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nisola. Intrepido egli proseguiva il travagliato cammino, padrone di sè e del suo forte volere, intento a svolgere l'opera sua meravigliosa d'italiano e di poeta.

Lasciata Forlì, ritornò in Lunigiana (1), dopo aver terminata la prima Cantica del Poema. Fuggiasco e misero, salendo e discendendo per le altrui scale, aveva vinto la nemica sorte e incominciava a dominare spiritualmente l'età sua. Era già penetrato, in sei anni di incessanti lotte e di atroci dolori, nel regno della perduta gente, disvelandolo al mondo con accesa e fiera parola. Guai ai dannati del cieco abisso; guai a coloro che ne avrebbero, sulla terra, seguito le orme, dagli ignavi e dai vigliacchi alla vile genia dei fraudolenti, dai lussuriosi ai traditori, i quali avrebbero espiato le loro colpe e i loro delitti, sotto la suprema sanzione della legge divina, nel perpetuo martirio decretato dalla giustizia eterna!

Nella primavera del 1309 Dante era già uscito misticamente dal tenebroso regno del dolore. Lungo e affannoso era stato il suo cammino, paurosi misteri gli si erano svelati, orrende visioni gli avevano rattristo lo sguardo e il pensiero. Desiderava un po' di calma, anelava un'ora, un istante di riposo, lungi dagli uomini, in un eremo, su d'un colle, nella solitudine d'una cella.

Presso la Magra, che cade nel Mar Tirreno, sotto Sarzana, a destra della sua foce si erge il Monte Caprione, antico retaggio de' vescovi di Luni e dei Marchesi Malaspina. Sulla sua estremità sorgeva il Monastero di Santa Croce del Corvo, fondato nel 1176 (2), appartenente all' ordine dei Camaldolensi, cioè di San

(1) Cfr. PIETRO FRATICBLLI. Op. cit. ibid. p. 175.
(2) Cfr. CARLO TROYA. Op. cit. p. 98.

Benedetto, di cui era abate il fratello di Uguccione della Faggiuola chiamato Federigo, ed Uguccione stesso era vicario e feudatario (1). Del cenobio sono scomparse da secoli le rovine, e al presente non resta che qualche rudere della chiesa attigua (2). L'antico chiostro è ora trasformato in amenissima villa, e nessuno avanzo più rammenta la sua pia esistenza.

Sull' imbrunire d'un mesto giorno colà pervenne Dante triste e stanco. Sonava l'Ave Maria, e pensò ai tocchi vespertini del suo bel San Giovanni, ai figli lontani, alla diletta, ma pur ingrata Firenze; più vivo sentì il suo turbamento e volse intorno crucciato lo sguardo. A frate Ilario, priore del convento, che gli domandò cosa cercasse :

Pace! rispose.

Ma chi siete? quegli riprese a dire.

Son Dante Alighieri! disse, e tacque.

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI. Op. cit. cap. sesto, p. 175, 204; capo decimosecondo, p. 350.

(2) Cfr. UBALDO MAZZINI. Il Monastero di Santa Croce del Corvo, in Dante e la Lunigiana, vol. cit. p. 211.

CAPITOLO V.

Morte dell'imperatore Alberto d'Austria. Nomina di Enrico VII.Partenza di Dante per la Francia. — Arrivo a Parigi. - Stato miserando dell' Italia. La discesa del novello Imperatore. Epistola inviata dall'Alighieri ai reggitori della Penisola.

I giorni in cui l'Alighieri andava in cerca di pace erano molto agitati, assai inquieti per i Bianchi e i Neri, che continuavano a combattersi, tenendo desto il vecchio ideale politico dei Ghibellini e dei Guelfi. Moriva allora, ucciso da Giovanni duca di Svevia, Alberto d'Austria, figlio di Roberto d'Absburgo, il quale, in dieci anni d'impero (1298-1308), non s'era mai rammentato dell'Italia, e giusto giudicio > >> era caduto dalle stelle >> « sovra» il suo « sangue », e fu « nuovo ed aperto » (1). Gli successe Arrigo Conte di Lussemburgo col nome di Arrigo VII, ridestando nella Penisola alte speranze di libertà, di fortuna e di gloria. Venne eletto il 25 novembre 1308, e fu incoronato come re di Germania il 6 gennaio 1309.

(1) Cfr. PURGATORIO, canto VI, 100-102.

Nello stesso anno il papa Clemente V, dopo essere girato di vescovato in vescovato per il mezzogiorno della Francia, stabiliva la propria residenza in Avignone, appartenente alla Provenza, sotto la supremazia dell' Impero (1), e rendeva più salda e forte quella che gl'Ita liani chiamavano la cattività di Babilonia. Le discordie civili si rinnovarono di qua dalle Alpi, infierirono vie più e funestarono la Toscana. Il sei aprile i Bianchi e i Ghibellini di Prato scacciavano i Guelfi e i Neri, a cui apprestarono sollecito aiuto i Fiorentini e i Pistoiesi (2). Poco dopo, dalla fazione ghibellina eran cacciati via da Arezzo i Guelfi e i Verdi, e molti ne furono uccisi (3), accrescendo in tal modo l'agitazione che era già stata prodotta dalla tragica fine di Corso Donati, avvenuta il 6 ottobre 1308.

Assai duramente egli pagò il fio delle sue colpe, e giova il rammentarlo. Il Papa, avendo visto che gli esuli fiorentini perturbavano non solo la Toscana, ma anche la Romagna e le Marche, aveva tentato di rappacificare quelle regioni (4), dandone il mandato a Napoleone di Rinaldo di Matteo Rosso degli Orsini di Roma, cardinale fin dal primo anno del pontificato di Bonifazio VIII (5). Andato egli nel 1307 in Arezzo, chiamovvi

(1) Cfr. CESARE CANTÙ, Storia Universale. Op. cit. vol. sesto, libro decimoterzo, cap. VI, p. 558.

(2) Cfr. Cronica di GIOVANNI VILLANI, ediz. cit. lib. ottavo, cap. CVI, p. 190.

(3) Cfr. GIOVANNI VILLANI, Op. cit. lib. ottavo, cap. CVII, pagina 191.

(4) Cfr. PASQUALE VILLARI, I primi due secoli della Storia di Firenze. Op. cit. cap. X, p. 477.

(5) Cfr. ISIDORO DEL LUNGO, DINO COMPAGNI e la sua Cronica, Op. cit. Vol. secondo, libro terzo, cap. XV, p. 314, in nota.

a raccolta i profughi e i fuorusciti, e anche parecchi suoi amici dalle vicine terre della Chiesa, formando un esercito di fanti e di cavalieri (1). Pare che avesse fatto un accordo con messer Corso Donati. Costui s'era imparentato col ghibellino Uguccione della Faggiuola, di cui aveva in terze nozze sposata la figlia; e ciò lo rendeva assai sospetto ai Guelfi. Scontento egli è indispettito, era da capo tornato nimicissimo di messer Rosso della Tosa e dei suoi seguaci, i quali s'erano di nuovo stretti coi popolani grassi. Costoro, veduti gli apparecchi che faceva il Cardinale e l'agitarsi del Donati, raccolsero un esercito di 3000 cavalieri e di 15000 pedoni e corsero ad Arezzo, dando per via il guasto alle terre nemiche. Il Legato Pontificio, invece di affrontarli, si diresse pel Casentino verso Firenze. I Fiorentini, tornando sui loro passi, arrivarono in Città prima di lui, che con grande vergogna rientrò in Arezzo, donde incominciò a trattare con i propri nemici. Scontentissimo ne fu Corso Donati; ma non si diè per vinto, e meditò nuove cospirazioni. Allontanatosi da Firenze, vi ritornava nel 1308, sperando soccorsi dal suocero Uguc,cione, mentre raccoglieva i propri partigiani, a cui esponeva le sue speranze, e li incitava alla lotta. Per questo riarse l'animosità cittadina contro di lui, e scoppiò rabbiosa e spietata. L'accusa d'essere un traditore della patria fu portato al podestà Piero della Branca da Gubbio, e subito con la condanna venne sanzionato il bando. Il popolo si levò in armi e con i signori corse a San Piero Maggiore, ove assalì il Donati (2). Egli, infermo di gotta, non poteva difendersi; ma animava i suoi alla

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI. Op. cit. cap. X, p. 478.
(2) Cfr. PASQUALE VILLARI. Op. cit. ibid. p. 479.

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