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coraggioso e integerrimo magistrato della Repubblica. Senza inquietitudine però e senza titubanze, egli continuava ad adempire il suo dovere. Terminata il 16 agosto del 1300 la sua carica di priore, ed eletto a novelli uffici, il 14 aprile del 1301, e il 19 giugno e il 13 settembre dello stesso anno, discuteva nel Consiglio delle Capitudini ed in quello dei Cento (1), animato sempre dalla stessa fede nella grandezza della Patria e delle libere istituzioni, che voleva fossero conservate democraticamente integre e salde. Le sfrenate ambizioni de' Grandi ostacolavano però il conseguimento di cotesto altissimo fine, reso più arduo dalle rinate discordie civili e dallo scoppio furente dei capiparte, contro cui udivasi con amaro sarcasmo la voce di Dino Compagni. << Levatevi -- diceva loro o malvagi cittadini pieni di scandali, e pigliate il ferro e il fuoco con le vostre mani, ed istendete le vostre malizie. Palesate le vostre inique volontà e i pessimi proponimenti, non penate più: andate e mettete in ruina le bellezze della vostra città. Spandete il sangue de' vostri fratelli, spogliatevi della fede e dell'amore, nieghi l'uno all'altro aiutoe servigio. Seminate le vostre menzogne, le quali empieranno i granai dei vostri figliuoli. Fate come fe' Silla nella città di Roma, che tutti i mali che esso fece in dieci anni, Mario in pochi di li vendicò. Credete voi che la giustizia di Dio sia venuta meno? pur quella del mondo rende una per una. Guardate a' vostri antichi, se ricevettono merito nelle loro discordie: barattate gli onori che eglino acquistarono. Non v'indugiate, miseri, chè più si consuma in un dì nella guerra, che molti anni non

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI, Storia della vita di Dante Alighieri. Op. cit. Illustrazioni e documenti al cap. quinto, p. 135 e seg.

si guadagna in pace; e piccola è quella favilla che a distruzione mena un gran regno > (1).

L'accorata e acerbissima rampogna del grande Cittadino era una voce nel deserto; gli odii e le zuffe continuavano, ed i Fiorentini muovevan gli uni contro gli altri con rabbioso furore. Fuori della Città, s'infamavano << per le terre vicine e in Corte di Roma », e maggior danno recavano le parole falsamente dette, « che le punte dei ferri » (2) in Firenze. I Neri tramavano con astuta avvedutezza, bramosi di venir tosto alle armi. Il Papa, esortato da essi, da Corso Donati, da messer Geri Spini e dai compagni di banco di costui, ch'erano suoi mercadanti (3), sollecitava a muoversi di Francia in Toscana Carlo di Valois, chiamato in aiuto anche da Carlo II d'Angiò nella lotta che sosteneva contro i Siciliani, rimasti fedeli a Federigo II d'Aragona. Il fratello di Filippo il Bello era audace e crudele soldato. L'anno 1294, durante la guerra di Guascogna, aveva fatto impiccare sessanta cittadini, e trucidare gli abitanti di Réole, nel dipartimento della Gironda, dopo che avevan deposte le armi. Nei primi mesi del 1300 era andato in Fiandra, ove aveva rinnovato le sue scelleratezze, coprendosi di nuove infamie. Dopo ciò, veniva in Italia, in aiuto al re di Napoli e colla missione di pacificare la Toscana, sicuro di indurre « colla sua forza la città di Firenze al suo intendimento » (4).

I Neri speravano in lui per abbattere il popolo e

(1) Cfr. Op. cit. Libro secondo, p. 30.

(2) Cfr. Op. cit. ibid.

(3) Cfr. GIOVANNI VILLANI. Op. cit., tomo III, lib. ottavo, capitolo XLIII.

(4) Cfr GIOVANNI VILLANI. Op. cit. ibid.

mettere in fuga i Bianchi: e si davano un gran da fare in Città, e nel contado. Avevano avuto varie e concitate adunanze; ma più agitata e tumultuosa era stata quella tenuta nel giugno del 1301 in Santa Trinita, per rinnovare le loro istanze presso il Papa, acciocchè affrettasse l'arrivo di Carlo di Valois, il quale doveva pigliare le loro difese e rimetterli in istato, dichiarandosi pronti a cooperarvi con qualunque sacrificio (1). Venuta a conoscenza di ciò, la Signoria pronunziò subito varie condanne contro i cospiratori. Messer Corso, assente, fu condannato nell'avere e nella persona; alcuni suoi consorti vennero confinati, ed altri dovettero pagare una grave ammenda (2).

Durante coteste condanne, Carlo lasciava la Francia e valicava poscia le Alpi, attratto in Italia dai bagliori dell'oro fiorentino e dalla smania di cingere la corona regia o d'assurgere alla suprema dignità imperiale. Dopo esser arrivato in Parma, giungeva a Bologna nei primi d'agosto del 1301, dove trovò ambasciatori dei Bianchi e dei Neri, che gli fecero liete accoglienze e lusinghiere profferte. Recossi indi con cinquecento cavalieri in Anagni, e quivi vide re Carlo di Napoli con cui si accordò per la guerra di Sicilia. Il Papa nominollo Conte di Romagna, e poi, paciero in Toscana.

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI, I primi due secoli della storia di Firenze. Op. cit. cap. IX, p. 449.

(2) Cfr. PASQUALE VILLARI. Op. cit. ibid. p. 450.

CAPITOLO XVI.

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Apprensione dei Blanchi. - Lavio d'un'ambasceria a Roma. - Arrivo di Carlo di Valois. - Jitorno e sopravvento di Corso Donati. -- 1 malgoverno di Cane de Gabrielli - L'incrudelire dei nemici di Dante. - A case e coodanna.

I guelfi bianchi erano in grande apprensione per l'imminente arrivo di Carlo di Valois, da cui nulla speravano di bene. Per recare pronti rimedi ai possibili mali che sarebbero stati prodotti dall'intervento straniero negli affari interni della Repubblica, ed affine di potere scon giurare novelle sventure, il 13 settembre 1301, presente l'Alighieri, si adunarono nel Palazzo del Podestà insieme con i vari Consigli per discutere intorno alla conservazione degli Ordinamenti di Giustizia e degli Statuti del Popolo (1). Fu giudicato opportuno non proporre nessuna riforma, affidando tutto alla sagezza dei magistrati repubblicani, che erano vigili custodi delle istituzioni cittadine. Dante raccomandò la concordia e l'osservanza

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI, I primi due secoli della storia di Firenze. Op. cit. p. 450 e seg.

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delle leggi; diffidò apertamente dei supposti e sperati aiuti che avrebbe recati il fratello del re Filippo, in cui non vide che un avventuriero, e sostenne perciò di ricusare ogni sua richiesta e non dargli alcun potere. Questo gli nocque molto e accrebbe l'animosità dei Donati contro di lui. I priori frattanto, vedendo che i Neri coll'attendere in Firenze il principe francese non miravano che a sconvolgere la Città, e forse a procurarne la rovina con la dispersione dei loro avversari, verso la fine di settembre o ai primi d'ottobre (1), si pensò d'inviare al Papa un'ambasceria per rimuoverlo dal divisamento di mandare Carlo come paciero. Nel deliberare chi dovesse guidarla, con unanime consenso fu proposto il nome di Dante. Egli, tosto impensierito, disse: «Se io vo, chi rimane? e se io rimango, chi va ? » (2). Vinta però ogni titubanza, accettò il mandato e fu il capo dei legati politici. Gli altri erano messer Ubaldino Malavolti, giudice senese, nocivo uomo, pieno di cavillazioni (3); Maso di messer Ruggierino Minerbetti, fiorentino, falso popolano, seguace non della propria, ma dell'altrui volontà, e il Corazza da Signa, il quale tanto si reputava guelfo, che a pena credea che nell'animo di niuno quella parte fosse altro che spenta » (4). Giunti essi in Roma, Bonifazio, come gli ebbe soli in camera, disse loro: «Perchè siete voi così ostinati? Umiliatevi a me. Ciò vi dico in verità, ch'io non ho altra intenzione che di vostra pace. Tornate in

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI, Storia della vita di Dante Alighieri. Op. cit. capitolo quinto, p. 124.

(2) Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Vita di Dante, cap. XII. (3) Cfr. DINO COMPAGNI, La Cronaca Fiorentina. Op. cit. lib. secondo, p. 32.

(4) Cfr. DINO COMPAGNI. Op. cit. ibid. p. 38.

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