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PARTE PRIMA.

SONETTI E CANZONI

IN VITA DI MADONNA LAURA.

SONETTO I.

Chiede compassione del suo stato, e confessa pentito la vanità del suo amore.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond' io nudriva il core
In sul mio primo giovenile errore,

Quand' era in parte altr' uom da quel ch'i' sono;
Del vario stile in ch' io piango e ragiono
Fra le vane speranze e 'l van dolore,
Ove sia chi per prova intenda amore,
Spero trovar pietà, non che perdono.
Ma ben veggi' or si come al popol tutto
Favola fui gran tempo: onde sovente
Di me medesmo meco mi vergogno:
E del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
E'l pentirsi, e 'l conoscer chiaramente
Che quanto piace al mondo è breve sogno.

Verso 1. Voi. O voi. Vocativo. In rime sparse. In varj e brevi componimenti poetici.-2. Onde. Dei quali.Coi quali.-3.Nel tempo degl'inganni della mia gioventù.-4. Quand'era. Quand'io era.-5. In che. In cui.-7. Per prova. Per esperienza. Intenda. Conosca.-8. Pietà, non che perdono. Non solamente perdono, ma anche compas

sione. Questa quartina s'intenderà più
facilmente leggendola così. Ove sia chi
per prova intenda amore, Spero tro-
var pietà, non che perdono, Del va-
rio stile, col resto.9-10. Si come.
Che. Al popoi tutto Favola fui gran
tempo. Per lungo tempo fui materia
di discorso e di riso alla gente.
11. Meco. Fra me.

SONETTO II.

Forte contro tante insidie di Amore, non potè difendersi da quest' ultima.

Per far una leggiadra sua vendetta,

E punir in un di ben mille offese,
Celatamente Amor l'arco riprese,

Com' uom ch'a nuocer luogo e tempo aspetta.
Era la mia virtute al cor ristretta,

Per far ivi e negli occhi sue difese,
Quando 'l colpo mortal laggiù discese,
Ove solea spuntarsi ogni saetta.

Però turbata nel primiero assalto,

Non ebbe tanto nè vigor nè spazio
Che potesse al bisogno prender l'arme,
Ovvero al poggio faticoso ed alto

Ritrarmi accortamente dallo strazio,

Dal qual oggi vorrebbe, e non può aitarme.

Verso 2. Offese. Fatte ad Amore dal Poeta, resistendogli e disprezzandolo.-3. Celatamente. Di nascosto. 4. Com' uom che. Come fa chi. 5. Virtute. Forza.-6. Far sue difese. Difendersi.-7. Laggiù. Nel cuore.8. Dove ogni assalto di Amore soleva riuscir vano.-9. Però. Perchè Amore aveva ripreso l'arco e tratto il suo colpo di nascosto, e come fa chi, volendo nuocere altrui, aspetta luogo e tempo opportuno. Turbata. La detta mia virtù,

cioè la mia forza. Nel primiero assalto. Fin sul principio dell' assalto.— 10. Non ebbe tanto vigore nè tanto tempo.-11. Potesse. La mia virtù. Al bisogno. Come richiedeva il bisogno.— 12. Al poggio faticoso ed alto. Al monte, alla rocca, della virtù o della ragione o cosa simile.-13. Ritrarmi. Il verbo ritrarre qui è attivo, e dipende dalla parola potesse, che sta nell' undecimo verso.-14. Aitarme. Aiutarmi.

SONETTO III.

Giudica Amor vile, che lo ferì in un giorno da non doverne sospettare.

Era 'l giorno ch' al Sol si scoloraro

Per la pietà del suo Fattore i rai,

Quand' i' fui preso, e non me ne guardai,
Che i be' vostr' occhi, Donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo
Contra colpi d' Amor: però n'andai
Secur, senza sospetto: onde i miei guai

Nel comune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato,

Ed aperta la via per gli occhi al core,
Che di lagrime son fatti uscio e varco.
Però, al mio parer, non gli fu onore

Ferir me di saetta in quello stato,
E a voi armata non mostrar pur l'arco.

Verso 1. Il giorno ch'al Sol. II giorno nel quale al sole. Intende l'anniversario della morte di Cristo.

2. Per la pietà del suo Fattore. Per la
compassione che il sole sentiva del suo
creatore.-4. Che. Poichè. 5-6. Es-
sendo quel giorno santo e lugubre,
non mi pareva tempo da temere assalti
di Amore, e da starne in guardia.
7. Secur. Sicuro.-8. Nel comune do-

lor. Dei Cristiani per la ricordanza della morte di Cristo.-9. Del tutto. Affatto.-10. Ed aperta. E trovò aperta.-44 Che. I quali occhi. Son fatti. Sono divenuti. 12. Ma, secondo me, non gli fece onore, non fu cosa da vantarsene.-13. In quello stato. Così disarmato e sprovvisto come io era. 14. Non mostrar pur. Nè pur mo

strare.

SONETTO IV.

Innamorato di Laura, trae argomento di lodarla dal luogo stesso dov'ella nacque.

Quel ch' infinita provvidenza ed arte
Mostrò nel suo mirabil magistero;
Che criò questo e quell' altro emispero,
E mansueto più Giove che Marte;
Venendo in terra a illuminar le carte
Ch' avean molt' anni già celato il vero,
Tolse Giovanni dalla rete e Piero,
E nel regno del Ciel fece lor parte.
Di se, nascendo, a Roma non fe grazia,
A Giudea si: tanto sovr' ogni stato
Umiltate esaltar sempre gli piacque.
Ed or di picciol borgo un Sol n'ha dato

Tal, che Natura e 'l luogo si ringrazia
Onde si bella donna al mondo nacque.

Verso 1. Quel. Colui, cioè Dio. — 2. Nel suo mirabil magistero. Nella sua maravigliosa opera della creazione del mondo.-3. Criò. Creò. Questo e quell'altro emispero. L'uno e l'altro emisfero.-4. E diede al pianeta detto

Giove più benigni influssi che a quello di Marte. Opinione antica.-5. A illuminar le carte. A rischiarar le scritture sacre. A svelare il senso delle scritture sacre.-8. E diede loro parte nel regno del cielo, cioè li fece partecipi del regno

del cielo.-9. Non fece a Roma la grazia di nascer quivi.-10-14. Sovr'ogni stato Umiltate esaltar. Innalzare gli umili sopra ogni condizione umana.—

12-14. Ed ora da una picciolaTerra ci ha fatto nascere un sole tale, che gli uomini ringraziano la Natura e il luogo che hanno prodotto sì bella donna, cioè Laura.

SONETTO V.

Col nome stesso di Laura va ingegnosamente formando l' elogio di lei.

Quand' io movo i sospiri a chiamar voi,
E 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s' incomincia udir di fore
Il suon de' primi dolei accenti suoi.
Vostro stato REal che 'ncontro poi,

Raddoppia all' alta impresa il mio valore:
Ma, TAci, grida il fin, chè farle onore
È d'altri omeri soma che da' tuoi.
Cosi LAUdare e REverire insegna

La voce stessa, pur ch' altri vi chiami,
O d'ogni reverenza e d' onor degna:
Se non che forse Apollo si disdegna

Ch' a parlar de' suoi sempre verdi rami
Lingua mortal presuntuosa vegna.

Verso 2. E'l nome. Ed a chiamare, cioè a profferire, il nome. 3-4. Il suono delle prime lettere di questo no. me (cioè di Laureta, che oggi si direbbe Lauretta o pur Loreta) s'incomincia a udire fuori delle labbra lodando, cioè non è altro che il suono della prima sillaba di laudare; e però dice il Poeta che chi proferisce il nome della sua donna, la incomincia a lodare col suono stesso delle prime lettere di tal nome.-5. La vostra condizione REgia che trovo poi, cioè nella seconda sillaba della voce Laureta.-6. All'alta impresa. All' impresa di lodarvi.-7-14. Ma l'ulti

ma sillaba della voce Laureta, cioè ta, grida TAci, perciocchè a lodarla si ricercano ben altre forze che non sono le tue. Per tanto, o donna degna di somma riverenza e di somma lode, il suono medesimo del vostro nome, purchè uno vi nomini, insegna a lodarvi e a riverirvi (la prima sillaba a LAUdarvi, e la seconda a REverirvi): ma forse Apollo si sdegna che una lingua mortale presuntuosa venga, cioè si metta a parlare del lauro (che e la pianta di Apollo,e che, secondo la consuetudine del Poeta, significa Laura); e da ciò nasce che l'ultima sillaba del vostro nome comanda di tacere.

SONETTO VI.

Viva immagine del suo amore ardente, e della onestà costante di Laura.

Si traviato è 'l folle mio desio

A seguitar costei che 'n fuga è volta,

E de' lacci d' Amor leggiera e sciolta
Vola dinanzi al lento correr mio;
Che, quanto richiamando più l'invio
Per la secura strada, men m' ascolta;
Ně mi vale spronarlo o dargli volta,
Ch' Amor per sua natura il fa restio.
E poi che 'l fren per forza a se raccoglie,
I' mi rimango in signoria di lui,

Che mal mio grado a morte mi trasporta,
Sol per venir al Lauro onde si coglie
Acerbo frutto, che le piaghe altrui,
Gustando, affligge più, che non conforta.

Verso 2. Che'n fuga è volta. Che si è data a fuggire. Che fugge.-5-6. Che quanto più, richiamandolo, procuro di rimetterlo in sulla strada sicura, tanto meno mi ascolta. - 7. Vale. Giova. Dargli volta. Tirarlo colla briglia per voltarlo indietro. Qui l'autore rappresenta il suo folle desio sotto la figura di un cavallo. 8. Che. Poichè. Segui

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tando la metafora del cavallo, dice molto acconciamente che l'amore per sua natura lo fa restio.-9. E quando ha pigliato per forza il freno tra i denti.— 10. In signoria. In potere. Di lui. Del mio folle desio.-14. Mal mio grado. A mio mal grado.-12. Al Lauro. A Laura.-14. Gustando. Maniera tolta dai Latini. Vuol dire : quando è gustato.

SONETTO VII.

Conosce di esser incatenato più forte che augello tolto alla sua libertà.

A piè de' colli ove la bella vesta

Prese delle terrene membra pria
La Donna, che colui ch' a te ne 'nvia
Spesso dal sonno lagrimando desta,
Libere in pace passavam per questa
Vita mortal, ch' ogni animal desia,
Senza sospetto di trovar fra via

Cosa ch'al nostr' andar fosse molesta.

Ma del misero stato ove noi semo

Condotte dalla vita altra serena,

Un sol conforto, e della morte, avemo:
Che vendetta è di lui, ch'a ciò ne mena;
Lo qual in forza altrui, presso all'estremo,
Riman legato con maggior catena.

In questo Sonetto s' introducono a parlare certe bestioline prese nei contorni

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