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CAPITOLO XV.

Lettera di Bonifazio VIII al Vescovo e all'Inquisitore di Firenze. — Invio del Cardinale d'Acquasparta. — Elezione di Dante al Priorato. Esilio dei Bianchi e dei Neri. - Partenza del Cardinale.— Il giubileo del 1300.- Testimonianza di Giovanni Villani. - Il nuovo prestigio del Papato. - Conflitto tra la Santa Sede e il Re di Francia. Conciliazione. Nuove agitazioni in Firenze e in Pistoia. Odio dei Neri contro l'Alighieri. — Nuovi uffici di lui. - Rinnovamento delle discordie fiorentine. - Fiera rampogna di Dino Compagni. - Cospirazione e condanne. - Arrivo di Carlo di Valois in Italia.

Otto giorni dopo dall'ambasceria di Dante in San Gemignano, cioè il 15 maggio 1300, Bonifazio XIII, capendo essere stata un'allusione alla sua persona l'accenno fatto negli ultimi Consigli fiorentini, in cui si parlava del pericolo che correva la Repubblica per le molte e pericolose novità, le quali apparivano internamente e venivano anche di fuori, tam introrsum, quam etiam de foris venientes (1), scrisse da Anagni al Vescovo e all'Inquisitore di Firenze una severissima lettera. In essa rimproverava i reggitori

1) Cfr. PASQUALE VILLARI. Op. cit. cap. IX, p. 446.

della Città, i quali, per ritrarre il popolo dall'ubbidienza alle Somme Chiavi, andavano spargendo che il Papa intendeva togliere a Firenze le proprie giurisdizioni e scemarne la libertà, mentre invece voleva accrescerle (1). La Signoria prudentemente tacque; ma perseverò nei suoi propositi. I Neri se ne impensierirono, temendo che la parte bianca, la quale essi chiamavano ghibellina, non pigliasse il sopravvento. Inviarono allora ambasciatori in Roma, invocando la protezione ponteficia. Bonifazio appagò il loro desiderio, e mandò come suo legato il Cardinale Matteo d'Acquasparta, il quale giunse a Firenze nei primi di giugno del 1300. Venne ricevuto con grande onore, e gli furono tributate festose accoglienze. Stabilito il suo soggiorno, chiese di poter fare gli accordi fra le parti avversarie, proponendo che i Signori si traessero a sorte, per evitare così i continui tumulti che seguivano ad ogni elezione (2). I seguaci dei Cerchi e dei Donati, << ch'erano degni d'esser priori », dovevano mettersi << in un sacchetto a sesto a sesto, trargli di due in due come la ventura venisse » (3). I Fiorentini se ne mostrarono lietissimi, fecero al Cardinale grandi profferte, ma non gli permisero di potere far nulla.

Dante, compiuto allora il trentacinquesimo anno, l'età richiesta dalla legge, il 14 giugno 1300 veniva eletto al priorato. Suoi compagni nell'alto ufficio furono Noffo di Guido Buonafedi, Neri di messer Jacopo del Giudice Alberti, Nello d'Arrighetto Doni, Bindo di Donato Bilenchi e Ricco Falconetti. Era Gonfaloniere di Giustizia Fazio

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI. Op. cit. ibid. p. 447.

(2) Cfr. PASQUALE VILLARI. Op. cit. ibid.

(3) Cfr. GIOVANNI VILLANI. Op. cit. Tom. III, lib. ottavo, capitolo XL.

da Micciolle, e notaio della Signoria era ser Aldobrandino d'Ugoccione da Campi (1). La durata della nomina era di due mesi, e cominciava alla metà del mese in cui era avvenuta l'elezione; Dante perciò entrò in carica il 15 giugno. Il 23 dello stesso mese, vigilia di San Giovanni, i Grandi, vogliosi di abbattere la democrazia fiorentina, si sollevarono contro il popolo, assaltarono i Consoli delle Arti, che furono manomessi e battuti, dicendo loro: Noi siamo quelli che demmo la sconfitta in Campaldino; e voi ci avete rimossi dagli uffici e onori della nostra città » (2).

La Signoria volle colpire i colpevoli, e Dante mostrossi severissimo e inesorabile contro i perturbatori della Repubblica, amici o avversari, Bianchi o Neri, compagni della sua giovinezza o congiunti del suo casato. La giustizia anzitutto, la tutela della libertà civile la ferma difesa del popolo e delle istituzioni cittadine. Questo volle con risolutezza coraggiosa, e fu subito attuato. Il domani della festa di San Giovanni, i capi delle due fazioni erano mandati ai confini. Corso e Sinibaldo Donati, Rosso e Rossellino della Tosa, Giachinotto e Pazzino de' Pazzi con altri consorti venivano relegati al Castel della Pieve; e della parte avversa dovevano recarsi a Sarezzano messer Gentile e messer Torrigiano, Carbone de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baschiera della Tosa, Baldinaccio Adimari e Naldo Gherardini (3), i quali lasciarono tosto Firenze. I Neri, all'opposto, erano riluttanti, e solo cedendo

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI, Storia della Vita di Dante Alighieri. Op. cit. cap. V, p. 119.

(2) Cfr. DINO COMPAGNI, La Cronaca Fiorentina. Op. cit. libro primo, p. 24.

(3) Cfr. DINO COMPAGNI. Op. cit. ibid.

alle minacce di più grave castigo andarono a Castel. della Piave, nel Perugino (1). Si disse allora che avevan osato resistere, perchè, d'accordo con il Cardinale d'Aquasparta, aspettavano dai Lucchesi aiuti, i quali non vennero per volere dei Fiorentini, che ne avevan mandato avviso a quei cittadini. In quella congiuntura molto si palesò la volontà del Legato Pontificio, perchè « la pace ch' egli cercava era per abbassare la parte de' Cerchi e innalzare la parte dei Donati » (2). Ciò dispiacque assai; il popolo tirò colpi di balestra alle finestre del vescovado, dove alloggiava il Cardinale. Uno di quei quadrelli restò infisso nell'asse del soffitto, di che il Legato si spaventò, e recossi oltr'Arno, in casa di messer Tommaso dei Mozzi per più sicurtà (3). Disgustato però di quel ch'era avvenuto, « ne prese sdegno e tornossi a corte », lasciando « la città di Firenze scomunicata e interdetta (4).

Nel luglio del 1300 egli giungeva a Roma, la quale era in esultanza religiosa per il centenario pellegrinaggio dei Cristiani, Bonifazio VIII, nel vedere quello straordinario concorso, volle santificarlo, indulgendo generale perdonanza a chiunque visitasse nell'Eterna Città certe chiese da lui indicate; e appellò quella festa col nome storico di Giubileo, somigliandolo a quello degli Ebrei, che rimetteva i debiti (5).

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI, I primi due secoli della storia di Firenze. Op. cit. cap. IX, p. 448.

(2) Cfr. DINO COMPAGNI. Op. cit. lib. primo, p. 24.

(3) Cfr. DINO COMPAGNI. Op. cit. ibid.

(4) Cfr. GIOVANNI VILLANI. Op. cit. tomo III, libro ottavo, capitolo XL.

(5) Cfr. CESARE CANTÙ, Storia universale. Op, cit. tomo sesto, libro decimoterzo, cap. VI, p. 551 e seg.

Nell'antico Testamento si legge: Il Signore parlò a Mosè sul monte Sinai e disse: Parla ai figliuoli d'Israele e di' loro: Quando voi sarete entrati nella terra di cui darovvi il dominio, la terra faccia il sabato in onore del Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo, e per sei anni poterai la vigna, e ne raccorrai i frutti. Ma il settimo anno sarà per la terra il sabato del riposo del Signore non seminerai il campo e non poterai la vigna. Non mieterai quello che la terra spontaneamente produrrà, e non raccoglierai, come per farne vendemmia, le uve, delle quali tu offerivi le primizie: perocchè egli è l'anno di requie per la terra. Ma ve ne ciberete tu e il tuo servo, la serva e gli operai tuoi, e i forestieri che dimoran tra voi; e servirà tutto quello che nasce a nutrire i tuoi giumenti e bestiami. Conterai parimente sette settimane d'anni, vale a dire sette volte sette, che fanno in tutto quarantanove anni; e il settimo mese ai dieci del mese, nel tempo dell'espiazione, farai sonare la tromba per tutto il mese. E santificherai l'anno cinquantesimo, e annunzierai la remissione a tutti gli abitanti del tuo paese perocchè egli è l'anno del giubileo. Ognuno tornerà alle sue possessioni, e ognuno tornerà alla sua famiglia, perchè l'anno cinquantesimo è l'anno del giubileo. Voi non farete la sementa e non mieterete quello che sarà nato spontaneamente pei campi e non coglierete le primizie della vendemmia per santificare il giubileo, ma voi mangerete quello che vi si parerà davanti. L'anno del giubileo, tornerà ciascuno nei suoi beni » (1). Grande era il gaudio; provvidi e copiosi erano altresì i benefici. Gli schiavi ricuperavano la libertà; chi aveva venduto o impegnato le proprie sostanze rientrava nel primitivo

(1) Cfr. Il Libro del Levitico, cap. XXV, 1-13.

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