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CAPITOLO III.

La prima e la seconda moglie di Alighiero II. La matrigna di

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Due furono le mogli di Alighiero II: Donna Bella, madre di Dante >> e Lapa, figlia di Chiarissimo Cialuffi (1), nata da famiglia guelfa. Essa ebbe tre figli, un maschio, chiamato Francesco, e due femmine, una delle quali nomossi Tana, vezzeggiativo di Gaetana, moglie a Lapo di Riccomanno; e l'altra, di cui ignorasi

(1) Cfr. LUIGI PASSERINI, Della famiglia di Dante, in DANTE IL SUO SECOLO, XIV MAGGIO MDCCCLXV, p. 63. In Firenze coi tipi di M. Cellini e C. 1865. Sul proposito avvertiamo che Cesare Balbo, ignorando al tempo suo i documenti rinvenuti dopo ed esaminati dal Passerini, aveva affermato essere stata Lapa la prima moglie di Alighiero II, (Cfr. Vita di Dante Alighieri. Prima edizione con note. Vol. unico, cap. sec. p. 24. Napoli, Giosuè Rondinella, Editore, 1856). La stessa inesattezza fu ripetuta da Pietro Fraticelli nella Storia della vita di Dante Alighieri. Capitolo terzo, p. 37.

il nome, andò sposa a Leone di Poggio, il quale ebbe atterrata la casa dopo la battaglia di Montaperti (1).

Di Donna Bella, accorciativo di Gabriella (2) o di Isabella, non conosciamo che il solo nome, uno di quei soavissimi che i Fiorentini della cerchia antica imponevano alle loro nate, quasi per augurare ad esse le cose più care e i pregi più ambiti (3). Per mancanza di atti legali e d'istrumenti notarili, nei quali venisse rammentata, non c'è concesso poter sapere a quale famiglia appartenesse. Non sembra improbabile però che fosse figlia di Durante di messer Scolaio degli Abati (4). Uscì di vita ancor giovanissima. La Cialuffi invece pervenne alla senilità, ed è rammentata come vivente in un atto di divisione del 16 maggio 1333, stipulato dal figlio Francesco con i propri congiunti (5). All' opposto, Donna Bella pochissimo rimase sulla terra come sposa e come madre. Dante la perdette nell'infanzia, o quand'era sui cinque o gli otto anni (6). Non molto dopo venne orbato del padre, e fu orfano di ambo i genitori (7).

Privo d'un bacio e d'una carezza materna, l'Ali

1) Cfr. LUIGI PASSERINI, Della famiglia di Dante, cit. p. 64. (2) Cfr. NICOLA ZINGARELLI, La Vita di Dante, in compendio, con un'analisi della Divina Commedia, p. 5. Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi.

(3) Cfr. MICHELE SCHERILLO. Alcuni capitoli della biografia di Dante, p. 18. Torino. Ermanno Loescher, 1896.

(4) Cfr. LUIGI PASSERINI. Scritto cit. p. 63.

(5) Cfr. MICHELE SCHERILLO. Op. cit. p. 29.

(6) Cfr. MICHELE SCHERILLO. Op. cit. p. 30.

(7) Cfr. Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri ed alla storia della sua famiglia, raccolte da GIUSEPPE PELLI. Opera cit. § V, p. 64.

ghieri trascorse la puerizia con il fratellastro Francecesco e la matrigna Lapa. Molto dovette piangere in secreto la morte della mamma diletta, e spesso ne sospirò un'amorosa parola, la soavità d'un

luce d'uno sguardo.

sorriso e la

In San Giovanni, presso al fonte del suo << battesmo » forse la ricordò nella piccioletta età; e gli sembrava anche di vederla in altri luoghi, sacri al suo cuore mestissimo e solo. Qualche volta la sognò nella casa paterna in San Martino del Vescovo; e in momenti di sconforto gli brillò l'immagine di lei dinanzi al suo tacito e raccolto dolore. Palpitò allora di pensosa tenerezza, sicuro di renderne venerato il nome, col presentimento che le genti avrebbero un giorno esclamato :

Benedetta colei che in te s' incinse! (1).

Nel profondo dell'animo presagiva il proprio,avvenire, ch'era l'assiduo pensiero, l'alto sogno della sua adolescenza. Fuori di Firenze, lontano dagli svaghi cittadini, il suo spirito si elevava, ritemprandosi nei lunghi, operosi soggiorni campestri, trascorsi a San Mario di Mugnone in Camerata, e in San Miniato di Pagnolla, avìti poderi della sua famiglia (2), donde vagava pei ridenti colli vicini e su per i monti fiesolani.

Pensava allora e meditava fra le gentili ispirazioni del cuore, allietato dagli estri immaginosi della poesia

(1) Cfr. INFERNO, canto VIII, 45.

(2) Cfr. Storia della vita di Dante Alighieri, compilata da PIETRO FRATICELLI sui documenti in parte raccolti da Giuseppe Pelli, in parte inediti. Vol. unico. Illustrazioni al cap. terzo, p. 43. Firenze, G. Barbera, Editore, 1861.

occitanica, che sul declinare del secolo XII, dal mezzogiorno della Francia rifioriva varia e copiosa di qua dalle Alpi (1), tra i sorrisi d'innamorati garzoni e la commozione di trepide donzelle. I rimatori provenzali, spensierati e lieti, erravano per le varie contrade d' Italia, in cerca di galanti avventure e di audaci imprese d'amore. Nella prima metà del secolo XIII, cresciuti di numero, e più esperti nel verseggiare, fecero vibrare con maggiore ardore i loro fervidi canti, che risonavano nel settentrione e nell'estremità della Penisola, in mezzo a menestrelli e a novellieri, fra uomini di spada e di toga, e donne pensose e giovani amanti.

Nelle castella feudali e pei contadi, nelle aule dei Comuni e nelle podesterie delle Repubbliche, da per tutto i trovatori erano accolti con giubilo, e venivano ospitati festosamente da duchi, da conti, da marchesi. che davan loro prova di munificente gentilezza e di schietta cordialità. Eran seguiti da giullari, che ne musicavano e cantavano le appassionate tenzoni, le quali risonavano applauditissime nella Corte di Monferrato e in quella di Malaspina e degli Este: e viva commozione destavano in Lombardia, nella Marca Trivigiana e in altre regioni d'Italia (2). Gl'imitatori ne ripetevano i concetti e

(1) Cfr. GIOVANNI GALVANI, Osservazioni sulla Poesia dei Trovatori e delle principali maniere e forma di essa, confrontate`brevemente colle antiche italiane, p. 23 e seg. Modena, per gli eredi Solliani, tipografi reali, MDCCCXXIX. ADOLFO BARTOLI, I primi due secoli della Lett. Ital., cap. sec. Milano, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, 1880. ADOLFO GASPARY, Storia della Letteratura Italiana, tradotta dal tedesco da Nicola Zingarelli con aggiunte dell' Autore. Vol. pr., p. 44 e seg. Torino, Ermanno Loesher, 1887.

(2) Cfr. ADOLFO BARTOLI, Op. cit. p. 88.

le trovate cavalleresche con sottigliezza ingegnosa, sostituendo la lingua d'oc al nascente idioma nazionale.

Nella bella Trinacria soltanto la nuova poesia fece udire per mezzo di Ciullo d' Alcamo i primi accenti del nuovo volgare. Arricchitasi poscia di voci e di frasi popolari s'italianizzò colla scuola poetica siciliana, che iniziò la primavera della nostra lirica d'amore. La Corte Sveva ne fu il verziere ubertoso e fiorito, ove apparvero e sbocciarono le liriche di Federico II, di Enzo, di Ruggerone e d' Inghilfredi da Palermo e di Pier delle Vigne.

Ardenti pure di viva passione eran le rime dei verseggiatori Guido e Odo delle Colonne, di Tommaso di Sasso, di Stefano Protonatorio e di Mazzeo Ricco. Con essi gareggiavano, accesi d'amoroso fuoco, lacopo da Lentino, Iacopo d'Aquino, Giacomino Pugliesi da Prato e Arrigo Testa d' Arezzo (1).

I novelli rimatori divulgavano le loro liriche, seguendo l'indirizzo della scuola siciliana, rinvigorita in Bologna da Guido Guinicelli e perfezionata poscia da Dante (2).

Acuto intelletto e vivida fantasia, il Guinicelli infervorò di alti sensi e sparse di concettose sentenze e di ammaestramenti morali le sue canzoni. Volle essere e fu poeta e filosofo, e il sentimento d'amore seppe esprimere con nobiltà di pensiero e leggiadria di forma.

(1) Cfr. Manuale della Letteratura del primo secolo della Lingua Italiana, compilato dal prof. VINCENZIO NANNUCCI, quarta edizione, Vol. I, Firenze, G. Barbera, Editore, 1883.

(2) Cfr. PURGATORIO, canto XI, 97-99.

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