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lore prossimità al Sole (cioè al loro perielio), esse ne distano talora di sì poco tratto da sfiorar forse le ultime aure della sua atmosfera. La grande Cometa del 1843 passò tanto vicina al Sole, che la superficie dei due corpi dovette trovarsi, come venne calcolato, alla sola distanza di 13000 leghe francesi. Arago, Leçon xix.

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La coda della Cometa del 1680 fu stimata 36,213,000 leghe, e non meno di 47,801,160 quella della Cometa del 1811; la terra non dista dal Sole che 37 milioni di leghe all'incirca. Somerville, Op. cit. Sect. XXXV.

9 La stella 61.ma della Costellazione del Cigno, delle minori per grandezza apparente, è la prima fra le stelle di cui si giunse nel 1840, dopo lunghi tentativi, ad assegnare con qualche certezza la distanza. Questa è, giusta più recenti e probabili correzioni, di oltre 550 mille volte quella che divide la terra dal Sole; e la luce che se ne parte mette quasi nove anni per giungere fino a noi. Ma ben altrà è la grandezza dei nostri firmamenti siderali. Il telescopio di venti piedi, di Herschel, penetrava in essi a tale profondità, che la luce impiegherebbe due mille anni per giungere di là fino a noi; e ancor più remote, incomparabilmente, sono le Nebulose. -- Humboldt, Cosmos, Part. 111; Art. v. e note relative.

10 Le Nebulose, così chiamate dalla loro apparenza, sono vasti ammassi di stelle, o di materia cosmica, situati fuori dei limiti del nostro sistema siderale. Si dicono Nebulose risolubili quelle, che coi nostri mezzi ottici si giungono a risolvere in stelle distinte; le altre che resistono alla potenza dei nostri strumenti, e che appaiono di materia indistinta, chiamansi diffuse. Dissi appaiono, perchè qualche Nebulosa, che fu giudicata diffusa, divenne risolubile adoperando strumenti di maggior forza. -- Lo studio delle Nebulose è una delle più belle glorie scientifiche dei due celebri William e John Herschel, nomi che ricordano le più splendide conquiste nel campo dell'Astronomia siderale. Il catalogo delle Nebulose è già di 4000; esse veggonsi nel cielo a strati. Gli spazj più poveri di stelle sono i più ricchi di Nebulose. Somerville, Opera citata. Sect. xxxvi. schel, Opera citata. Chap. x11-- - Humboldt, Cosmos. Part. 1.

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· Her

11 Noi pure siamo al centro d'una Nebulosa, che abbraccia i nostri firmamenti, e che, secondo il celebre Scandaglio dei cieli di William Herschel, ha la forma di una macina assai schiacciata, il cui contorno sarebbe tracciato dalla Via lattea, che altro non è se non

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EPISTOLA.

dotto EUGENIO, che le antiche carte
Cerchi con occhio sapiente, e côgli
L'idioma gentil in cui fu pianta
Già la bella Francese 1, perchè mai
Queste misere labbra più non sanno
Il sermone natio temprar con quella
Grazia che molce agli ascoltanti il petto,
E l'ingenuo candor, onde ricinta
Di sua nazion serba le glorie, svela?
Nell'amena nudriti Itala terra,

Usi a discior con tenerello labbro
La paterna parola a cui congiunte
Mille rideano voluttà soavi,

Come perdemmo quel gentile affetto
Che custodir l'eredità dovea

Di cotanto sudor sparsa e di pianto?
Mal si consiglia chi l suo ben non cura,
E a fugace pensier l'anima affida.

Allorchè sorse pudibonda ancella
Dalla superba maestà latina

La parola di Dante, errar s'udia
Misterioso fremito; la lunga

De' secoli catena, ove ravvinte

Gemean Roma ed Atene, alla novella
Prole di lustro era e d'onor cortese;
E riverenti i popoli parea
Salutasser quel giorno al quale eterna
Le genti profetȧr aura di gloria.
Sorsero allora, ed in opre diverse
Sulle carte sacrår fin dalle fasce
La nascente favella i generosi
Che non fêr plauso al delirante volgo;
E di nuove vestita alme sembianze
La dier retaggio ai figli, onde, serbata
A novello splendor, la prima impronta
Tuttor serbasse immacolata e pura.

Pur altra legge ai sapïenti impose
L'ardir de' folli. L'insolente turba
Che si fa nume di consigli insani
Sprezza la nuda maestade antica,
E per uopo miglior scevra il natio,
Lo straniero v'innesta, e da quel labbro

Cui già fe mite una cara favella
Rompe barbaro accento a cui fu madre
Un potente deliro, e a cui ricetto
Dona un gelido cor, ove non batte
Un palpito di gloria, ove sovente
Più che morte s'abborre idolo infame
Che profanò gl'incensi, e che dimane
Starà sull'ara ancor perchè furente
Orgoglio lo precipiti e calpesti.

Brami tu li guardati ir visitando
Alberghi de' potenti? Alla cortese
Gallica leggiadria che borïosa

Spande il suo nume non mirar; lo sale
Che mordendo raffina a largo pasto
Pone la studiata cortesia

Che villano saper biasma e riprova.

Pochi, o gentile, al par di te la cara Favella han prediletta, e queste labbra Che del sorriso lor bearo i cieli Ormai non sanno che l'agreste metro Di barbariche voci aspro e commisto Che stride, e lima dell'udir la brama. Le tue vigilie ti fruttar tesori

Di sapïenza; e coi perenni studi

Mostrasti che in saper mai non s'arriva
S'uom non s'adopri; e che voler la prima
Semplicità fora ignoranza estrema

E in un con essa temeraria impresa,
Quando non s'apran del cercar le vie.

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