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&in sermonibus ejus festinat iter. Voi crea dete udir de' poeti, eppur non è che uno sto rico là Mosè, qui non è Salomon (a) che un filosofo, che pur fan coro col Salmo testè citato (b) Il tabernacolo suo Dio pose nel Sole, che mostrasi in oriente quale sposo dal talamo uscendo, e con piè di gigante esultando a divorar la carriera sì che par la partenza congiugnere coll'arrivo da un cardine all' altro del mondo, di cui parte non è che al suo calor si nasconda'; Oh Febo aurichiomato, oh Apollo saettatore oh auriga del carro d'oro con tutti quattro i corsier ignivomi, oh come in voi la menzogna fantastica io sento del ludicro vostro parnaso, e qual per voi, astronomi, e fisici, l'elettrica fiamma o flogistica, la luce settemplice, le girevoli macchie, e la central gravità freddo lascianmi, e incerto tra mille dubbj e sistemi! Qui tutto inten. do e mi persuade, qui scaldami invece non meno il Sole, che quel pianeta di cui canta

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il

(a) Salomone o altri sia .

Testo originale. Del sol la sede ne' cieli loco

il Salmo (a), che alla notte presiede, nella cui podestà Dio commise le tenebre, a cui passi la misura de' tempi affido, e di cui fè sgabello, aggiugne l'Apocalisse, (b) al piè virginal d' una donna vestita di sole coronata di dodici stelle; tratto tanto poetico che ne và altiera la maggior poesia del maggior Tosco Vergine bella che di sol vestita

Coronata di stelle al sommo Sole Piacesti sì che in te sua luce ascose. Ma vedete appunto le stelle per mill'anni tra noi sì poche ed incerte, onde vantasi il no stro secolo di scoprirne a migliaja, vedetele per Barucco (c) lor lume spandere dagli alti posti di lor vigilie, e tripudiarono, ei di

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(a) Ps. 103-44. Fecit lumen in potestate noctis fecit lunam in tempore.

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(b) Mulier amicta sole & luna sub pedibus ejus in capite ejus coronam duodecim stellarum. (c) Baruch. 3. 34. Stellæ dederunt lumen in custodiis suis & lactate sunt . Vocate sunt & dixerunt: Adsumus luxerunt ei cum jucunditate qui fecit illas. Stellæ choreas duxerunt & non deficient in vigiliis suis,

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te, al creator rispondendo che le chiamavas siam qui, e sfavillaron lietissime avanti a lup, che le fece, siccome altrove, danzar le vede ne lor circoli eterni, e guardie ognora veglianti non mai mancar sonnacchiose all' ufficio; e le numera Dio quante sono glia Davidde, nella lor moltitudine proprio nome appellane ognuna, tra quai nomi, ricorda Giobbe, or le Pleiadi scintillanti, or il girevole Arturo, e chi potrà dissiparle, conchiude, quella solidità qual di bronzo de' cieli da noi veduta accennando. Ma qual poetico volo è quel di Giobbe medesimo al farsi dire da Dio (a) Dov'eri tu quando gli astri lodavanmi nel mattino dei tempi, e giubilavane i figli di Dio? Che ben sembran gli angeli coetanei, e degni compagni degli astri. Dov'eri tu quando alla terra posi le fonda

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(4) Ubi eras &c. Job. 38. Cum me laudarent simul astra matutina jubilarent omnes filii Dei? Qui numèråt multitudinem stellarum & ómnibus eis nomina vocat. Ps. 146.

Ps. 38. Micantes stellas Plejadas s aur giruma Arturi poteris dissipare &

menta; ma basti per poi tornare trappoco a sì famosa immagine di poeta.

A tanta forza frattanto d'alto entusiasmo parmi udir chi dimandi come ciò possa un' idioma sì semplice e povero, poichè sappiam oggi (a) non contare l'ebreo che quattro milla circa vocaboli radicali (stando all'ebraico non al rabbinico) mentre n'han dieci e venti altre lingue, e la cinese ottanta migliaja. E tacendo qui dell' ispirazione superna, la qual non diede perciò a suoi scrittori nuova lingua o vocabolario, ma usò di lor suppellettile per gli affetti, e gl'insegnamenti che da lei vennero, pregovi rammentare che le prime lingue furon tutte poetiche, cioè metaforiche, dipintrici, e di traslati e di figure, e d'allegorie, di similitudini tanto più ricche quanto più scarse di voci proprie e di modi. Potrei con altri uditori men pratici d'antichità di prove erudite far pompa, (b) ma pos

SO

(a) Fu più ricca la lingua a tempi di Mosè, di Davidde, di Salomone, de' Profeti e si perdettero molti libri, e vocaboli.

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(b) A Baden fui rimandato come tale nel 1755.

30 dirne la mia sperienza in Lamagna, ove stretto a parlare familiarmente in latino, sino allor da me scritto soltanto, la difficol

à di trovar pronta la propria parola a supplirvi obbligavami di fantasia a metaforeggiare, parafrasare, comporre, onde parvi talor poeta quando infatti non era che ignaro, e il parvi ancor più pei vivi gesti sì proprj d' improvvisatore, onde que' freddi e pacati Germani a così strano parlare or mi tennero in conto di letterato ed or d'impostore. Ed ecco onde prendon gli antichi idiomi quel colorito vivace, quel fuoco, quel nerbo di poesia, e donde è detto l'ebraico il linguaggio dell' immaginazione. Le nostre lingue ricche ed ornate metodiche e grammaticali sono dell'arte, quella è di natura, noi ci studiamo d'essere eloquenti, essi l'erano senza studio, chiamiam fiori rettorici tropi figure ciò ch' era propria per loro e volgare favella.. Curioso fenomeno invero il faticar tanto lo stile che noi facciam dipingendo in poesia, che è poi emular quello di gente incolta, il creder d'essere originali quanto più siamo copie, il tornar all'infanzia già grandi, l'ostentar in

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