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ficio a questa imposto di servir a quella, onde dicasi poco men l' uomo all' Angelo su.periore! Non v'è forse libro della Scrittura ove non veggansi gli Angioli abitare la terra, e correre a gara a servigj multiplici dell'umanità sino a vestirne sembianze, forme, ed impieghi, non so se più ad onorar lei, o se stessi, certo sì spesso a prove d'amore. Bastivi quel poema ammirabile a Mosè attribuito, ma posto tra i salmi, e que' teneri versi, ch'io non recito mai senza commovermi: (a) Il male sino a te non giugnerà, nè accosteransi Aagelli alla tua casa, perchè diè agli Angeli cura di te sicchè ti guardino ad ogni passo, e ti portino nelle lor mani, non forse avvenga, che urti in sasso il tuo piede. Stil elevato è il dir poi su l'aspide e il basilisco camminerai, il lione conculcherai, e il drago col resto tutto entusiastima quell' esser portati in mano angelica a guardarne da piccol arto del piede non va al cuore coll'immagine d'amor materno verso un suo caro e vacillante bambino? Che ben

co,

(a) Ps. 9o. Non accedet ad te malum.

con

concorda con quel dell' Esodo (a): Ecco ch'io manderd l'Angelo mio, che ti preceda, e nel luogo da me preparatoti t'introduca: A lui sta attento, e la sua voce ascolta, con cent'altri e detti, e fatti di questa amorosa providenza pe' suoi ministri su l'uomo.

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Ma grande Iddio! ch'io non posso qui ̈tacer que' versi, ch'è mai quest'uomo, gran Dio, che tu così lo magnifichi, (b) e su l'opere più sublimi Pinnalzi delle tue mani, e in lui tu ponga tutto il tuo cuore? Ma mentre oso interrogarlo su l'uomo, per cui tanto ha già fat-to e creato, e che ancor non comparve, che ascolto, o signori, e che contemplo? Quegli è Dio, lo stesso Dio creatore, che dimentico quasi della sua gloria ed onnipotenza dal trono altissimo, onde sinor trasse tutto dal nul, la a un sol cenno, discende, s'abbassa, ed opera pronunziando facciamo. Che linguaggio questo dopo i varj comandi assoluti onde trasse dal niente le creature? Ah queste trattaronsi da schiave, or or suggettando le ani

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(a) Ex. 23.

mate

(b) Quid est homo quia magnificas eum &c. Job. 7.

TOMO XVIII.

E

1

1

mate all' uomo col nominarle, ma or trattasi del lor sovrano, e dopo ch'è preparata la reggia appare il re, dopo il tempio innalzato ecco

il gran sacerdote. Tutto era muto, e solitario quaggiù, tutto senza religione a riconoscere ed amar Dio, or vien chi l'ami e l'adori colla religione del cuore. Facciamo. Attenti, miei cari, ch' entriamo in un sacrario d'amore misterioso e profondo, ma colla guida di Padri, Concilj e Scritture. Tre volte e più ripetesi la gran parola d'amore facciamo in vece del fiat parola d'onnipotenza. Facciam l uomo ad immagine nostra, e somiglianza. II plurale facciamo è di più persone, il farla ad immagine nostra è ricopiar in lui le tre Fersone colla Unità, sicchè l'uom trovi in se solo proprietà distinte, ma non separabili dall' esser suo, è ravvisi in se quel principio, ch'è unico senza esser solo, ed è molti, pur unico rimanendo. Ecco l'uom simile a Dio, voi lo vedete. Ma non è egli tratto dal fango? Attenti di nuovo, che maggior son qui misterj d'amore per noi. Sì, Dio formò, formò colle sue mani, formò col fango: Formavit hominem de limo terre. Il fango nelle mani d'

un

un Dio? Un Dio, che palpa il loto, che s'apa plica a lavorare la creta, a farne una statua, a darle forma, contorni, proporzion, finimento! Ma non bastò, io ripeto, un cenno, un momento a trar l'universo, e gli angioli stessi dal niente? Qual opera prediletta non è adunque, ch'or esce da quelle mani, che lavorasi con lungo studio, che non confidasi ad altri, che parte a parte è organizzata, benchè immobile e taciturna? Gli spettator di tal opera, che son gli angioli soli ad intenderla, parmi vederli attoniti a cotal preferenza su loro stessi di lavorìo. Quali fannosi poi a vedere l'Eterno dal cuor trarsi un respiro, e soffiarlo in volto alla statua? Inspiravit in faciem ejus spiraculum vitæ. Una spirazione di Dio, un soffio della sua vita, un alito del suo spirito Dio divide coll' uomo? Chi può, dicon tra loro, agli occhi nostri negarlo? Ecco ecco quel' fango animato, vivente, divinizzato, Et factus est homo in animam viventem. Oh amore di padre! oh predilezione di figlj! oh anima umana quasi emulandola ripeton gli spiriti sospesi su l'ale. E sovrumano cantico avran certo intuonato a quest' amore, come Giobbe

can

cantollo con enfasi evidentissima così dicendo

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a Dio: : Tu se pur quello, che di tua ma,, no m'hai fatto, (a) e tutto in giro camposto.

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e

Deh ti rammenta che del fango m' hai trat,,to, e in poca polve mi tornerai. E non sè tu che come latte colato m'hai, e di cacio in guisa coaguleto? Di pelle, e di carni tu mi vestisti, d'ossa contesto, di nervi mi festi. E in simili sensi udiam parlar la Sapienza, i Profeti, il Salmista, che lunga opera sarebbe il ripeterli. Ma tacer non vi posso il tenero passo su tal proposito scritto ne' Maccabei di quella donna divinamente filosofa, che della natura, e del sesso maggiore sopra se stessa levandosi assorta nel creatore per fede eroica e per coraggio inaudito sopra ogni umana intrepidità, sopra ogni affetto materno potè ve dere con ciglio asciuto sette suoi figlj in un giorno straziati sotto i suoi occhi e trionfare d'un cuor di madre, che è pure il trionfo, e il miracolo della natura.,, Figli miei, lor diceva, 0 miei figli, io non so come comparsi nel seno mio formati foste l'un dopo l''al

رو

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