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SU LA POESIA SCRITTURALE

Letta nell' Accademia di Mantovd
3. Maggio 1788.

Trascorso essendo gran tempo; che in que

st' illustre arringo dell'arti, e delle scienze non s'è parlato di poesia prima tra quelle ed amiea di molte tra queste, ho pensato dover risarcire l'onor d'un antico sebben povero mio patrimonio, e quel della più nobile eredità da Virgilio lasciata alla sua patria felice. Benchè tra voi, dotti accademici, signoreggino la filosofia, la fisica, l'erudizione, la critica, le matematiche pur non tiranneggiano in guisa da spaventare il poeta, che anzi trovasi questo coi fisici spesso unito e cogli eruditi senza ch'essi il sospettino. Oggi par più che mai rinnovarsi il consorzio tra loro, qual videsi in Grecia, quando tutto il saper fu poetico, e gli usi,i costumi, gli studj, la religione in man de'cantori poeti istruivano il popolo su le pri me grand' epoche e tradizioni del creato mon do, de' principj dell' umane associazioni, del

de

debito culto agli Dei, delle miglior leggi e governi per mezzo di simboli, d'allegorie, del mirabil fantastico che noi chiamiam favola, e mitologia. Il linguaggio era questo della meral della storia della teologia, onde venner le prime virtù, i primi numi ed eroi, le prime storie dell' uomo e dell' universo, nella cui formazione intrecciavansi le costellazioni la sfera il zodiaco i segni, che son le prime nozioni venuteci dai persi, dagl'indi, da caldei, da gre ci d'Alessandria e da' babilonesi, e i fenomeni de' cieli e degli astri, de' mari e de' monti, e di quanto ha nome tra noi d'astronomia di cosmogonia di storia naturale di fisica infine, e d'enciclopedia. Gli studj odierni per tanto, su le medesime tracce fan lor miracoli di nuove creazioni del mondo, di nuove leggi al sole e ai pianeti, e specialmente alla luna, a cui come amica ognor de' poeti, dan perfino i volcani non che gl'influssi, come alla terra non sol le Atlantidi si rendono di Platone, o l'Elettridi di Licofrone per gran diluvj e tremuoti ed incendj ingojate, ma cataclismi ad ogni passo diseopronsi a onore di Orfeo, d'Esiodo, o di altri antiomeriani. E quasi che

non

non bastasse la poetica immaginazione in tai sistemi da lei s'adornano ancora di stil poetico e pittoresco al par de' greci poemi («). Troppo a dirne sarebbe su la storia la critica l'erudizione sì benemerite anch'esse de' tempi eroici tenuti sinora per favolosi. Ercole e Teseo, Polluce e Castore, Giasone e Medea non son più semidei, ma uomini come noi, il mitologico maraviglioso al naturale ritorna e allo storico e riconciliansi insieme le tradizion popolari colle scientifiche facoltà. Tutto è infine di filosofico e in un poetico senso e sostanza, le favole greche intessendosi colla fisica generale, le idee metafisiche prendendo forma e figura sensibile, ed oprando ognun quella chiave iugegnosa, che ci apre del pari e il palagio incantato dell' amabili finzioni, e il santuario riposto delle fisiche verità. Può dunque la poesia venir tra voi a buon dritto non come frivola verseggiatrice, o maga, o sibilla, o ciurmatrice di scena ma sì qual venerabil matrona e grave sorella, poichè fu madre d'o

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(a) Tali scrittori son Bailli, Pallas, la Lande, Pluche. Bonet,

&c.

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gni vostro sapere e d'ogni antica dottrina. Io penso però d'onorar viemaggiormente questo dotto consesso cogli onor più vetusti e più reverendi d'una poesia tutta celeste, è miglior maestra di tutte, cioè dell'ebraica e scritturale. Questa già non di favole adorna di numi d'imprese di stile e di canto artificioso, ma di religion vera e santa, di grandezzá propria e virtù merita d'esser qui accolta a render più illustre l'usata da noi, e a rialzarla dal suo dicadimento all'antico decoro degno di voi virtuosi e credenti non men che dotti uditori, degno della filosofia più sublime, degno infin degl' ingegni elevati, e de' cuor generosi come lor vengo qui di presente mostrando.

A ciò far con più sicurezza togliam di mano a noștri poeti l'ebraica poesia, che pe' lor versi fu quasi sempre infievolita o travvisata, sicchè un cantico un inno un salmo son sì rari a trovarsi non indegni di lei dopo infinite versioni da mille penne tentate. Nè ciò rechisi a colpa del nostro idioma, che ogni beltà e forza dispiega all'uopo, ma si de' metri che usiamo e della rima. Dessa è eerto un ornamento di poesia, e come gli ornati d'archi

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