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CAPITOLO I.

Fallita impresa di Carlo di Valois in Sicilia. - Fine della guerra del Vespro. — Irrequietezze in Toscana. — Convegni degli esult fiorentini. - Conflitto in Mugello. — Mire ambiziose di Corso Donati. - Opposizione degli avversarii - Inizio delle peregrinazioni di Dante. Angustie della moglie e dei figli di lui. -Entrata delle soldatesche francesi in Anagni. Il Papa olfraggiato. Ira del popolo. Partenza di Bonitazio VIII. Trionfali accoglienze in Roma. -- Sua morte. -- Cenno sull'ultimo conflitto con Filippo il Bello.

La sentenza del 10 marzo segnava la fine della giovinezza di Dante incominciata spiritualmente colla vista di Beatrice, terminava colla minacciata apparizione del rogo. Seguì poscia la vita di proscritto e di profugo dell'Alighieri, vissuta tutta nell'esilio, e resa assai aspra e tormentosa dagli uomini, dalla sorte, dai nuovi eventi della storia d'Italia, incominciati al sorgere del secolo XIV.

Carlo di Valois, dopo aver lasciata la Toscana nella primavera del 1302. dava compimento alla sua opera nefasta nel mezzogiorno della Penisola. Bonifazio VIII s'era già accorto d'essersi ingannato sul conto di lui. e

vide con tristezza fallite le sue prime speranze. Ciò non ostante, confidava nel valore di Valois, divenuto troppo potente per i Neri, di cui erasi fatto capo; e, non po tendolo più frenare, nè spingerlo fuori, nè rimandarlo in Francia, perchè avrebbe perduto tutto l'oro donatogli per decime racolte e per largizioni 1, tentò d'avvantaggiare gl'interessi della Chiesa con la sua participazione al conflitto angioino aragonese, che travagliava duramente la Sicilia. Alle armi preparate, il Papa aggiunse tutto il suo apppoggio morale per la riuscita dell'impresa: diè piena autorità al vescovo di Salerno, legato pontificio, e accordò spirituali benefici a tutti coloro che morissero nei combattimenti di Sicilia o combattessero fino alla compiuta vittoria (2).

I soldati del Valois ebbero aiuti e incoraggianti promesse del Carlo II d'Angiò re di Napoli. il quale con vocava a parlamento i magistrati civili delle città soggette, acciocchè dessero il loro soccorso alle spese della guerra contro Federigo d'Aragona, per la quale aveva anche chiesto sussidi al Papa e agli amici, e creava Carlo di Valois capitan generale nell'isola di Sicilia, gli conferiva pieni poteri di render la grazia regia ai sudditi ribelli, reintegrandoli in tutte le loro facoltà, dignità e onori perdurati. Gli accordava altresi la facoltà di assolvere i ladri del pubblico denaro rubato e di perdonare agli assassini i misfatti commessi. Era uno dei mezzi per vincere, abbattere la Sicilia, e assicurare durevolmente

(1 Cfr. D. LUIGI TOSTI, Storia di Bonifazio VIII e dei suoi tempi. Vol. II. Libro quinto, p. 116. Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1886.

(2 Cfr. MICHELE AMARI, La Guerra del Vespro, nona edizione. Vol. II. capo decimonono, p. 445. Ulrico Hoepli. Milano, 1886.

il trionfo della Casa d'Angiò. In Napoli erano pronti più di cento legni grossi, torme numerose di cavalli e moltissimi baroni francesi con Roberto e Ramondo Berengario, figlioli di Carlo. Era il sesto formidabile sforzo che i medesimi potentati facevano contro la Sicilia, contandosi già l'anno ventesimo della guerra del Vespro (1). La lotta si riaccese e divampò con accanita violenza, dopo i primi facili successi degli avventurieri francesi (2). Città e castella furono prese e poi dai nemici ritolte, vennero saccheggiate campagne, distrutti villaggi, numerosi soldati e duci e popolani uccisi (3). La ribaldaglia guerriera del Valois imbaldanziva altezzosa in Termini, a Caccamo, in Corleone. Trapassando il conflitto alla costiera meridionale dell'Isola, fu posto il campo nemico a Sciacca. L'annunzio dell'assedio non sbigotti quei cittadini, capitanati da Federigo d'Incisa, anzi si rallegrarono di poter così mostrare la loro virtù a tutta la Sicilia. Rafforzarono la città con bastioni e fossi, e in tutti i modi s'apprestarono a combattere senza tregua. Gli assedianti facean giocare le loro macchine, davano spessi assalti. a cui resistevano intrepidi i difensori della città, confortati dalla vicinanza del re Federigo d'Aragona, ch'era andato a porsi coi suoi fanti a Caltabellotta, discosto nove miglia da Sciacca. Egli infervorò gli animi dei cittadini, e molti duri colpi n'ebbero le genti collegate. Più danno però patirono dallo stare in maremma, sotto l'arsura del sol

1 Cfr. MICHELE AMARI. Op. cit. ibid. p. 456.

12) Cfr. Opere èdite ed inedite di NICCOLÒ PALMERI. Somma della storia di Sicilia, cap. XXXV, p. 767, Volume unico. Palermo, Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante, 1883.

(3) Cfr. Compendio della Storia di Sicilia del P. PIETRO SANFILIPPO della Compagnia di Gesù, p. 237. Palermo, Stamperia di Giovanni Pedone, 1843.

lione (1). Una pestilenza cominciò a manifestarsi 2. e furiosamente scoppiò nel campo la mortalità dei cavalli, e con essi perivano anche i cavalieri. Federigo, lasciando a quel modo distruggere l'esercito nemico. comandava l'adunata di tutte le milizie feudali e cittadinesche a Corleone, per condurle poscia a sicura vittoria.

Il Valois come ciò seppe, parendogli fuga se. lasciato l'assedio, si rimbarcasse, e inevitabile danno se aspettasse l'assalto delle schiere siciliane, pensò di trarsene fuori mercè una sollecita pace, con il consenso di Roberto d'Angiò, che mostrossi riluttante. Carlo però gli rammentò tutte le vicende della guerra siciliana, l'oro e il sangue inutilmente sparsi, e il dileguarsi di ogni speranza di vittoria per essere già stracco il reame di Napoli, esausto l'erario pontificio. caduta la riputazione delle armi angioine e rialzata quella di Federigo, il quale poteva riassaltare le Calabrie. conturbare il regno e ac cendere il fuoco nell'Italia settentrionale col favore dei Ghibellini (3. Non queste considerazioni, ma lo stato dell'esercito persuasero il giovane Roberto a desistere dalla lotta. Allora Carlo mandò Amerigo de Sus e Teobaldo de Cippoio da Federigo. il quale erasi recato a Castronovo per mettere insieme le sue genti. Egli accettò la proposta di pace il 19 agosto, e volle che venissero ad abboccamento con lui il Valois e Roberto d'Angiò. Cinque giorni dopo, tra Caltabellotta e Sciacca. in certe capanne di bifolchi, si trovarono Federigo d'A ragona e Carlo di Valois, e poi fu chiamato il re Roberto. Stabiliti i preliminari dell'accordo. firmarono il 29

(1) Cfr. MICHELE AMARI. Op. cit. cap. decimonono, p. 460.
(2) Cfr. NICCOLÒ PALMERI. Op. cit. cap. XXXV, p. 768.
(3) Cfr. MICHELE AMARI. Op. cit. ibid. p. 461.

agosto 1302. e il 31 dello stesso mese giurarono la pace (1).

Restava a Federigo la Sicilia con le isole attigue. da tenerla, finchè vivesse, da sovrano assoluto, indipendente da Napoli e dal Papa, col titolo di re dell'isola di Sicilia o re di Trinacria, qual fosse più gradito a Carlo II. Darebbe costui la figlia Eleanora in moglie a Federigo ai loro figliuoli si procaccerebbe il reame di Sardegna o di Cipro, si pagherebbero cento mila once d'oro, e allora lascerebbero la Sicilia. Altre condizioni, da ambo le parti, furono proposte e approvate, e fu questo il trattato di Caltabellotta con cui terminava la guerra del Vespro. Molto onore n'ebbero il re Federigo e la Sicilia. L'Isola eroica, dopo vent'anni di lotta, usciva gloriosa dal fiero conflitto, e vinto restava l'esercito angioino, umiliato il superbo e crudele Valois. Tutte le fazioni d'Italia incominciarono a lacerarne il nome, beffandolo con asprezza di parole e di motteggi. Era andato in Toscana a metter la pace, in Sicilia a far guerra, e aveva lasciato la guerra in Toscana e vergognosa pace in Sicilia (2).

Le iniquità fatte commettere contro l'Alighieri da Cante de' Gabrielli ne rendevano più detestabile il ricordo. Per effetto del suo malgoverno, che scatenò il selvaggio furore de' Neri, Dante fu vittima di due condanne, dovette distaccarsi da Firenze e intraprendere la via dell'esilio, in cui cominciò il lungo martirio della sua vita. Egli però, ben tetragono ai colpi di ventura (3), con altero animo si era posto in faccia al suo destino, ed

(1) Cfr. MICHELE AMARI. Op. cit. ibid. p. 462 e seg.
(2) Cfr. MICHELE AMARI. Op. cit. ibid. p. 466.

3) Cfr. PARADISO, canto XVII, v. 24.

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