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dentro vi si trovò. E' vero che temendosi questo, la donna di Dante (1), la qual fu chiamata madonna Gemma, per consiglio d'alcuni amici e parenti aveva fatti trarre della casa alcuni forzieri con certe cose più care, e con iscritture di Dante, e fattigli porre in salvo luogo: e oltre a questo, non essendo bastato l'aver le case rubate, similmente i parziali più possenti occuparono chi una possessione e chi un'altra di quei condennati; e così furono occupate quelle di Dante: ma poi passati ben cinque anni o più, essendo la città venuta a più convenevole reggimento, che quello non era quando Dante fu condennato, dice le persone cominciarono a domandare loro ragioni. chi con un titolo e chi con un altro, sopra i beni stati de' ribelli, ed erano uditi; perchè fu consigliata la donna che ella almeno con le ragioni della dota sua dovesse de' beni di Dante raddomandare. Alla qual cosa disponendosi ella, le furon di bisogno certi strumenti e scritture quali erano in alcuno de' forzieri, i quali ella in su la furia del mutamento delle cose aveva fatti fuggire, nè poi mai gli aveva fatti rimuovere del luogo dove disposti gli aveva: per la qual cosa, diceva questo Andrea, che essa aveva fatto chiamare lui, siccome nepote di Dante, e fidategli le chiavi de' forzieri, l'aveva mandato con un procuratore a dovere cercare delle scritture opportune: delle quali mentre il procuratore cercava, dice, che avendovi più altre scritture di Dante, tra esse erano più sonetti e canzone e simili cose: ma tra l'altre che più gli piacquero, dice fu un quadernetto, nel quale di mano di Dante erano scritti i precedenti sette canti 2); e però presolo, e recatosenelo, e una volta ed altra rilettolo, quantunque poco ne intendesse, pur diceva gli parevan bellissima cosa; e però diliberò di dovergli portare, per sapere quello che fossono, ad un valente uomo della nostra città, il quale in que tempi era famosissimo dicitore in rima, il cui nome fu Dino di messer Lambertuccio Frescobaldi; il qual Dino, essendogli maravigliosamente piaciuti, e avendone a più suoi amici fatta copia, conoscendo l'opera piuttosto iniziata che compiuta, pensò che fossero da dover rimandare a Dante, e di pregarlo che seguitando il suo proponimento, vi desse fine. E avendo investigato e trovato che Dante era in quei tempi in Lunigiana con uno nobile uomo dei Malespini, chiamato il Marchese Moroello, il quale era uomo intendente, e in singularità suo

(1) Cioè la moglie, Gemma di Manetto Donati.

(2) I primi sette canti dell'Inferno.

amico; pensò di non mandargli a Dante, ma al marchese, che glieli manifestasse e mostrasse, e così fece; pregandolo che in quanto potesse, dèsse opera che Dante continuasse la impresa, e se potesse la finisse. Pervenuti adunque i setti canti alle mani del marchese, ed essendogli maravigliosamente piaciuti, gli mostró a Dante; e avendo avuto da lui che sua opera erano, il pregò gli piacesse di continuare l'impresa: al qual dicono che Dante rispose: lo estimava veramente che questi con altre mie cose e scritture assai, fossero, nel tempo che rubata mi fu la casa, perduti, e però del tutto n'avea l'animo e il pensiero levato: ma poichè a Dio è piaciuto che perduti non sieno, ed hammegli rimandati innanzi, io adopererò ciò che io potrò di seguitare la bisogna, secondo la mia disposizione di prima; e quinci rientrato nel pensiero antico, e riassumendo la intralasciata opera, disse in questo principio del canto ottavo: Io dico seguitando,... (1).

Dante non rientrò affatto nel pensiero antico > di continuare l'opera della Commedia, concepita già e vivente nel suo spirito sin dalla morte di Beatrice; iniziata poscia al principio dell'esilio e proseguita fino al termine. della sua tempestosa esistenza. Egli dovette rispondere in altro modo a Moroello Malaspina nel momento in cui gli mostrava i rinvenuti canti, che forse erano un abbozzo, traccia o segno d' una primitiva ispirazione, rimasta nell'obliato quadernetto.

(1) Cfr. Il Comento di GIOVANNI BOCCACCIO sopra la Commedia con le annotazioni di A. M. Salvini, preceduto dalla vita di Dante Alighieri scritta dal medesimo, per cura di Gaetano Milanesi, vol. II, lezione trentesimoterza, canto ottavo, p. 129 e seg. Firenze, Felice Le Monnier, 1863.

Dante nel Casentino.

CAPITOLO IV.

Nuove lotte intime. - Epistola a Moroello Malaspina. - Partenza. - Arrivo a Forli. Ritorno in Lunigiana. Visita al Monastero del Corvo.

Non occorse a Dante, come abbiamo osservato, la vista del rinvenuto manoscritto per rammentarsi della Commedia e proseguirne la composizione. Egli di già attendeva all' opera sua, e in Lunigiana gli fu dato di poter continuare con minor disagio l'Inferno, dal deci mottavo al vigesimosesto canto (1). affrettando in tal modo la fine della prima Cantica. Quanto tempo rimanesse presso i Malaspina non si sa con esattezza (2); ma non breve dovette essere la sua dimora. Incominciata a Sarzana nell' ottobre del 1306, si protrasse in Mulazzo e in Villafranca forse fino al declinare del 1307.

(1) Cfr; CARLO TROYA, Del Veltro allegorico di Dante. Opera cit. p. 84.

(2) Cfr. PIETRO FRATICELLI, Storia della Vita di Dante Alighieri. Op. oit. cap. sesto, p. 174. ADOLFO BARTOLI, Storia della letteratura italiana. Op. cit. Della Vita di Dante, p. 180.

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In Mulazzo indicasi tuttora una torre e una casa col nome di lui (1), in memoria del suo soggiorno.

Lasciata la Lunigiana, Dante recossi nel Casentino, nel più elevato bacino dell' Arno, ove sorgono i celebri monasteri di Vallombrosa e di Camaldoli. Quivi respirò aure più miti, sentì venirgli incontro i freschi effluvi della nativa regione, e dai colli ridenti dell'ospitale contrada con trepida ansia rivolse il pensiero ai suoi cari, alla sospirata Firenze. Quanti ricordi e quanti dolori ! Per rendere meno acuto l'interno affanno meditava e scriveva, irrequieto ed errabondo. Fece per alcun tempo dimora nei castelli dei Conti Guidi, e più specialmente in quello di Poppi o piuttosto di Pratovecchio, presso il Conte Guido Salvatico (2). Non trovava però la desiderata calma in quelle rocche feudali, e vagava per altri siti, sospinto da una forza irresistibile ed acceso da un vivo fuoco che gl'infiammava il cuore. Una novella passione si era ridestata in lui, e, divenuto prigioniero d'amore, nulla da sè potè più nè fare nè pensare. Ciò svelò in un'epistola indirizzata a Moroello Malaspina (3), e confidò con tristezza alla canzone dettata sui monti del Casentino:

O montanina mia canzon, tu vai;
Forse vedrai Fiorenza la mia terra,
Che fuor di sè mi serra,

Vôta d'amore, e nuda di pietate:

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI. Op. cit. ibid.

(2) Cfr. La Divina Gommedia, illustrata da Gustavo Dorè con l'introduzione e il commento di Eugenio Camerini, p. 10, Casa Editrice, Sonzogno, Milano.

(3) Cfr. Il Convito di Dante Alighieri, e le Epistole, con illustrazioni e note di Pietro Fraticelli e d'altri, ottava edizione. Opera cit. Epistola III, p. 430.

Se dentro v'entri, va' dicendo: Omai
Non vi può fare il mio signor più guerra;
Là, ond'io vegno, una catena il serra
Tal, che se piega vostra crudeltate,

Non ha di ritornar più libertate (1).

Chi fosse la bella casentinese e quanto durasse l'amore di Dante per lei è vano cercare (2). Egli però seppe liberarsene, e, riacquistato il dominio di se stesso, lasciò il Casentino e ricominciò la sua vita randagia. Ma dove e come e con quali mezzi? Chi gli mostrò aspetto d'amico, e seppe prevenirne i bisogni, e apprestargli solleciti aiuti? Credesi d'essersi recato nuovamente a Forlì, presso Scarpetta degli Ordelaffi (3), signore di quella città, e probabilmente fu suo segretario. o, come dicevasi notario, tra il 1307 e il 1308, fino all'agosto di quell'anno (4). Volle porsi ai servigi di lui per attestargli la propria gratitudine e sentir meno il peso dell'esilio, che lo costringeva a dover chiedere un tetto ospitale e il quotidiano sostentamento. Quanto strazio nell'anima sua sdegnosa, e quanti sforzi per vincere la nativa fierezza! Sapeva soffrire però e lottare, fra il turbine della sventura. che l'avvolgeva senza posa, in ogni tempo, per ogni luogo, nelle varie regioni della Pe

(1) Cfr. Il Canzoniere di Dante Alighieri, annotato e illustrato da Pietro Fraticelli, ecc. Sesta edizione. Canzone VIII, p. 132. Firenze, G. Barberà, Editore, 1902.

(2) Cfr. PIETRO FRATICELLI, Storia della Vita di Dante Alighieri. Op. cit. cap. sesto, p. 174.

(3) Cfr. CARLO TROYA, Del Veltro allegorico di Dante. Opera cit. p. 87 e seg. CESARE BALBO, Vita di Dante Alighieri. Opera cit. Lib. II, cap. sesto, p. 318. PIETRO FRATICELLI, Storia della Vita di Dante Alighieri. Opera cit. capo sesto, p. 174.

(4) Cfr. CESARE BALBO. Op. cit. ibid.

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