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ed alle contese delle fazioni. « Nella storia
« delle scienze sociali (dice il Carmignani
<< nella sua bella dissertazione sulla Monar-
« chia) è incontrovertibile il fatto,che le teo-
<<rie politiche nacquero sempre in circo-
>> stanze, le quali spinsero l' ingegno uma-
«no ad indagare per qual modo i diritti o
« dell'individuo o della società possano
<< mettersi in salvo da una forza che minacci
« d'annichilarli e distruggerli ». Ammetten-
do anco che Dante nella sua gioventù, quan-
do pure andava a Campaldino a combattere
i ghibellini, ravvolgesse nella mente i prin-
cipii della fazione imperiale, e verso quelli«
si sentisse inclinato; non parmi possibile
ch'ei potesse allora professarli apertamente,
e tanto meno scrivere un libro, in cui fino
all'entusiasmo, come dice lo stesso Witte,
riducendo que' principii a sistema di social
convivenza, rovesciasse i fondamenti delle
forme politiche della sua patria. « E credi-
<< bile e verosimile (dice il Carmignani) che

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« Dante, dichiaratosi contrario all'intervent
« di straniero potere nelle cose pubbliche
<< del suo paese, già senza questo interver
<< to felice e tranquillo, attribuisse le com
<< mozioni che lo agitarono al parteggiare
<< de' suoi concittadini per i due grandi po
<< teri rivali, che sotto specie di protezion
« aspiravano a farsene arbitri e dominate
«ri. Era questa dualità che l'Alighieri vole-
<< va escludere;e reputando inevitabile e
«cessaria la forza d' uno de' due poteria
<< comprimere le rivalità tra paese e paese.
« allora vivissime e micidiali, egli in quesa
veduta dichiaravasi per la monarchia un-
« versale ».

Deferente inverso le opinioni altrui, e prosto a ricredermi delle proprie, ove mi sent mostri l'erroneità, io credo frattanto che la Monarchia sia stata scritta da Dante ante riormente al Volgar Eloquio, al Convite e alla prima cantica della Commedia, ma noi già innanzi il suo esilio.

PROEMIO DI MARSILIO FICINO

Fiorentino

SOPRA LA MONARCHIA DI DANTE,

TRADOTTA DA LUI DI LATINO IN LINGUA TOSCANA.

A BERNARDO DEL NERO ED ANTONIO DI TUCCIO MANETTI,
Cittadini fiorentini."

Dante Alighieri per patria celeste, per abi-, segui Dante dipoi, col vaso di Virgilio beentazione fiorentino, di stirpe angelico, in pro- do alle platoniche fonti. E però del regnodzi fessione filosofo-poetico, benchè non parlas- beati, de' miseri e de'peregrini, di questa se in lingua greca con quello sacro padre vita passati, nella sua Commedia elegante de' filosofi, interpetre delia verità, Platone, mente trattò. E del regno de' peregrini vi nientedimeno in spirito parlò in modo con venti nel libro da lui chiamato Monarchis lui, che di molte sentenzie platoniche ador- ove prima disputa dovere essere uno giusto nò i libri suoi ; e per tale ornamento massi- imperadore di tutti gli uomini; di poi aggiume illustrò tanto la città fiorentina, che così ge questo appartenersi al popolo romano ; bene Firenze di Dante,come Dante di Firenze ultimo pruova che detto imperio dal somme si può dire. Tre regni troviamo scritti dal Iddio, senza mezzo del papa, dipende. Quenostro rettissimo duce Platone: uno de'bea-sto libro composto da Dante in lingua latiti, l'altro de' miseri, e il terzo de'peregrini. na, acciò che sia a' più de' leggenti come Beati chiama quelli, che sono nella città di ne, Marsilio vostro, dilettissimi miei, da si vita restituiti; miseri, quelli che per sempre esortato, di lingua latina in toscana trade!ne sono privati; peregrini, quelli che fuori to a voi dirige; poichè l'antica nostra amicidi detta città sono, ma non giudicati in sem-zia e disputazione di simili cose intra noifrepiterno esilio. In questo terzo ordine pone tutti i viventi, e de' morti quella parte, che a temporale purgazione è deputata. Questo ordine platonico prima segui Virgilio;questo

quentata richiede, che prima a voi questa traduzione comunichi,e voi agli altri di poi, se vi pare, ne facciale parte.

LA MONARCHIA

LIBRO PRIMO

Della necessità della monarchia.

§ I. Il principale officio di tutti gli uomini, i quali dalla natura superiore sono tirati ad imare la verità, pare che sia questo: che come eglino sono arricchiti per la fatica degli antichi,così s'affatichino di dare delle medesine ricchezze a quelli, che dopo loro verranno. Per che molto di lungi è dall'officio del l'uomo colui,che, ammaestrato di pubbliche lottrine, non si cura di quelle alcuno frutto alla repubblica conferire. Costui non è legno, I quale piantato presso al corso dell' acqua, el debito tempo frutti produce;ma è più tosto pestilenziale voragine, la quale sempre nghiottisce, e mai non rende. Pensando io questo spesse volte, acciò che mai non fussi ipreso del nascoso talento, ho desiderio li dare a'posteri non solamente copiosa dinostrazione, ma eziandio frutto,e dimostrae quelle verità che non sono dagli altri tenate. Imperocchè nessuno frutto produrrebDe colui, che di nuovo dimostrasse una proposizione da Euclide dimostrata; e colui che si sforzasse di dichiarare la felicità da Aristotele già dichiarata; e colui che volesse diendere la vecchiaia già difesa da Cicerone, I sermone di costui, superfluo, più tosto parorirebbe fastidio che frutto alcuno. E come ra l'altre veritàlocculte e utili,la notizia dela temporale monarchia è utilissima e molto ascosa e non mai da alcuno tentata, non vi i vedendo dentro guadagno; però il propoito mio è di trarre questa dalle tenebre alla ce, acciò che io m' affatichi per dare al nondo utilità, e primo la palma in questo esercizio a mia gloria conséguiti. Certamene grande opera e difficile e sopra le forze nie incomincio, confidandomi non tanto ella propria virtù, quanto nel lume di quel o donatore, che dà a ognuno abondantemene, e non rimprovera.

SII. Prima è da vedere brievemente che osa sia la temporale monarchia, affinchè io ica nella forma e secondo l'intenzione. La onarchia temporale, la quale si chiama mperio,è uno principato unico e sopra tutgli altri nel tempo, ovvero in quelle cose he sono nel tempo misurate. Nella quale tre ubbii si muovono: primo, si dubita e si donanda,s'ella è al bene essere del mondo neessaria; secondo, se il romano popolo ra

giopevolmente s' attribui l'officio della monarchia; terzo, se l'autorità del monarca dipende senza mezzo da Dio, o da alcuno ministro suo, ovvero vicario. Ma perchè ogni verità, che non è un principio, si manifesta per la verità d'alcuno principio; è necessario in ciascheduna inquisizione avere notizia del principio, al quale analiticamente si ricorra per certificarsi in tutte le proposizioni che dopo quella si pigliano. E però essendo il presente trattato una certa inquisizione, in prima è da cercare del principio, nella verità del quale le cose inferiori consistano.

SIII. E da sapere che alcune cose sono, che non sono sottoposte alla potestà nostra, le quali possiamo solamente ricercare e conoscere, ma non operarle; come sono le cose di Aritmetica e Geometria e simili, e naturali, e logiche, e divine. Altre cose sono alla nostra potestà suggetle, le quali non solo conoscere, ma eziandio operare possiamo: e in queste non si piglia la operazione per la cognizione, ma la cognizione più tosto per la operazione; imperocchè in esse il fine è operare. Adunque essendo la presente materia civile, anzi fonte e principio d'ogni retta civilità; e le cose civili essendo alla potestà nostra suggette, è manifesto che la presente maleria non è principalmente alla cognizione, ma alla operazione ordinata. Ancora, perchè nelle operazioni il principio e la cagione di tutto è l'ultimo fine, il quale muove colui che fa; è ragionevole che tutta la ragione di quelle cose che sono a fine ordinate, da esso fine si pigli. Perciocchè sarà altro il modo di tagliare il legname a fine di edificare la casa, ed altro a fine di fare la nave. E però quello, che è ultimo fine di civilità della generazione umana, sarà questo principio, pel quale tutte le cose, che di sotto si pruovano,sufficientemente si manifesteranno. E non è ragionevole, che s'egli è certo fine di questa e di quella civilità, non sia ancora di tutte le civilità uno fine comune.

SIV. Abbiamo ora a dichiarare quale sia della civilità il fine ultimo; e veduto questo, secondo il Filosofo nella Etica,sarà più che'l mezzo della opera adempiuto. Alla dichiarazione di questo che si cerca, si debbe considerare, che come è alcuno fine al quale la

potenzia dall' atto separata, la qual cosa è impossibile. In questa sentenzia fu Averroë nel Comento dell'anima. Certamente la potenzia intellettiva, della quale io parlo, non solo si dirizza alle forme universali e alle spe

ta estensione, cioè distendimento. Onde si suole dire che lo intelletto speculativo per estensione diventa intelletto pratico: il fine del quale è trattare e fare. Trattare, dico, prudentemente le cose civili, e fare con arte le cose meccaniche; le quali cose tutte servono allo uomo contemplante come a ottimo stato, al quale la prima bontà in essere produsse la generazione umana. Per questo già è manifesto quello che nella Politica d' Aristotele si dice: che quegli uomini, che sopra gli altri hanno vigore di intelletto, sono degli altri per natura signori.

natura produce uno dito della mano, ed altro fine al quale produce tutta la mano, ed altro al quale il braccio, ed altro fine al quale tutto lo uomo; così è altro fine al quale ella produce uno uomo, e altro al quale ella ordina la famiglia, altro al quale la vicinan-zie, ma eziandio alle particolari per una cerza, altro al quale la città, e altro al quale il regno; e finalmente uno ultimo fine, al quale Iddio eterno con l'arte sua, che è la natura, produce in essere la generazione umana. E questo qui si cerca come principio, che dirizzi tutta questa nostra inquisizione. In prima si vuole intendere, che Iddio e la natura nulla fanno di ozioso; ma ciò che producono in essere è a qualche operazione ordinato. Perchè non è quella essenzia creata l'ultimo fine della intenzione del creante; in quanto egli è creatore, ma la propria operazione della essenzia. Di qui nasce che la operazione propria non è a fine della essenzia, ma la essenzia è a fine della propria operazione. E adunque alcuna propria operazione della umana università, alla quale tutta questa università è in tanta moltitudine ordinata: alla quale operazione nè uno uomo, nè una casa, nè una vicinanza, nè una città, nè uno regno particolare può pervenire. Qual sia questa operazione sarà manifesto, se la ultima potenzia di tutta la umanità apparirà. Dico adunque, che nessuna forza participata da più, diversi in ispezie, è di potenzia d'alcuno di quelli. Imperocchè quello, ch'è un tale ultimo, essendo il costitutivo della specie, ne seguirebbe che una essenza sarebbe con più spezie specificata; e questo è impossibile. Non è adunque l'ultima forza nello uomo l'essere semplicemente preso, perchè così sunto è ancora agli elementi comune: nè anche l' essere complessionato, perchè questo ancora nelle cose naturali si truova nè l' essere animato, perchè cosi è ancora nelle piante: nè l'essere apprensivo, perchè questo è ancora ne'bruti: ma essere apprensivo per lo intelletto possibile; il quale essere non si conviene ad alcuna cosa o superiore o inferiore se non che allo uomo. E benchè sieno altre essenzie che participano intelletto, nientedimeno lo intelletto loro non si dice intelletto possibile come quello dello uomo. Perchè tali essenzie sono certe spezie intellettuali e non altro; e l'essere lo ro non è altro che intendere: lo che è quel ch'elle sono sanza intermissione, altrimenti non sarebbero eterne. Per questo è manifesto, che l'ultimo della potenza umana è potenza o virtù intellettiva. E perchè questa potenzia per uno uomo, o per alcuna particolare congregazione di uomini,tutta non può essere in atto ridotta, è necessario che sia moltitudine nella umana generazione, per la quale tutta la potenzia sua in uno atto si ri-rità manifestissima. duca. Cosi ancora è necessario che sia nelle § VII. Riassumendo quello che da princicose che s' ingenerano moltitudine, acciò pio dicemmo, tre cose massimamente si dache tutta la potenzia della materia prima sot-bitano circa la monarchia temporale, la quale to l'atto sempre sia; altrimenti sarebbe una per comune vocabolo si chiama imperio:e di

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§ V. Assai è dichiarato che la propria ope razione della umana generazione tutta insie me sunta, è riducere in atto sempre tutta la potenzia dello intelletto possibile, in prima a contemplare, e quindi per questo ad ope rare per la estensione sua. E perchè come è nella parte,così è nel tutto; e nell'uomo particulare addiviene che sedendosi e riposandosi, prudentemente s'adopra, è manifesto che la generazione umana nella sua quiete e in tranquillità di pace alla sua propria operazione liberamente e facilmente perviene,la quale è quasi operazione divina, secondo il detto di David: Poco minore facesti lo uomo che gli angeli. Sicchè è manifesto, che la universale pace tra tutte le cose è la più ottima a conseguitare la umana beatitudine.Di qui avvenne che sopra a' pastori venne dal cielo uno suono che non disse: Ricchezze, piaceri, onori, lunga vita, sanità, gagliardia, bellezza; ma disse, Pace; perchè la celestiale compagnia cantò: Sia gloria in cielo a Dio, in terra agli uomini di buona colontà sia pace. E questa era ancora la pro pria salutazione del Salvatore: A voi sia pace; perchè era conveniente al sommo Salvatore esprimere una salutazione somma. Il quale costume servarono dipoi i suoi discepoli, e Paolo nelle salutazioni sue, come a ciascheduno può essere manifesto.

§ VI. Per queste cose che sono dichiarate è manifesto per che mezzo ottimamente la generazione umana alla sua propria operazione perviene. E conseguentemente s'e veduto quale è il mezzo prossimo e comodissimo, pel quale si viene a quello,a che come fine tutte le nostre operazioni sono ordinate. Questa è la pace universale, la quale per principio delle seguenti ragioni ferma si voole tenere, quasi uno segno prefisso, al quale ciò che si pruova si riduca, come a una ve

festo abbastanza;adunque nella stessa totalità deve altresi ritrovarsi. E così tutte le parti prenotate, ed essi reggimenti, ed essi regni altresì, si debbono a uno principe, ovvero principato, riducere; e questo è monarca o monarchia.

queste cose col principio assegnato e ordine dine che è nella parte, all' ordine che è nel dato vogliamo trattare. La prima questione è tutto, come a fine e ottimo, si riduce.Di qui questa:Se al bene essere del mondo la tempo- chiaro che la bontà dell'ordine particulare rale monarchia sia necessaria. Questo, non non eccede la bontà dell'ordine universale, ostante alcuna forza di ragione o d'autorità, ma più tosto al contrario. Due ordini si truocon potentissimi e validissimi argomenti si vano nelle cose: l'ordine delle parti intra sè può mostrare:il principio de'quali si può as- medesime, e l'ordine delle parti ad uno che sumere nella Politica d'Aristotile ove dice: non è parte; così come l'ordine delle parti che quando più cose a uno sono ordinate, dello esercito intra sè medesime, e l'ordine conviene che una di loro regoli e regga; e loro al capitano. Certamente l' ordine delle l'altre cose sieno regolate e rette. A questa parti ad uno è meglio, come fine dell' altro sentenzia dà fede non solamente l'autorità ordine, perchè l'altro è a fine di quello, e dello autore, ma eziandio la ragione per cia- non quello a fine di questo: onde se la forma schedune cose discorrente. Imperciocchè se di questo ordine si ritruova nelle parti della considereremo l'uomo individuo, vedremo umana moltitudine, molto maggiormente si in lui avvenir questo: che come tutte le for- debbe in essa moltitudine ritrovare per la ze sue sono alla felicità ordinate, la stessa forza della ragione predetta; essendochè è il forza intellettuale di tutte l'altre è regolatri- | migliore ordine, ossia la miglior forma delce e regina, altrimenti non potrebbe alla fe- l'ordine. Ma ritrovasi in tutte le parti dell'ulicità pervenire. Ancora nella casa il fine è mana moltitudine, come per quello che abpreparare la famiglia al ben vivere: uno bi-biamo detto nel precedente capitolo è manisogna che sia che regoli e regga,il quale padre di famiglia si chiama; ovvero bisogna che in luogo suo sia un altro, secondo la sentenzia di Aristotele: Ogni casa è dal più antico governata; l'officio del quale, secondo Omero, è dare regola agli altri e legge. Di qui è uno proverbio che quasi bestemmian- § IX. Inoltre l'università umana è un alcun do dice: Abbi pari in casa. Se noi conside-tutto inverso alcune parti, ed è alcuna parte riamo uno borgo di case, il fine del quale è inverso ad alcun tutto; perchè ella è un tutto uno comodo soccorso di cose e di persone, a rispetto de'regni particulari e varie nazioconviene che uno vi sia regolatore degli al- | ni, come il già detto dimostra; ed è alcuna tri, o preposto ivi da altri, o con loro con- parte a rispetto di tutto l'universo, come di sentimento come più preeminente eletto. Al- per sè è manifesto. Adunque come le cose trimenti non solo a quella mutua sufficien- inferiori della università umana le rispondozia non si perviene, ma alcuna volta con- no bene, cosi essa risponde bene al suo tultendendo molti di soprastare, la vicinan- to. Le parti sue le rispondono bene per uno za tutta si perverte. Similmente in una cit- solo principio,come dalle cose sopra discortà, della quale è fine bene e sufficiente- se si può facilmente raccogliere adunque mente vivere, bisogna che sia uno il reggi- ella all' universo ed al principe suo, che è mento; e questo bisogna non solo nel gover- Iddio, bene risponde per uno solo principio, no diritto, ma eziandio nel perverso. E se e questo è il Monarca. Dal che segue, che la questo non si fa, non solamente non si con- Monarchia è necessaria al bene essere del seguita il fine della vita, ma cziandio la città mondo. non è più quello ch'ella era. Eziandio nel re- S X. Oltre a questo, ogni cosa sta bene,la gno particulare, il fine del quale è tutto uno quale è secondo la intenzione del primo alcon quello della città, con maggiore fidanzatore, che è Iddio. E questo è manifesto apdi sua tranquillità conviene che sia uno re presso di ciascuno, che concede la divina che regga e governi; altrimenti i sudditi non bontà essere sommamente perfetta. La inacquisterebbono il debito fine,e il regno pe- tenzione del primo attore è, che ogni cosa rirebbe, secondo che la ineffabile Verità di- rappresenti tanto la divina similitudine, quancc: Ogni regno in sè medesimo diviso sarà to la propria natura può ricevere.E per quedesolato. Se così adunque addiviene in tutte sto è detto: Facciamo l'uomo ad imagine le cose che a uno si dirizzano,vero è ciò che e similitudine nostra. E benchè non si posdi sopra toccammo. E perchè egli è manife- sa dire le cose sotto all' uomo essere fatte sto, che tutta la generazione umana è ordi- ad imagine di Dio; niente di meno si può nata a uno, com'è sopra mostrato, bisogna dire tutte le creature essere fatte a divina siche sia uno che regoli e regga; e costui similitudine, perchè l'universo non è altro che debbe chiamare monarca o imperadore. Così è chiaro che al bene essere del mondo è necessario che la monarchia o lo imperio sia. § VIII. Quella condizione che ha la parte al tutto, quella ha l'ordine particolare al- | l'ordine universale. La parte si dirizza al tutto, come al fine ed all'ottimo. Adunque l'or

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una ombra di Dio. Adunque la umana generazione allora sta bene quando, secondo che è possibile, a Dio s'assomiglia. Ma la umana generazione massime a lui s'assomiglia quando massime è una, perchè la vera natura del la unità in lui solo consiste. Per questo è scritto: Odi, Isdrael, il Signore Dio luo è

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uno.Ed allora la generazione umana è mas- la Vergine,ora tornano i regni di Saturno. sime una quando tutta in uno si unisce, lo | Chiamavasi la Vergine la Giustizia, la quale che non può essere,se non quando è sugget- chiamavano ancora Astrea, cioè stellante. I ta a uno principe, come per sè è chiaro.Per | regni di Saturno chiamavansi i regni ottimi, la qual cosa allora s' assomiglia massime a i quali chiamavano ancora i regni d'oro. E Dio, quando ad un principe è soggetta e la giustizia è potentissima solo sotto uno così è secondo la intenzione sua, ed ottime monarca. Adunque alla ottima disposizione si conduce; come nel principio di questo ca- del mondo necessaria è la monarchia. È da pitolo è dimostrato. notare che la giustizia in sè,e in propria naSXI. Ancora ottime sta ogni figliuolo, tura considerata, è una certa reltitudine e quando secondo la forza della propria na- regola che da ogni parte scaccia il torto; e tura, seguita le vestigia del padre perfetto. così non riceve in sè più e meno, siccome la La generazione umana è figliuola del cielo, bianchezza nella sua astrazione considerata, il quale in tutte l'opere sue è perfettissimo, perchè queste forme avvengono al composto, perchè l'uomo è generato dall'uomo e dal so- e di sè sono una essenzia semplice e invale, come dice nel secondo della Fisica Ari-riabile, come dice il maestro de' sei princistotele. Sicchè allora ottime vive la genera- pii. Niente di meno ricevono più e meno dalzione umana, quando secondo che permette la parte de' suggetti, secondo che più e mela propria natura seguita le vestigia del cie- no de'contrarii in que'suggetti è mescolato. lo. E come il cielo tutto è regolato in tutte Adunque dove minima cosa di contrarietà si le sue parti,moti e motori,da uno movimen- mescola con la giustizia, quanto allo abito to unico del primo cielo e dall' unico moto- e quanto alla operazione, la giustizia è pore, ch'è Iddio (come filosofando l'umana ra- tentissima: e puossi allora dire di lei come gione evidentissimamente apprende); così disse Aristotele: Nè Espero nè Lucifero è si la generazione umana allora ottime si con- ammirabile. Imperciocchè ella è allora siduce, quando da uno principe, siccome da mile alla luna, che risguarda il fratello suo uno motore, e da uno ordine di legge, sic-per diametro dalla purpurea e mattutina secome da uno moto, ne'suoi motori e moti è renità. In quanto allo abito, la giustizia alregolata. Per questo al bene essere del mon- cuna volta ha contrarietà nel volere; imperò do è necessaria la monarchia. E così intese ove la volontà da ogni cupidità non è sinceBoczio quando disse: O quanto saresti feli- ra, benchè la giustizia vi sia, niente di mece, generazione umana, se quello amore no la giustizia non è nello splendore delche regge il cielo li tuoi animi reggesse. la purità sua; imperocchè ella ha il sugXII. Dovunque può esser litigio, ivi deb-getto, il quale a lei si contrappone. E però be essere giudicio; altrimenti sarebbe la cosa imperfetta sanza quella, onde possa avere perfezione; e questo è impossibile, conciossiachè Iddio e la Natura nelle cose necessarie non mancano. Ma tra due principi, dei quali nessuno è all'altro soggetto, può essere contenzione, o per colpa loro o per colpa de' sudditi; e per questo tra costoro debbe essere giudizio.E perchè l'altro non può giudicare dell'altro, essendo pari, bisogna che sia uno terzo di più ampla giurisdizione, che sopra amenduni questi signoreggi. Quello o sarà uno principe, o saranno più: se sarà uno, noi abbiamo il proposito nostro; se saranno più, possono insieme contendere, e però hanno bisogno d'uno terzo sopra loro giudicatore; e cosi o noi procederemo in infinito, la quale cosa essere non può, o noi perverremo a uno principe, il quale o sanza mezzo o co'mezzi, le liti tutte decida: e questo sarà il monarca, ossia l'imperatore. La monarchia adunque è necessaria al mondo. Questa ragione significava Aristotele quando e'diceva: Le cose non vogliono essere male disposte; la moltitudine de' principi è male: adunque il principe debbe esse

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meritamente sono scacciati quelli che riducono il giudice a perturbazione d'animo. Ma quanto alla operazione, la giustizia ha contrarietà nel potere; imperocchè essendo la giustizia virtù a rispetto d'altri, chi sarà che adoperi secondo questa, se non ha potenzia di tribuire a ciascuno quello che gli si conviene? Di qui procede che quanto il giusto è più potente, tanto la giustizia nella operazione sua è più ampla; e di qui in questo modo s'arguisce: la giustizia è potentissima nel mondo,quando ella è in uno suggetto volentissimo e potentissimo; e tale è solo il monarca: adunque solo quando ella è nel mondo è potentissima. Questo argumento corre per la seconda figura con la negazione intrinseca; ed è simile a questo: Ogni B è A, solo il Cè A; adunque solo il Cè B. E questo è quasi così: Ogni B è A, nessuno altro che il C è A; adunque nessun altro che il C è B. La prima proposizione apparisce per la dichiarazione sua; l'altra così si dimostra, e primo quanto al volere, dipoi quanto al potere. E sappiasi che alla giustizia massine si contrappone la cupidità, come dice Aristotele nel quinto a Nicomaco. Rimossa in tutto la cupidità, non resta alla giustizia alcun contrario; onde è sentenzia d'Aristotele, che quello che si può determinare per legge non si lasci allo arbitrio del giudice. E questo si fa per sospetto della cupidità, che fa

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