelrie d'Annibale, appare conservato e cresciuno. La prima è, che non potendo la definizione conto per mezzo di soprannaturali prodigii, è la quale definizione cinque grandi verità si ravvisacerto essere e starsi di diritto, dappoichè venire al principio morale, per cui un'azione è buoDio così volle e dispose (1). Indi l' Alighierina o cattiva in sè stessa, senza relazione ai diritti

torità sopra tutti, debba e possa essere eguale con tutti; lo che deve renderlo scevro d'ogni cupidigia, imparziale e giusto con tutti, e verso tutti amorevole: il qual concetto fu da Cassiodoro espresso come teoria comune a tutti gli uomini investiti di potere sovrano, dicendo: disciplina imperandi est amare quod omnibus expedit. Ammirabile sentenza, se chi dee praticarla non avesse mai dall' amor di sè stesso, e dalla prestigiosa azion del potere, ottenebrati gli occhi per leggerla; o sivvero tal debolezza di mente da dimenticarla o spregiarla, avendola letta! Questo nobile e generoso amor del moparca per gli uomini era, per così dire, il cardine sul quale aggiravasi la teorica politica dell'Aligbieri; e questo supposto amore non era nè ghibellino Dè guelfo, perchè abbracciava l'umanità, nell'interesse della quale egli si era proposto di scrivere. » (CARMIGNANI, loc. cit.)

(1) L'idea di Dante era classica: ella era quella di veder restaurato l'impero romano colla costituzione, che buoni imperatori conservarono e rispettarono sempre, dicendosi i generali d' una repubblica obbligata dalla sua posizione e da' suoi precedenti a mantenersi colle armi il dominio del mondo. Egli avea davanti agli occhi la lunga pace del regno d'Augusto, e piacevasi a ripetere con Virgilio: Jam redit et virgo, redeunt saturnia regna..... Questo desiderio di veder restaurato l'impero romano non era a' tempi dell' Alighieri nuovo in Italia: sta sempre l'ombra del gran nome di Roma antica e glo. riosa, rappresentante dell'italiano primato tra le antiche nazioni. Gl'Imperatori, che aveano capitanato le vittoriose sue armi, nati in Roma nel princi

[ocr errors]
[ocr errors]

d'alcuno, bisogna concludere che l' Alighieri concepi la differenza razionale tra la morale e il diritto. La seconda è, che, nel sistema suo, il diritto non è una facoltà, la quale è forza inerente alla volontà, ma è una nozione, la quale spetta all' ufficio dell'intelletto. La terza, e segnalabile, è che il diritto, come nozione, ha un'esistenza propria, indipendente da quella d'una obbligazione che vi corri sponda; ed infatti egli d'obbligazione non parla. La quarta consiste nel dare al diritto per origine e titolo l'eguaglianza di ragione, la quale si converte in eguaglianza in faccia alla legge, in quanto che non potrebbero i diritti stare in proporzione tra loro se eguali non fossero. La quinta finalmente è, che il diritto non può concepirsi tra gli uomini che nel loro stato di società,il quale solo gli pone in relazione gli uni cogli altri.

» Dante sagacemente soggiunge, essere una vanità il cercare il fine del diritto senza conoscerlo, essendo il diritto il vero e solido fondamento' dell'ordine; e giustamente gloriasi della originalità della nozione del diritto posta da lui, ed osserva che ne' Digesti filosofica nozione del diritto non vi è, nè altra notizia ve ne ha che quella che ne fornisce il suo uso.

È osservabile che Dante, a differenza della comune de' moderni scrittori di filosofia del diritto, e delle più celebri politiche epigrafi, pone il diritto avanti la libertà, non la libertà avanti il diritto; e, come alcuni filosofi praticarono, non defini il dirit. to per la libertà. Egli la considera al diritto inerente diguisachè senza diritto parlar non si possa di libertà. Egli distingue sagacemente la libertà giuridica dal libero arbitrio, distinzione non avvertita

comprendere in un sol corpo politico la terra intiera, mentre pure l'Italia, la di lui patria, si stava sotto ai suoi occhi tutta sminuzzata, divisa ed in sè stessa discorde, è da riporsi nel numero delle utopie, ella non potrà a meno di dirsi grande e magnifica, e degna dell'alta mente di Dante.

romano popolo colle sua gesta dimostra come nel conquistare l'intero mondo, pose in non cale gli agi proprii e solo provvide alla salute dell'uman genere. L'impero della romana repubblica era il refugio ed il porto de're, de popoli e delle nazioni. I magistrati e imperatori romani in questo massime si sforzavano di conseguir lode, nel difendere Se oggi adunque che la nostra civil concioè le provincie, nel proteggere gli alleati dizione è affatto cambiata,non possiamo amcon fede ed equità, e gli esempii di Cincin-mettere in tutte le sue parti la teorica delnato, di Fabrizio, di Cammillo, di Bruto, di Muzio, de'Decii e de'Catoni sono di cotanta virtute e specchi e riprove. È dunque a conchiudersi che come il romano popolo soggiogando l' intiero mondo intese al fine della giustizia,e provvide al pubblico bene, a buon diritto arrogossi la suprema dignità dell'impero.

Io non dirò che queste opinioni del ghibellino scrittore siano del tutto vere e inconcusse, nè che la sua teoria, quantuque sembri in astratto probabile, possa nel fatto realizzarsi. Troppo smisurate cose appare manifestamente aver egli dette per istudio di parte, e per l'amor della causa imperiale: dover cioè tutto il mondo appartener di diritto all'impero de Romani, e sola l' universal monarchia esser quella, all'ombra di cui le nazioni goder possano pace e felicità; mentre, per un lato, quel preteso diritto dei Romani, come quello di tutti i popoli conquistatori, non consisteva che nella violenza e nella fortuna delle armi loro; e per l'altro, ogni qualunque forma governativa può esser atta a procurare la felicità de' governati, quando coloro che siedono al timon dello stato si sforzino, con tutti i mezzi che sono in loro potere, di conseguire quell' altissimo fine.Ma se la tesi del ghibellino scrittore del

dai parteggiatori del principio della utilità, tutto il sistema de quali riposa su questo gravissimo errore. La libertà giuridica è, nel sistema dell'Alighieri, la facoltà che compete ad ogni uomo di giudicare della rettitudine delle sue azioni: il libero arbitrio è dagli appetiti determinabile; dai quali appetiti la libertà giuridica non dee mai, per esser tale, prendere il proprio carattere. Definita per tal modo la libertà, egli la considera lo stato ottimo del genere

umano.

[ocr errors]

e

La società civile è considerata dall' Alighieri, nel suo vero filosofico punto di vista, il mezzo necessario a promuovere la civiltà umana, che egli fa consistere nel maggiore sviluppamento possibile dell' umano intelletto. La legge ne è il comento se tale non è, non merita il nome di legge: la quale propos:zione, riferendola alla definizione da lui data al diritto e alla libertà, significa che la legge è la espressione delle proporzioni o personali o reali tra gli uomini conviveuti in società civile tra loro. (CARMIGNANI, loc. cit.)

l'Alighieri e le pratiche conseguenze che da essa derivano, potremo in questo libro ammirare l'ingegno, la dottrina e la probita dell'autore, e dovremo studiarvi le sue opinioni politiche, affine d' intender meglio alcune particolarità della Divina Commedia.

Ollo hove edizioni di questa operetta hanno finora veduta la luce, la prima delle quali fu fatta nel 1559 in Basilea per Gio. Oporino: ma la lezione per colpa de'secoli e degli editori n'era così scorretta e malconcia, che più di cento strafalcioni m'è venuto fatto d' emendare nel darne al pubblico la presente ristampa; (1) come, a cagion d' esempio, correggendo dicentes ipsum recepisse in dicentes Cristum recepisse lib.III); facere tamen ascendere in facere terram ascendere (ivi);gestis humanis in gestis romanis (ivi); non enim Decius in non enim dicimus (ivi); divinæ prudentiæ in divinæ providentiæ (ivi), ec. ec.

La traduzione italiana, che per me vide la prima volta la luce nel 1839, e che è opera del celebre Marsilio Ficino,il quale volle intitolarla a due suoi amici Bernardo Del Nero ed Antonio Manetti, è tratta dal codice 1173, classe VII, della Magliabechiana. Ed abbenchè io l'abbia collazionata sopra un altro esemplare, di cui mi fu cortese il chiarissimo signor marchese Gino Capponi, essa sarebbe rimasa in più luoghi o guasta o mutila o inintelligibile per colpa più degli amanuensi che di lui che dettolla, se io con un po' di critica e col soccorso del testo latino non l'avessi raddrizzata e corretta. Nel che fare ho usato tal parsimonia e tal diligenza, che io sono per credere non sia per esservi alcuno, che vorrà farmene rimprovero, anzi sapermene qualche grado (1).

(1) Dal novero di queste edizioni scorrette va eccettuata l'accuratissima stampa fattane dal chiaris simo signor dottor Alessandro Torri in Livorno, se anni appresso la mia prima edizione.

(1) Tali correzioni furono infatti approvate,e nel la massima parte adottate nella succitata stampa de Torri, ove in apposite note sono state tutte riferite, ed ove potrà riscontrarle chi fosse vago di vederie,

IN QUAL TEMPO FU SCRITTO DA DANTE

IL TRATTATO DELLA MONARCHIA,

NOTA DEL PROFESSOR CARLO WITTE.

avversano l'impero nel senso di Dante: SumUn dotto alemanno, il signor Wegele, avendo in un suo libro, Vita ed opere di Dan-mus pontifex D. N. J. C. vicarius et Petri successor.... nec non alii.. .de zelo forsan, te, nella loro connessione colla storia dell'incivilimento, Jena 1852. emessa l'opinio- non de superbia contradicunt. Chi mai pone, che la fede ghibellina di Dante, cioè la trebbe supporre l'Alighieri avere scritto, nel tempo stesso e nella medesima occasione, sua convinzione d'un potere imperiale ordidue sentenze così contradittorie? Nel Connatore e moderatore non sottoposto alla povito (IV, 4c 5) incontriamo nuova argomen testà pontificia nelle cose politiche, debba essere anteriore all' esilio suo; giudicò il tazione intorno alla divina origine dell' imquantunque essa di sovente si discoWitte opportuno di sviluppar le ragioni, che pero; lo mossero ad assegnare al Trattato de Mo-sti da quella ch'è nella Monarchia, le sominarchia una data di gran lunga anteriore aglia però nella pacatezza teorica, e nell'essequella che generalmente gli s' attribuisce, re scevra d'allusioni alle condizioni del preanteriore cioè agli anni 1310-1313. Il Witte sente. Ora quel trattato del Convito venne scritto di certo prima della discesa d'Arrigo pertanto ragiona così: in Italia. Ci crediamo adunque giustificati negando la connessione della Monarchia con siffatto avvenimento. Resta ora a decidere a qual tempo essa appartenga: se cioè debba collocarsi prima o dopo il viaggio del Lussemburghese.

« Il non trovarsi nel Trattato De Monarchia nessuna allusione a circostanze attuali o ad avvenimenti speciali, dovrebbe muover dubbiezza contro al fondamento della supposizione, che si tratti di scritto composto a difesa di spedizione contemporanea. L'im<< Il trattato della Monarchia comincia peratore della Monarchia è personaggio meramente ideale, senza che si scuopra traccia colle seguenti parole: Il principale ufficio di tutti gli uomini, i quali dalla natura d'un particolare individuo; nè si allude a condizioni o a casi del tempo e della venuta superiore sono lirati ad amare la verità, del settimo Arrigo. Si badi alla differenza che pare che sia questo: che com' eglino sono passa tra questo libro e la notissima lettera arricchiti per la fatica degli antichi, così ai principi e popoli d'Italia, il cui scopo era s'affatichino di dare delle medesime ricprecisamente quello, che erroneamente si è chezze a quelli che dopo loro verranno. voluto attribuire alla Monarchia, di difende- Per che molto di lungi è dall'officio dell'uomo colui che, ammaestrato di pubbliche re cioè i diritti d'Arrigo VII, di far animo agli aderenti di lui, e di procacciargli nuovi dottrine, non si cura di quelle alcuno frutamici. Il raziocinio nell' uno e nell' altro to alla repubblica conferire. Costui non è scritto è quasi identico, ma diversissimi so- legno, il quale piantato presso al corso no e il modo e l'espressione e il sentimento. delle acque, nel debilo tempo frutti produNella Monarchia tutto, sino all'entusiasmo, ce; ma è più tosto pestilenziale voragine, partecipa d'un carattere teoretico: nella let- la quale sempre inghiollisce e mai nonrentera all'incontro non c'è riga, in cui il let- de. Pensando io questo spesse volle, acciò tore non senta il risuonare de' turbini or che mai non fussi ripreso del nascoso taora passati, la tristezza de'tempi non mode- lento, ho desiderio di dare a' posteri non rati da sommo reggitore, il risvegliarsi di solamente copiosa dimostrazione, ma enuove e liete speranze. Fin anche una testi-ziandio frutto, e dimostrare quelle verità monianza diretta si trova, tale da escludere | che non sono dagli altri tentate. positivamente la contemporaneità di queste due apalogie dell'impero. La lettera nomina Arrigo qual benedetto dal papa: Hic est,quem Clemens, nunc Petri successor, luce apostolicæ benediclionis illuminat; mentre la Monarchia (III, 3) cita il papa fra coloro che

«E egli da ammettersi che Dante, conscio del suo valore, e libero di falsa modestia, abbia potuto scrivere così nel 1311, o forse più tardi ancora? Poteva egli farlo, parecchi anni dopo d'aver pubblicato i quattro trattati del Convito, di quell' enciclopedia

della sapienza del suo secolo, lasciando anche da parte la Vila Nuova e le molte liriche poesie? O quelle parole non indicano esse uno scrittore, il quale si presenta la prima volta con un lavoro di qualche importanza, dovendo dir di sè stesso: il nome mio ancor molto non suona?

<< Se continuiamo a tener la Monarchia a confronto col Convito, composto verso la fine del 1308, incontreremo altri passi additanti la priorità di quella. Nella Monarchia (II, 3) si dice: Constat, quod merito virtutis nobilitantur homines, virtutis videlicet propriæ vel majorum: est enim nobilitas virtus et divitiæ antiquæ, juxta philosophum in politicis. Nel Convito (IV, 3) ripudia con asprezza tale sentenza: Questa opinione,che gentilezza era antica ricchezza e bei costumi,è quasi di tutti....,che fanno altrui gentile per esser di progenie lungamente stata ricca, conciossiacosachè quasi tutti così latrano. La contradizione è ovvia, nè si può dubitare quale delle due sentenze sia anteriore all'altra. Se nella Monarchia Dante dice constare che nobiltà si acquista per la virtù propria e quella de' maggiori, egli non si mostra consapevole dell'altra opinione, che dalla sola propria virtù Ja fa derivare. Allorchè poi nel Convito,con parole aspre, cita come opinione quasi di tutti quella, che ricchezze ereditate procac-| ciano nobiltà, sembra indicare essere stato egli medesimo di siffatto parere. Si aggiunge poi, che il luogo ben noto del Paradiso (canto XVI, v. 1-9) tiene molto più del ragionamento del Convito,che non di quello della Monarchia....

«Generalmente parlando, la Monarchia ci fa impressione di scritto meno maturo. Il modo di ragionare è inceppato, e non privo di sofismi. L'autore cerca d'imporre al lettore mediante i nomi e il numero delle autorità, da lui non sempre appositamente citate. Alcune citazioni sono così inesatte da non potersi rintracciare: per esempio, quel la d'Orosio (II, 3), mentre altre sono assolutamente false. Nel libro II, cap. 5, si attribuisce a Tito Livio un passo intorno a Cincinnato che senza dubbio è preso da Orosio (II, 12). Nel nono capitolo cita Livio quale autorità per una delle tradizioni medievali d'Alessandro Magno. L'opera di san Martino Dumiense, o Bracarense, sulle virtù cardinali, secondo l'opinione prevalsa ne'bassi tempi, è nella Monarchia (II, 5) ascritta a Seneca, mentre nel Convito (III, 8), senza dubbio in seguito a studii più maturi, la cita senza nome d'autore. La lettura de' classici ed altri autori si palesa poi nel Convilo molto più estesa che non nella Monarchia.

Rimane da citarsi un argomento, il quale, quantunque meno ovvio, ci sembra aver gran peso nel determinare la priorità della Monarchia. Si sa quanta importanza quella età abbia dato alle quistioni in questo libro

esaminate. Non vogliamo già attribuire soverchio peso al fatto, che mentre Dante lamenta la temporalis monarchiæ nolilia maxime latens,ed annunzia volere intentatas ab aliis ostendere veritates, di già sotto Arrigo VII, Enghelberto, abbas admontensis, si accinse a somigliante dimostrazione nel libro De ortu et fine romani imperii.Ma altra coincidenza rimane da osservarsi. Verso la fine del 1302 papa Bonifazio VIII pubblicò la bolla Unam Sanclam, la quale, quantunque più specialmente diretta contro le pretensioni di Filippo il Bello, sviluppa una teoria generale delle relazioni tra il potere ecclesiastico e il temporale; teoria affatto contradicente a quella, di cui l'Alighie ri si fece il campione. Ci asteniamo dall'ammettere che se la bolla avesse preceduto il trattato della Monarchia, l'autorità di papa Bonifazio avrebbe bastato a ritener Dante dalla dimostrazione delle sue idee; anzi non parrebbe strano che l'autore del trattato avesse voluto combattere le ragioni papali senza nominarne l'autore. Ma in tal caso saremmo autorizzati ad aspettarci una replica o confutazione compiuta e salda delle ragioni addotte da si eccelso avversario.Quantunque però l'una e l'altra argomentazione intorno a questione molto combattuta, in varii luoghi s'incontri, com'è ben naturale, contuttociò una siffatta confutazione manca a tal segno da farci giudicare impossibile l'aver Dante conosciuta la bolla allorchè compose la Monarchia. Le ragioni dalle sacre Scritture dedotte affine di provare la dipendenza del poter secolare dall' ecclesiastico, a cui rispondono i capitoli 4 e 9 della Monarchia, sommano a sei: altrettante se ne trovano nella bolla: ma essa e il trattato non coincidono se non in due di questi passi, tolti da Luca, XXII, 38, e da Matteo, XVI.19. Dei quattro altri, su cui il pontefice si fonda, nella Monarchia non si fa menzione;anzi, ed è cosa notabile, l'autore ne cita uno (Giovanni, XIX, 23, Monarchia, III, 10), qual argomento in suo favore, senz'altra osservazione; mentre si mette a combattere quattro sentenze, che nella bolla non si trovano difese nè punto nè poco.

«Se a queste ragioni positive aggiungia mo altra negativa, essere cioè la Monarchia, oltre la Vita Nuova, unica tra le opere dan tesche in cui non si alluda all'esilio, non possiamo non esser d'avviso, che il più volte ricordato trattato abbia avuto origine prima del 1302, anzi prima del 1300. Trovandosi nella Monarchia (II, I, ut ipse solebam la dichiarazione dell' autore intorno all' aver partecipato nella prima gioventù alle opinioni guelle della patria e casa sua; è agevole il conoscere di quale e quanta importanza,pel retto intendimento dell'indole di Dante e del la sua attitudine politica, sia il fatto d'aver egli,appena giunto a vera maturità, non solamente abbracciate le opinioni ghibellino

mperiali, che dovettero poi decidere della ua sorte, ma di averle ridotte già sin d' allora a compiuto sistema. »>

non gli era ignota; poichè nella Monarchia le allusioni ad essa non mancano, nè vi manca la confutazione del principio de' due glaA queste osservazioni del Witte credo dii, portato in campo da Bonifazio e queopportuno dover far seguire alcune mie pa- sto ch'io dico è tanto vero, che parve at Torole. Che la Monarchia non sia un librosti, che Dante con quel suo libro non ad al

tro avesse mirato che a combattere quella bolla.

Nel pubblicare la Monarchia l' Alighieri, dice il Witte, sembra uno scrittore, il quale si presenti la prima volta al pubblico con un lavoro di qualche importanza, dicendo di sè stesso: Il nome mio ancor mollo non suona. Ed infatti, generalmente parlando (il Witte prosegue), la Monarchla ci fa impressione di scritto meno del Convito maturo: il modo di ragionare è inceppato, e non privo di sofismi: l'autore cerca d' imporre al lettore mediante i nomi e il numero delle autorità.

Veramente non saranno molti coloro, che di questo libro dell' Alighieri si formeranno un concetto quale rispetto alle forme estrinseche se n'è formato il Witte, perocchè, riportandosi al secolo in cui fu scritto, ravviseranno in esso una dottrina non comune ed un acume non ordinario; e come tutti riconobbero il valore di Dante nelle scienze naturali, nelle mattematiche, nelle razionali e nelle teologiche, così da questo libro riconosceranno il valor suo nella civile filosofia. Donde vie più improbabile si renderà, che egli possa averlo dettato nella sua gioventù quando mancavagli, secondo che dice egli stesso nella Vita Nuova, quel corredo di scienza, che non s' acquista se non cogli anni, e con istudii continuati e severi. Le parole poi di Dante, acciocchè non fossi ripreso del nascoso talento, ho desiderio di dare a posteri non solamente copiosa dimostrazione, ma eziandio frullo, e dimostrare quelle verità che non sono dagli altri tentate, parmi che tutt' altro suonino che modestia e temenza propria di scrittor giovanile, e nella repubblica letteraria novello.

composto a difesa di spedizione contemporanea (la spedizione d' Arrigo ); vale a dire, non sia un libro di circostanza, ma un libro che abbia tutto il carattere d' un lavoro teoretico, bene è stato dal Witte dimostrato. Ma se per gli argomenti da lui posti in campo si prova, che il libro è anteriore al 1310, non discende la conseguenza che sia pure anteriore al 1300, cioè anteriore non solo all'esilio di Dante,ma eziandio al suo priorato. Non starò qui a dir le ragioni, per le quali | io credo non essere stato il Convito pubblicato da Dante prima del 1314: ma anco ammettendo col Witte che fosse pubblicato qualche anno innanzi, e convenendo con esso (nè qui v'ha principio di dubbio) che al Convito sia anteriore la Monarchia, non veggo la ragione per la quale non si possa a questo libro assegnare una data meno dal 1310 lontana di quello che il Witte vorrebbe. Ma dice il Witte,la Monarchia dover esser anteriore anco al 1302, perciocchè in quest'anno essendo da papa Bonifazio stata pubblicata la bolla Unam Sanctam, il libro di Dante avrebbe dovuto essere una confutazione compiuta e salda delle ragioni addotte da si eccelso avversario. Pure io osservo, che una confutazione diretta delle parole d'un pontefice non poteva convenire ad un buon cattolico com'era Dante, il quale, cominciando la battaglia contro coloro i quali,indolli da alcuno zelo inverso la Chiesa loro madre, la verità che qui si cerca non conoscono,protesta di voler usare tutta quella reverenza, la quale è tenuto usare il pio figliuolo inverso il padre, pio inverso la madre, pio inverso Cristo e la Chiesa e il pastore, e inverso tulli quelli che confessano la cristiana religione (III, 3). Dubita infatti lo stesso Witte, se l'autorità di papa Bonifazio avrebbe bastato a ritener Dante dalla dimostrazione delle sue idee. Ma come l'avrebbe ritenuto quand'egli avesse, com'ha di fatto, trattato teoricamente il subietto, rivolgendo i suoi argomenti e i suoi sillogismi contro i Decretalisti? E perchè v' era di mezzo una bolla, non poteva Dante, usando tutta la riverenza, siccom'egli protesta, confutare non direttamente il papa, ma in via di trattazione scientifica, le pretese de' che» . . . . perchè quel popolo è si empio Incontro a' miei in ciascuna sua legge? » rici? Ma Dante, s' insisterà, avrebbe dovuto in un modo o in un altro confutare tutte e egli impiegasse la sua penna in iscrivere singole le ragioni da Bonifazio addotte. Ed un'opera, che, molto più che l' avere avverio domanderò: era egli ciò necessario? era sato la venuta di Carlo di Valois, gli avrebbe egli ciò indispensabile? E d' altra parte, se procurato le ire de' suoi concittadini. No: a Dante era ignota l'opera di san Tommaso, Dante non può aver rivolto le sue speculacolla quale poteva sciogliere il nodo della zioni politico-filosofiche alla scienza sociaquestione, non poteva essergli ignota la bol-le, se non dopo aver passato una parte della la di Bonifazio? Ma il fatto si è che la bolla sua vita in mezzo ai torbidi della sua patria

DANTE. Opere Minori.

|

[ocr errors]

Comunque sia, a me par molto improbabile, che innanzi il 1300, quando Dante conforme dice egli stesso, era guelfo, quando per accomunarsi col popolo si faceva ascrivere all'arte degli speziali, quando ambiva e si procacciava gli officii civili della sua patria, guelfa siffatta, che Farinata esclamava (Inf. canto X, v. 83):

78

« ÖncekiDevam »