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le forze da Dio confortate sieno inferiori alle fortune dei combattenti. Già è assai dichiarato, che quello che si acquista per duello, s'acquista per ragione. Il popolo romano acquistò l'imperio per duello, e questo si pruova con testimoni degni di fede; nella manifestazione de' quali non solamente apparirà questo, ma eziandio ciò che i Romani dal loro principio combatterono, essersi per duello combattuto. Imperocchè nel principio, quando si combatteva della sedia di Enea, primo padre di questo popolo, Turno re de Rutoli vi si contrappose: e finalmente per comune consenso d'amendue i re, per conoscere quale fosse il piacimento di Dio, tra loro due fu il combattimento, come canta Vir

in principio tra uomo e uomo, si chiama | Golia. E se i Gentili richiedessino altro, conduello. Ma sempre si vuole riguardare che, | futino quella per la vittoria di Ercole contro conforme alle cose belliche, prima si debba-Anteo. Egli è molto pazza cosa estimare, che no tutte le cose tentare per discettazione, ed, ultimamente combattere, come Tullio e Vegezio comandano; Vegezio nell'Arte militare, e Tullio negli Officii. E come ancora nella cura medicinale, prima si vuole provare ogni altro rimedio che il ferro e il fuoco, così per avere il giudizio della lite, investigate tutte le vie, ultimamente a questo rimedio ricorriamo, costretti da una certa necessità di giustizia. Due ragioni formali del duello appariscono; l'una è ora detta. l'altra di sopra si toccò. E questo è che nè per amore, nè per odio, ma per solo zelo della giustizia, con comune consenso i due combattenti vengano in campo. E però Tullio parlando di questa materia bene disse: Le battaglie, che pretendono alla corona del-gilio nell'ultimo. Nella quale battaglia fu tanlo imperio, debbono essere meno acerbe. ta la clemenza di Enca vincitore, che se non Adunque se le ragioni formali del duello avesse veduto appresso a Turno il collare, il s'hanno a conservare, perchè altrimenti non quale rubò a Pallante quando l'uccise, gli asarebbe duello, quelli che sono per necessitàvrebbe perdonato la vita, come dice Virgilio. di giustizia e comune consenso raunati pel zelo della giustizia, certamente sono nel nome di Dio congregati. E se così è, Iddio sta nel mezzo di loro, conciossiachè nello Evangelio questo ci promette. E se Iddio è presente, non è lecito pensare che la giustizia possa perdere, la quale egli sopra tutto ama. E se la giustizia nel duello non può perdere, quello che s'acquista per duello si acquista per ragione. Questa verità ancora i Gentili innanzi all' evangelica tromba conobbono, quando e'cercavano il giudizio dalla fortuna del duello; onde Pirro,uomo generoso si pel sangue d'Achille, si eziandio pe' costumi, rispose a' legati romani, mandati a lui per ricomperare i prigioni: Io non appetisco oro, nè mi darele prezzo alcuno; io non fo mercanzia di guerra, anzi comballo per onore. Con ferro, non con oro combattiamo insieme, e così veggiamo chi vuole la fortuna che regni, e proviamo con le virtù nostre chi esalta la fortuna. Io intendo perdonare a coloro, che con la virtù loro hanno superato la fortuna: menategli con voi; io ve gli dono. Quello che Pirro chiama Ja fortuna, noi più rettamente chiamiamo divina provvidenza; e però si guardino i combattenti che non si proponghino prezzo come cagione di loro combattere: chè non si chiamerebbe duello, ma mercato di sangue e d'ingiustizia, e non sarebbe quivi arbitro Iddio, ma quello antico nimico, il quale persuadeva liti. Adunque abbiano sempre innanzi agli occhi loro i combattenti, se vogliono essere duellatori e non mercatanti di sangue e d'ingiustizia, Pirro, il quale combattendo per lo imperio così com'è detto, disprezzava l'oro. Ma se contro alla verità dichiarata alcuno s'opponga della imparità delle forze, come fare si suole, si confuterà l'obiczione per la vittoria di David contro a DANTE. Opere Minori.

E dappoi che germinarono due popoli della radice dei Romani, e questo fu il popolo romano e l'albano; e del segno dell'aquila, e degli Dei familiari de'troiani, e della dignità dello imperare, lungo tempo si fu combattuto; in ultimo di comune consentimento delle parti, per conoscere l'instanza, per tre fratelli Orazii e per altrettanti Curiazii, nel cospetto dei re e de' popoli si combatte; ove morti i tre combattitori degli Albani e due combattitori de'Romani, l'onore della vittoria si concedette sotto il re Ostilio a'Romani. E questo trattò diligentemente Livio nella prima parte, e ancora Orosio lo manifesta. Dipoi co'popoli a loro confinanti, osservata ogni ragione bellica, e co' Sabini e coi Sanniti, benchè si combattesse con grande moltitudine, nientedimeno si combattè in forma di duello, come narra Livio; nel qual modo di combattere co'Sanniti si pentirono del proposito. E questo cantò Lucano nel secondo: Quante schiere sparse condusse la Porta Collina in quel tempo, in cui il capo del mondo, e la polenza somma, quasi mulò il luogo, e le cose romane quasi cedettono a' Sanniti. Ma dappoichè le contenzioni italiche furono cessate, non si essendo per divino giudicio ancora combattuto co' Greci nè con gli Affricani; ed opponendosi costoro a'Romani, contendè Fabrizio pei Romani e Pirro pe' Greci, e Roma ottenne la gloria dell'impero. Combatte Scipione per gl'Italiani ed Annibale per gli Affricani, ed in questa forma di duello Affrica ubbidi a Italia, come Livio e gli altri scrittori narrano. Qual sarà adunque di si grosso ingegno, che non vegga quel popolo glorioso avere in forma di duello acquistato lo imperio del mondo? Ben potè dire il cittadino romano quello che a Timoteo disse lo Apostolo: Egli è riposta per me la corona

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Adunque Cristo coll'opera persuadette, che il comandamento dato dallo imperatore romano fosse giusto. E conciossiaché al comandare giustamente ne seguiti la giurisdicomandamento essere giusto, persuadesse ancora la giurisdizione; la quale se non era di ragione non era giusta. È da notare che l'argumento sunto alla distruzione del conseguente, benchè per sua forma tenga per qualche luogo, nientedimeno la forza sua dimostra per la seconda figura, se si riduce cosi l'argomento, per la posizione dello antecedente secondo la figura prima. Adunque cosi si argomenta: Ogni cosa ingiusta si persuade ingiustamente: Cristo non persuase ingiustamente adunque non persuase cosa ingiusta.

S. XI. E se lo imperio romano non fu per ragione, il peccato di Adamo in Cristo non fu punito; ma questo è falso: adunque egli è vero il contradittorio di quello, onde questo seguita. La falsità del conseguente apparisce cosi. Imperocchè essendo noi peccatori tutti pel peccato di Adamo, secondo che dice lo Apostolo; come per uno uomo nel mondo entrò il peccato, e pel peccato la morte, così in tutti gli uomini entrò la morte dal tempo in qua che peccarono. Se di quello peccato non si fosse falto soddisfa

della giustizia. Ed intendeva che ell'era riposta nella providenza eterna di Dio. Veggano ora i presuntuosi giuristi quanto siano inferiori a quello specolo della ragione, onde la umana mente specula questi principii, ezione, è necessario che chi persuadette il tacciano, e sieno contenti a dar consiglio e giudicare secondo il senso della legge. Egli è già manifesto che il popolo romano per duello acquistò lo imperio: adunque per ragione lo acquistò; e questo è il proposito principale di questo libro. Infino qui s'e dichiarato il proposito nostro per le ragioni, le quali si fondano ne'principii razionali; ma da ora in là è da manifestare questo medesimo pe' principii della fede cristiana. Mossonsi con gran furore e con vani pensieri contro al principato romano coloro, che si chiamano zelatori della fede cristiana, e non hanno avuto misericordia de'poveri di Cristo; i quali non solamente sono fraudati nelle rendite della Chiesa, ma cziandio sono rapiti loro tuttodi i patrimonii; e diventa la Chiesa povera, mentre fingendo la giustizia, non la mettono in effetto. Certamente questa povertà non ci avviene senza il giudizio di Dio; conciossiachè non si sovvenga a'poveri delle facoltà ecclesiastiche, che sono il loro patrimonio, e dallo imperio, che le offerisce, non fieno tenute con gratitudine. Ritornino onde vennono: vennono bene, ritornino male; perchè sono cose ben date e male posse-zione per la morte di Cristo, saremmo andute. Che a tali pastori? che se la sostanzia della Chiesa si disperge, mentrechè le proprietà de' suoi propinqui s'accrescono? Ma egli è forse meglio seguire il proposito, e con pietoso silenzio aspettare il soccorso del Salvatore nostro. Dico adunque che se il romano imperio non fu di ragione, Cristoria della sua grazia, nella quale gratificà nascendo presunse cosa ingiusta; questa seconda parte è falsa: adunque il contradittorio della prima è vero. Imperocchè le cose contradittorie hanno questa condizione, che se l'una è falsa, l'altra è vera. E che sia falso che Cristo presumesse cose ingiuste, non fa d'uopo mostrarlo a'fedeli. Imperocchè chi è fedele concede questo; chi non lo concede, non è fedele: e se non è fedele, per lui non si cerca queste ragioni. E questa conseguenza cosi dichiaro: Colui che per elezione seguita uno comandamento, mostra con opera quello essere giusto; ed essendo l'opere più efficaci a persuadere che le parole, come dice Aristotile nell'Etica, più persuade che se egli affermasse con sermone. Ma Cristo, come testimonia Luca suo scrittore, sotto lo editto dell' autorità romana volle nascere della Madre vergine, acciocchè in quella singolare descrizione della generazione umana il figliuolo di Dio fatto uomo fosse descritto; e questo fu uno confermare quello editto. E forse è più santa cosa estimare che quello editto divinamente usci per Cesare, acciocche colui che tanto tempo s'era aspettato nella compagnia dei mortali, con tutti gli uomini insieme sè medesimo consegnasse. I

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cora figliuoli dell'ira per la natura, cioè per la natura depravata. Ma questo non è, dice lo Apostolo ad Efeso, quando parla del Padre: Egli ci destinò per l'adozione di f gliuoli, per Gesù Cristo; in lui, secondo il proposito della volontà sua, a laude e glo

noi nel suo dilello Figliuolo, nel quale abbiamo redenzione pel sangue suo, e la remissione de' peccati, secondo le ricchezze della sua grazia, la quale soprabbondò in noi. Ed ancora Cristo dice appresso a santo Giovanni, mentrechè patisce la punizione, così: È consumato; che vuol dire, egli è adempiuto, non resta a fare alcuna cosa. Per intendere la convenienza, è da sapere che la punizione non è semplicemente pena allo ingiuriante, ma pena data allo ingiuriante da chi ha giurisdizione di punire; onde se la pena non è data dal giudice ordinario, non è punizione, ma piuttosto ingiuria. Onde egli diceva a Mosè: Chi li costitui giudice sopra noi? Adunque se Cristo non avesse patito sotto giudice ordinario, quella pena non sarebbe stata punizione; ma il giudice ordinario non poteva essere se non uno che avesse giurisdizione sopra tutta la generazione umana; conciossiachè tutta la nmana generazione, come disse il Profeta, in quella carne di Cristo, portante i dolori nostri, fosse punita. E sopra tutta la generazione umana Tiberio Cesare, del quale era vicario Pilato, non avrebbe avuto giurisdizione, se il romano imperio non fusse stato per

mano imperio coloro, che fingono d'essere figliuoli della Chiesa; conciossiachè vegghino lo sposo della Chiesa, Cristo, avere quel

ragione. Di qui nasce che Erode, benchè non sapesse quello che si faceva, come ancora Caifas, che seppe quello che si disse di celeste deliberazione, rimandò Cristo a Pila-lo in tal modo approvato nell'uno e nell'altro to a giudicarsi, come parla Luca nel suo Evangelio. Erode l'aveva commesso, non tenendo il luogo di Tiberio Cesare sotto il segno dell'aquila o del Senato, ma re in singolar regno da lui ordinato, e sotto il segno del regno a sè commesso governando. Restino adunque di turbare e vituperare il ro

termine della sua milizia. E già sufficientemente estimo avere dimostrato, che il popolo romano per ragione sopra tutti gli altri si attribuì l'imperio. O felice popolo, o Italia gloriosa, se quello che indeboli l'imperio tuo mai non fusse nato, ovvero la sua pia intenzione mai lo avesse ingannato!

LIBRO TERZO.

Come l'autorità del monarca, ovvero dell' imperio, dipende immediatamente da Dio.

S. I. Egli ha chiuso le bocche a' lioni, ed essi non m'hanno nociuto, perchè nella presenza di lui s'è in me trovata giustizia. Nel principio di questa opera fu nostro proposito ricercare tre quistioni, secondo che

è monarca del mondo, come nel secondo libro abbiamo provato, senza mezzo dipende da Dio, ovvero pel mezzo d'alcuno suo vicario o ministro, il quale intendo successore di Pietro, che veramente porta le chiavi del celeste regno.

palisse la presente materia: due delle quaff. Come nelle superiori quistioni abbia

ne' libri di sopra estimo essere sufficientemente trattate; ora ci resta a trattare della mo fatto, similmente nella soluzione di queterza. E perchè la verità di questa non si sta si vuole pigliare qualche principio ferpuò dichiarare senza vergogna e rossore di mo, nella virtù del quale si formino gli aralcuni, sarà forse in me qualche cagione gomenti della verità, che al presente si rid'indegnazione. Ma perchè la verità dal suo cerca. Imperocchè senza un principio preimmutabile trono ei priega; ed anche Salo- fisso, non giova affaticarsi ancora dicendo il mone, entrando nella selva de' Proverbii, ci | vero; conciossiachè solo il principio è la raammaestra che dobbiamo meditare la verità dice del pigliare i mezzi.Adunqne si presupe detestare la empietà; ed ancora il precet- pone questa verità irrefragabile: che Iddio tore de'costumi, Aristotele, ci conforta che non vuole quello che repugna alla natura. dobbiamo, per difendere la verità, distrug- Imperocchè, se questo non fusse vero, il gere ancora le proprie nostre opinioni; io contradittorio non sarebbe falso; il quale è: però piglierò fidanza insieme con le premes- che Iddio voglia quello che repugna alla inse parole di Daniello profeta, nelle quali la tenzione della natura. E se questo non è faldivina potenza è chiamata lo scudo del di-so, non sono false ancora quelle cose che di fensore e de'difesi, secondo il primo ammonimento di Paolo dicente: Costui vestilosi la corazza della fede, nel caldo di quello carbone, il quale uno de serafini prese dal celeste allare, e toccò le labbra d'Isaia; e così presa questa fidanza, io entrerò nella presente battaglia e confidandomi ancora nel braccio di colui, che col suo sangue dalla potenza delle tenebre ci liberò, gli empii ei mendaci, al cospetto del mondo, dalla palestra discaccierò. Sotto l'aiuto di colui, che temerò io? conciossiachè lo Spirito coeterno al Padre ed al Figliuolo dica per la bocca di David: Il giusto sarà nella memoria eterna, e non temerà del male udire. Adunque la quistione, della quale prima abbiamo a ricercare, tra due grandi lumi si rivolge; e questo è tra il romano pontefice ed il romano principe. E cercasi se l'autorità del Monarca Romano, il quale di ragione

questo seguitano. Imperocchè egli è impossibile nelle conseguenze necessarie il conseguente essere falso, non essendo falso l'antecedente. Ma al non nonvolere l'uno dei due sèguita per necessità, o volere o nonvolere; come al non odiare, per necessità sèguita o amare o nouamare. Imperocchè il non amare non è odiare, nè il non volere è nonvolere, come di per sè medesimo è manifesto. Le quali cose se non sono false, non sarà falsa questa: Iddio vuole quel che non vuole; la falsità della quale non ha superiore. E che sia vero quello che qui si dice,così dichiaro: Egli è manifesto, che Iddio vuolę il fine della natura; altrimenti il cielo si muoverebbe invano, la qual cosa non si debbe dire. Se Iddio volesse lo impedimento del fine, vorrebbe ancora il fine dello impedimento, altrimenti vorrebbe questo invano.Eperche il fine dello impedimento egli è il non

essere della cosa impedita, seguiterebbe che Iddio volesse non essere il fine della natura, il quale si dice volere essere. Imperocchè se Iddio non volesse lo impedimento del fine, come e'non volesse,cosi seguiterebbe al non volere, e nulla si curerebbe dello impedimento o fusse o non fusse. Ma chi non cura lo impedimento non cura quella cosa che si può impedire, e conseguentemente non l'ha nella volontà; e quello che alcuno non ha nella volontà, non vuole. Per la qual cosa, se il fine della natura può essere impedito, di necessità seguita che Iddio non vuole il fine della natura; e così sèguita quello di prima, e questo è: Iddio volere quello che non vuole.Adunque è verissimo quello principio, del cui contradittorio tante assurde cose seguitano.

vergogna. Sono alcuni altri chiamati Decretalisti, ignoranti di teologia e di filosofia, í quali con tutta la intenzione dandosi a`loro Decretali (che per altro io stimo che sieno da avere in venerazione) fondano nella loro prevalenza le proprie speranze, ecosi derogano allo imperio. Nè è da maravigliarsi di questo, perchè io ho già udito alcuno di loro dire, e sfacciatamente affermare, i loro decreti essere fondamento della fede. La quale assurda sentenza dalla opinione de' mortali levino coloro,che senza costituzione di Chiesa, credettono in Cristo venturo, o presente, o venuto; e credendo in lui sperarono, e sperando arsono di carità, ed ardendo sono senza dubbio alcuno a lui fatti coeredi. Ed acciò che tali uomini della presente battaglia siano in tutto scacciati, è da notare ch'egli SIII. Nel principio di questa quistione è è alcuna scrittura innanzi alla Chiesa, alcuda intendere, che la verità della quistione na insieme con essa, alcuna dopo lei. E inprima fu più da manifestare per levare l'i- nanzi alla Chiesa,è il Vecchio e il Nuovo Tegnoranza, che per levare la lite. Ma la veri- stamento, il quale è mandato in eterno, come tà della seconda quistione fu per levare l'i- dice il Profeta. Imperocchè questo è quello gnoranza e il litigio. Molte cose sono che noi che dice la Chiesa, parlando allo sposo: Tinon sappiamo, e nientedimeno non ne litira me dopo te. E con la Chiesa insieme soghiamo imperocchè il geometra non sa la no quegli venerandi concilii principali, nei quadratura del circolo, ed anche non ne li- quali esser Cristo stato presente nessuno tetiga; il teologo non sa il numero degli ange- dele dubita; conciossiachè noi abbiamo,Crili, e di quello non fa lite; e lo Egizio non sa sto aver detto a'discepoli, avendo a salire in la civiltà degli Sciti, ed anche della loro ci- ciclo: Ecco io sono con voi ogni di insino viltà non contende. Certamente la verità di alla consumazione del secolo,come Matteo questa terza quistione ha tanto litigio, che testimonia. Sono ancora le scritture de dotcome agli altri suole l'ignoranza essere cagio- tori, di Agostino e degli altri, i quali avere ne di lite, così qui sia maggiormente la lite avuto l'aiuto dello Spirito santo chi dubitecagione d'ignoranza. Imperocchè agli uomi-rà? e chi ne dubitasse non avrebbe i frutti ni, che volano con lo appetito innanzi alla loro veduti, e se gli avesse veduti non gli aconsiderazione della ragione,sempre questo vrebbe gustati. Dopo la Chiesa sono poi le seguita: che eglino male disposti, e posposto costituzioni, le quali chiamano Decretali: le il lume della ragione, sono tirati come cie- quali benchè sieno da venerare per l'autorichi dallo affetto.e pertinacemente la loro ce- tà apostolica, nientedimeno s'hanno a poscità niegano. Onde spesso avviene, che la porre alla fondamentale Scrittura, conciosfalsità non solamente ha patrimonio, ma che siache Cristo abbia ripreso i sacerdoti del molti, de loro termini uscendo, discorrano contrario. Imperocchè domandandogli: Per pe'campi d'altri, ove eglino nulla intenden- che cagione i discepoli tuoi trapassano do, nulla sono intesi; e così provocano alcu- gli ordini degli antichi ? (e questo era che ni ad ira ed indignazione, altri a riso.Adun- eglino non osservavano il lavarsi le mani) a que contro la verità, che qui si ricerca, tre costoro Cristo rispose appresso a santo Malcondizioni d'uomini massime fanno resisten- tco: E voi perchè trapassate il comandaza; perchè il sommo Pontefice vicario di Cri-mento di Dio per le vostre costituzioni ? sto e successore di Pietro, al quale noi non dobbiamo ciò che dobbiamo a Cristo ma ciò che dobbiamo a Pietro, contro a noi insorge forse pel zelo delle chiavi; ed ancora altri pastori della greggia cristiana, ed altri ancora, i quali credo solo da zelo della madre Chiesa essere mossi, alla verità, che io ho a mostrare, forse per zelo (come dissi) e non per superbia, contradicono. Ma alcuni altri, la cupidità ostinata de'quali ha spento il lume della ragione; ed essendo dal padre diavolo si chiamano figliuoli della Chiesa; non solo in questa quistione muovono lite, ma hanno in abominio il nome sacratissimo di principato; e cosi negano i veri principii delle quistioni superiori e della presente senza

Nella quale sentenza assai significò, che la costituzione s'aveva a posporre. E se le costituzioni della Chiesa sono dopo la Chiesa, come è dichiarato, è necessario che l'autorità della Chiesa non dipenda da esse costitazioni, ma l'autorità delle costituzioni dalla Chiesa. E costoro che hanno solo queste costituzioni, si vogliono, come dicemmo, di questa battaglia rimuovere: imperocchè nel ricercare questa verità bisogna procedere per quelle cose, dalle quali l'autorità della Chiesa dipende. Adunque,fatta questa esclusione, si debbono altresì rimuovere da questa guerra coloro che, coperti di penne di corvi, si vantano d'essere pecore bianche nella divina gregge. Costoro son figliuoli d' in

quità, i quali, per meglio adempiere i loro
delitti, prostituiscono la madre, i fratelli |
scacciano, e finalmente non vogliono aver
giudice. Imperò in che modo si cercherebbe |
egli con esso loro ragioni, conciossiachè e-
glino, occupati dalla cupidità, non veggano
i principii? Per la qual cosa solo con quegli
combatteremo, i quali indotti da alcuno ze-
lo inverso la Chiesa loro madre, la verità
che qui si cerca non conoscono: co'quali io
incomincio in questo libro la battaglia per
la salute della verità, usando quella reveren-
zia, la quale è tenuto usare il figliuolo pio
inverso il padre, pio inverso la madre, pio
inverso Cristo e la Chiesa e il pastore, e in-
verso tutti quelli che confessano la cristiana
religione.

le cose che si narrano significhino alcuno effello, ma per cagione di quelle cose che significano,si pigliano ancora di quelle che nulla significano. Solo il vomere divide la terra; ma per potere far questo, ancora l'altre parti dello aratro sono necessarie. Per la qual cosa esso ancora disse nel libro della Dottrina cristiana a questo medesimo proposito che chi sente altrimenti nelle Scritture che colui che le scrisse, è così ingannato come se alcuno lasciasse la via retta, e per lungo circuito pervenisse al fine medesimo della via retta; e dopo questo aggiunge così: Vuolsi dimostrare acciò che per consuetudine di deviarsi,ancora si vada per obliquo. Finalmente significa la cagione, perchè questo si debba schifare nelle SIV. Coloro adunque, contro a'quali sarà Scritture, dicendo: La fede dubita se l' aututta la seguente disputazione, affermano torità della divina Scrittura vacilla. Ed io l'autorità dello imperio dipendere dall'auto- dico, che se tali cose si fanno per ignoranrità della Chiesa, come lo artefice ministro za, si vuole con diligenza la ignoranza cordal capo maestro; ed abbenchè siano mossi reggere e perdonare, come a colui che teme da più e diversi argomenti tratti dalla Scrit-il lione nei nuvoli. E se si fanno a studio, tura, ed ancora da alcune cose fatte dal pon- con quelli che così fanno non si debbe altritefice e dallo imperadore, nientedimeno non menti fare che con i tiranni, i quali non se hanno indizio alcuno di ragione. In prima guitano le pubbliche costituzioni a utilità codicono, secondo il Genesi,che Iddio fece due mune, ma le tirano al proprio. O estrema grandi lumi,cioè uno maggiore e uno mino- scelleratezza,eziandio se gli avvenga nel sore, acciocchè l'uno fosse sopra il dì e l'altro gno, male usare la intenzione dello eterno sopra la notte: e questo intendono per alle- Spirito! non si pecca qui contro Mosè, Dagoria, che l'uno sia lo spirituale e l'altro il vid, Giob,Matteo o Paolo,ma contro allo Spitemporale reggimento. Dipoi argomentano rito santo che parla in loro. Imperocchè se così: che come la luna, che è il minore lu- molti sono gli scrittori del divino sermone, me, non ha luce se non in quanto la riceve uno solo è il dettatoreIddio, il quale s'è dedal sole; così il regno temporale non ha au- gnato quello che a lui piace per molti scrit torità se non in quanto dallo spirituale la ri- tori a noi esplicare. Notate queste cose, al ceve. E per sciogliere questa loro ragione e sopraddetto proposito dico a distruzione di le altre, è da notare, che, come dice Aristo- quel detto, ove affermano che questi due lutele negli Elenchi, la soluzione dello argo- mi importano due reggimenti, nel qual detmento è la manifestazione dello errore. E to tutta la forza dello argomento consiste.E perchè lo errore può essere nella materia che quello detto non si possa sostenere, per nella forma dello argumento, in due modi due vie mostrare possiamo. Prima, essendo si può errare; o presupponendo il falso, o questi reggimenti accidenti dell'uomo, parargomentando senza ordine. E queste due rebbe che Iddio avesse pervertito l'ordine, cose opponeva Aristotele a Parmenide e Me-producendo prima gli accidenti che il soglisso, dicendo: Costoro accellano il falso egetto proprio; e questo non si debbe dire non argomentano. Io piglio qui in largo d' Iddio. Imperocchè quei due lumi furono modo il falso per la cosa inopinabile,la qua- prodotti nel quarto di, e l' uomo nel sesto. le nella materia probabile ha natura di sil- Oltre a questo, conciossiachè questi reggilogismo. Ma se egli è errore nella forma, menti dirizzino l'uomo a certi fini, come di debbe distruggere la conclusione colui, che sotto dichiareremo, se l'uomo avesse persevuole solvere, mostrando non essere osser- verato nello stato della innocenza, nel quale vata la forma dello argomento. E se egli è fu fatto da Dio, non avrebbe avuto bisogno errore nella materia, egli è perchè s'è accet- di tale direzione. Adunque questi reggimentato il falso, o semplicemente o in qualche ti sono rimedio contro alla infermità del pecparte. Se semplicemente, si debbe solvere cato. E come l'uomo nel quarto di non soladistruggendo la proposizione assunta ; e se mente non era peccatore, ma eziandio in in alcuna parte, per distinzione. Notato que- niun modo esisteva, era superfluo produrre sto, è ancora da considerare, per intendere i rimedi:e questo è contro alla bontà divina. meglio la soluzione fatta qui e quelle che Colui sarebbe stolto medico,il quale, innans'hanno a fare, che si può errare circa il mi- zi che l'uomo nascesse, ordinasse lo impiastico senso, o cercandolo dove ei non è, ostro al postemate futuro. Adunque non si pigliandolo altrimenti che egli sia. Per la prima parte, dice Agostino nel libro della Città di Dio: Non si debbe credere che tulle

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debbe dire, che Iddio nel quarto di abbia fatto questi due reggimenti; e però non potě essere la intenzione di Mosé quella che egli

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