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Gli avvenimenti della Penisola, contrariamente a quanto sperava l'Alighieri, non sembravano una preparazione per la venuta del « messo di Dio ». Gli animi erano più inquieti di prima; le discordie si ridestavano e in tutta la Toscana infuriavano le lotte politiche. Uguccione della Faggiuola le aveva riaccese con la sua sfrenata ambizione e con l'orgoglio feudale di predominio e la brama di vendetta. Al principio del 1315 irruppe nel territorio pistoiese per conquistare i castelli usurpati dai Fiorentini l'anno prima. Rioccupatine parecchi, e colle sue scorrerie giungendo fino Carmignano, a dieci miglia da Firenze, assediò a Montecatini in Val di Nievole. I Fiorentini se ne impensierirono, e scrissero lettere a tutti i loro confiderati, invocando il loro soccorso. Solleciti giunsero gli aiuti; e netevoli furono quelli del re Roberto di Napoli, che mandò una schiera di combattenti insieme con due suoi fratelli, Filippo e Piero, ed il nipote Carlo, figlio di Filippo (1). Gli altri alleati non mancarono di accorrere con ogni prestezza in difesa di Firenze; e da Bologna, da Siena, da Perugia, da Città di Castello, da Gubbio, da Pistoia, da Volterra, da Prato e dalle città guelfe giunsero fanti e cavalieri (2).

Il 6 agosto i Fiorentini mossero il loro esercito e si posero presso il torrente Nievole, di fianco all' accampamento di Uguccione, che assediava Montecatini; e quivi stettero scaramucciando più giorni. Considerando

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI, Storia della vita di Dante Alighieri, op. cit., cap. settimo, p. 227.

(2) Cfr. Istorie Fiorentine di SCIPIONE AMMIRATO. Parte prima, tomo primo, ecc., lib. quinto, p. 265. In Firenze per Amador Maffi Forlivese, MDCCXXXVII. Con licenza dei Superiori.

però Uguccione che il luogo ove trovavasi non era op. portuno per lui, la mattina del 29 levò le tende e venne sul fiume per un ripiego strategico. Quasi tutta Italia era commossa circa l'aspettazione di quello che avessero a fare quei due eserciti, da cui dipendeva la prevalenza dei Guelfi o dei Ghibellini (1). Il principe Filippo d'Angiò, vedendo che Uguccione apprestavasi a passare il torrente, mandò le sue schiere ad impedirglielo. Uguccione però spinse innanzi le sue, alla testa delle quali pose lo stesso suo figlio Francesco e Giovanni Giacotti Malaspina, fuoruscito fiorentino, che portava la bandiera imperiale. Dopo una sanguinosa lotta, cominciarono a piegare i collegati dei Fiorentini e quindi tutto il loro esercito, e la vittoria arrise ad Uguccione della Faggiuola. Duemila e più morti vi lasciarono i Guelfi, fra i quali il principe Piero, fratello del re Roberto, il principe Carlo suo nipote, il conte Carlo di Battifolle, i contestabili Carroccio e Brasco d'Aragona. Grande fu la sconfitta, e non vi fu quasi casa in Firenze, popolana o patrizia, che non perdesse qualcuno dei suoi; e colà e altrove, in Bologna, in Siena, in Perugia e in Napoli, tutto il popolo si vestì a bruno. Il figlio d' Uguccione vi lasciò pure la giovane vita.

Sembrava, dopo quella vittoria, che i Ghibellini dovessero durevolmente trionfare sui loro avversari, che erano stati molto umiliati. Dante ne seguiva le vicende e sperava in un migliore avvenire. I suoi nemici, spietati sempre, vollero disperdere quelle nascenti illusioni; e non paghi delle infamie commesse contro di lui, nell'autunno del 1316, aggiunsero una novella condanna. La sentenza venne pronunziata da Ranieri, di messer

(1) Cfr. Op. cit., ibid. e seg.

Zaccaria d'Orvieto, vicario del re Roberto, che i Fiorentini avevano nel 1313 eletto a lor signore per cinque anni (1). Secondo il solito, volle incolparsi l' Alighieri di non essersi presentato a pagar la multa e a dar sicurtà dell'andare e stare ai confini, e veniva dannato a perder la testa per mano del carnefice insieme con i suoi figli (2). Egli resistette forte e magnanimo al nuovo infuriare dell'iniquità umana, che accresceva i dolori del suo civile martirio, amareggiato altresì da inattesi e impreveduti disinganni.

Uguccione, inorgoglito per i successi guerreschi, si diè tutto ad assodare la sua signoria, che convertì in tirannide. Voleva assoggettare a sè uomini e cose, e su tutti imperare con il suo dispotico volere. Fatto prendere Banduccio Buonconti con il figliuolo Piero, onorevoli cittadini pisani, che cercavano di attraversarlo nei suoi divisamenti, gli fece decapitare. Poco appresso il figlio Neri, succeduto nella potesteria di Lucca al fratello Francesco, caduto a Montecatini. fece imprigionare e condannare a morte Castruccio Castracani, perchè aveva posto a ruba in Lunigiana certe castella di Spinetta Malatesta, amico di Uguccione. I Lucchesi, udita quella sentenza, si levarono a tumulto per liberare il loro concittadino. Neri tentò d'opporsi al furore popolare, mandando messi al padre per accorrere in sua difesa; ma, prima che quello arrivasse, egli fuggì. Ugucclone si era mosso subito da Pisa; e di ciò profittando i suoi nemici, con a capo Coccetto del Colle, il 3 ot

1) Cfr. CESARE BALBO, Vita di Dante Alighieri, op. cit. Libro II, capo tredicesimo, p. 407. - PIETRO FRATICELLI, op. cit. cap. settimo, p. 229 e segg.

(2) Cfr. PIETRO FRATICELLI, op. cit., ibid.

tobre 1316, corsero al suo palagio e l'incendiarono, uccisero tutti i suoi familiari, mutarono i rettori della città e ne fecero signore Gaddo della Gherardesca (1).

Uguccione fu informato della ribellione pisana; ma visto inutile il ritorno, e giudicata vana la repressione, con alquanti soldati che gli erano rimasti fedeli si portò in Lunigiana presso il suo amico il marchese Spinetta Malaspina; indi in Modena, e poscia recossi al nativo Montefeltro, donde si ridusse a Verona, accolto da Can Grande della Scala, che lo prepose al comando generale delle sue armi (2).

Dopo la fuga di lui, i Fiorentini rimasero liberi da ogni timore insieme con il partito guelfo di Toscana. Rimossero dall'officio di potestà ser Lando da Gubbio, d'indole troppo feroce, e nell'ottobre del 1316 elessero in sua vece il Conte Guido da Battifolle con il consentimento del re Roberto. Due mesi dopo, sotto il reggimento di lui, deliberarono di concedersi facoltà ai fuorusciti e ai banditi di potere, a certe condizioni, rientrare a Firenze. Dovevano pagare una somma decretata, e quindi, umili e dimessi, con mitere in capo, e tenendo un cero nelle mani, andar processionalmente, dietro il carro della zecca, alla Chiesa di San Giovanni, e quivi far offerta al santo in espiazione dei loro delitti. Era quella un'antica costumanza per graziare alcuni malfattori, offerendoli al Santo padrone della Città. Molti compagni di Dante si sobbarcarono, e il 24 giugno 1317, nella festività di San Giovanni conseguirono la loro af

(1) CARLO TROYA, Del Veltro allegorico di Dante, op. cit., § XLIX, p. 150 e segg. PIETRO FRATICELLI, op. cit., cap. set

timo, p. 230.

(2) Cfr. CARLO TROYA, op. cit., p. 153 e segg.

francazione. L'Alighieri fieramente si rifiutò. e preferì l'esilio a quell'abiezione.

Non era quella la via di ritornare in patria, di riveder Firenze. E che? non poteva « in qualunque angolo della terra mirare il sole e le stelle ? ». Non poteva << sotto ogni plaga del cielo meditare le dolcissime verità? ». Ovunque avrebbe saputo vivere senza ignominia, nè il pane gli sarebbe venuto meno (1).

I vecchi e i nuovi Guelfi avrebbero voluto vederlo apparire, come gli altri fuorusciti, fra lo stuolo dei ri baldi, con la mitera in capo, per le vie di Firenze. loro odio di vendetta si sarebbe allora appagato !

(1) Cfr. PIETRO FRATICELLI. Il Convito di Dante Alighieri e le Epistole, op. cit., Epistola X, p. 500 e segg.

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