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Ed io pur vivo: onde mi doglio, e fdegno,
Rimafo fenza '1 lume ch' amai tanto,
In gran fortuna, e'h difarmato legno.
Or fia qui fine al mio amorofo canto:
Secca è la vena dell' ufato ingegno,
E la cetera mia rivolta in pianto.

SONETTO XXV.

***

Il Sonetto è della fteffa materia del precedente. Si fcufa adunque

che non componga Rime.

S'io aveffi penfato, che sì care

Foffin les voci de' fofpir mie' in rima;
Fatte l'avrei dal fofpirar mio prima
In numero più fpeffe, in ftil più rare.
Morta colei che mi facea parlare,

E che fi ftava de' penfier mie' in cima;
Non poffo; e non ho più sì dolce lima;
Rime afpre, e fofche far foavi, e chiare.
E certo ogni mio ftudio in quel temp' era
Pur di sfogare il dolorofo core

In qualche modo, non d' acquiftar fama:
Pianger cercai, non già del pianto onore.
Or vorrei ben piacer: ma quella altera
Tacito ftanco dopo se mi chiama.

XXXX

SONETTO XXVI.

Della materia del precedente è il prefente Sonetto: cioè, che non può comporre, effendo l' Anima tanto ingombrata dal dolors, che non può fare altro, che fofpirare.

Soleafi nel mio cor ftar bella, e viva,

Com' alta donna in loco umile, e baffo:
Or fon fatt' io per l'ultimo fuo paffo
Non pur mortal, ma morto; ed ella è diva.
L'alma d'ogni fuo ben fpogliata, e priva,
Amor della fua luce ignudo, e caflo
Devrian della pietà romper un faffo:
Ma non è chi lor duol riconti, o fcriva:

Che piangon dentro, ov' ogni orecchia è forda,
Se non la mia; cui tanta doglia ingombra,
Ch' altro che fofpirar, nulla m' avanza.
Veramente fiam noi polvere, ed ombra:
Veramente la voglia è cieca, e 'ngorda:
Veramente fallace è la fperanza.

SONETTO XXVII.

Fa comparazione dello ftato prefente de' fuoi lieti pensier' intorno a Laura, poichè è morta, allo stato paffato, quando era in vita.

Soleano

oleano i miei penfier foavemente

Di lor' obbietto ragionar infieme;

Pietà s' appreffa, e del tardar fi pente:
Forfe or parla di noi, o fpera, o teme.

Poi che l'ultimo giorno, e l'ore eftreme
Spogliar di lei quefta vita prefente;

Noftro ftato dal Ciel vede, ode, e fente:.
Altra di lei non è rimafo fpeme.

O miracol gentile! o felice alma!
O beltà fenza efempio altera, e rara!
Che tofto è ritornata ond' ella ufcío.
Ivi ha del fuo ben far corona, e palma
Quella ch' al mondo sì famofa, e chiara
Fè la fua gran virtute, e 'l furor mio.

SONETTO XXVIII.

Alcuna volta s? era doluto il Petrarca d'effere innamorato, or pareva che fi dovele allegrare d' efferfi liberato dall' amore per la morte di Laura. A fignificare lo innamoramento, del qual fi doleva, prende prigionia, e piaga, e guai. Ripete prigionia, e piaga tre volte, e rifponde una volta a prigionia, a piaga, e a guai. Il Sonetto è pieno d' artifizio.

अ.

mi foglio accufare; ed or mi fcufo;
Anzi mi pregio, e tengo affai più caro;
Dell' onefta prigion, del dolce amaro
Colpo ch'i' portai già molt' anni chiufo.
Invide Parche, sì repente il fufo

Troncafte ch' attorcea foave, e chiaro
Stame al mio laccio, e quell' aurato, e raro
Strale onde morte piacque oltra noftr' uso!

Che non fu d'allegrezza a' fuoi di mai,
Di libertà, di vita alma sì vaga,

Che non cangiaffe 1 fuo natural modo,

Togliendo anzi per lei fempre trar guai,
Che cantar per qualunque, e di tal piaga
Morir contenta, e viver in tal nodo.

SONETTO XXIX.

Narra il gran danno ricevuto per la morte di Laura, e promette, fe ha vita, di celebrarla.

Due

ue gran nemiche infieme erano aggiunte,
Bellezza, ed Oneftà, con pace tanta,
Che mai rebellion l'anima fanta

Non fentì poi ch' a ftar feco fur giunte:
Ed or per morte fon fparfe, e difgiunte:
L'una è nel Ciel, che se ne gloria, e vanta:
L'altra fotterra, ch' e' begli occhi ammanta
Ond' uscir già tante amorose punte.
L'atto foave, e 'l parlar faggio umíle,

Che movea d'alto loco, e'l dolce fguardo,
Che piagava 'l mio core, ancor l'accenna;
Sono fpariti: e s'al feguir fon tardo,
Forfe avverrà che 'l bel nome gentile
Confacrerò con questa stanca penna.

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SONETTO XXX.

Confiderazione della 'nfelicità del fuo ftato, o confideri il tempo, che Laura viveva, o il tempo dopo la fua morte.

Qu

uand' io mi volgo indietro a mirar gli anni
C' hanno fuggendo i miei penfieri fparfi;
E spento 'l foco ov' agghiacciando i' arfi;
E finito 'I ripofo pien d'affanni;

Rotta

Rotta la fè degli amorofi inganni;

E fol due parti d'ogni mio ben farfi,
L'una nel Cielo, e l' altra in terra starfi;
E perduto 'I guadagno de' miei danni;
I' mi rifcuoto; e trovomi sì nudo,

Ch'i' porto invidia ad ogni eftrema forte;
Tal cordoglio, e paura ho di me stesso.
O mia ftella, o Fortuna, o Fato, o Morte,
O per me fempre dolce giorno, e crudo,
Come m'avete in baffo ftato meffo!

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SONETTO XXXI.

Ricerca le più nobili parti di Laura partitamente, ed alla fine Laura, e non la trovando grida che manca affai al Mondo, e a gli occhi fuoi.

Ovè la fronte che con picciol cenno

Volgea 'l mio core in quefta parte, e 'n quella? Ov' è 'l bel ciglio, e l'una e l'altra ftella Ch' al corfo del mio viver lume denno? Ov' è'l valor, la conofcenza, e 'l fenno, L'accorta, onefta, umíl, dolce favella? Ove fon le bellezze accolte in ella,

Che

gran tempo di me lor voglia fenno?
Ov'è l'ombra gentil del vifo umano;
Ch' óra, e ripofo dava all' alma flanca,
E là 've i miei pensier fcritti eran tutti?
Ov' è colei che mia vita ebbe in mano?

Quanto al mifero mondo, e quanto manca
A gli occhi miei! che mai non fieno asciutti.

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