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CAPITOLO V.

Ragionamenti di Ser Brunetto Latini con Dante. Lettura del Tesoro.-Poeti del dolce stil nuovo. - Misteriosa visione dell'Alighieri. Suo primo sonetto.

Durante i familiari colloqui, il giovinetto Alighieri assai aveva appreso da Brunetto Latini, i cui insegnamenti meditava leggendo Il Tesoro, mirabile compendio di scienza umana e di sapienza divina (1). Il nasci mento della natura, la materia delle cose, il perchè della creazione, l'onnipotenza di Dio, l'immortalità dell'anima, i misteri dell'esistenza terrena, gli arcani dell'universo, erano stati accennati da Ser Brunetto con forte parola e divenivano vital nutrimento per lo spirito di Dante, che aveva imparato ad ora ad ora » « COme l'uom s'eterna » (2), e capiva e sentiva già che

(1) Cfr. Il Tesoro di BRUNETTO LATINI, volgarizzato da Bono Giamboni, nuovamente pubblicato secondo l'edizione del MDXXXIII. Venezia, coi tipi del Gandoliere. MDCCCXXXIX.

(2) INFERNO, canto XV, 84 - 85.

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Fra l'alternarsi degli ammaestramenti brunettiani e le pensose ascensioni verso l' Infinito, giungevano al cuore dell'Alighieri voci giulive della terra ed echi di canti soavi.

Il dolce stil nuovo, sbocciato dopo Guido Guinicelli, aveva in Toscana i migliori seguaci, e in Firenze era più copioso e vario il suo rifiorimento poetico. Nativamente cortese e vaga d'usanze gentili e leggiadre, l'Atene d'Italia aveva preso dalla cavalleria la squisitezza dei modi e la nobiltà delle manifestazioni amorose, che venivano espresse con intendimenti elevatissimi dai novelli rimatori.

Schietti eran essi e fervidi e con viva parola significavano i commossi affetti dell'anima.

In cotesto appunto consisteva il dolce stil nuovo, con cui si affermarono e vennero in fama Lapo Gianni, Gianni Alfani e Dino Frescobaldi, emulati da Guido Cavalcanti e da Cino da Pistoia. I loro versi sonavan nelle feste e nei tornei, ed eran ripetuti dal popolo, che li sostituiva alle sue umili ballate, alle tenzoni e alle serventesi dei vecchi trovieri.

Lapo Gianni, notaio fiorentino, vissuto dopo la metà del secolo XIII, conoscitore del buon volgare, come messer Guido e Cino pistoiese (2), dettò le sue rime in uno stile semplice e terso, con varietà d'immagini ed elevatezza di pensiero. L'Amore fu suo fedel mes

(1) Cfr. BRUNETTO LATINI, Op. cit. Vol. I, lib. pr. cap. XIV, p. 21.

(2) Cfr. De Vulgari Eloquio, liber primus, cuput. XIII.

saggiero di sospiri e di tacite brame (1), la donna amata gli apparve come « un'angela » « dal ciel venuta », (2) ch'egli spesso invocò e supplicò teneramente. Avrebbe voluto che il prego della sua mente ». < bagnato di lagrime », fosse andato dinanzi a lei, « a guisa d'una figura pietosa », e svelarle gli occulti« tormenti », sofferti con pensosa faticosa pena. In quel modo soltanto avrebbe avuto la sospirata < grazia » d' appagare il proprio << disìo ».

Delicatissimo come il dolente Lapo è il concittadino e contemporaneo di lui Gianni Alfani. Vide egli un giorno una singolare creatura, che con gli occhi gli rapì il cuore e non glielo rendè giammai. Un bel saluto ch'ella gli fece lo sbigotti e lo trafisse. Un gentile spirito disse poscia alla sua anima: << Guarda costei, se no tu morrai ». Ei la mirò, e nei « raggi di luce » che ella spandea, « ammantato di gioia» rifulse dinanzi il suo sguardo l'Amore (3).

Dino Frescobaldi, di antichissima e nobilissima stirpe fiorentina (4), vissuto al tempo di Lapo Gianni e di Gianni Alfani, come loro fu valoroso dicitore in rima, e sostenne anche lui nel profondo dell'anima « una battaglia forte e aspra e dura ». Per una <<< giovinetta donna bella » viveva e sentiva di morir piangendo » (5).

(1) Cfr. VINCENZIO NANNUCCI, Manuale della Letteratura del primo secolo della Lingua Italiana, Op. cit. p. 241 e seg.

(2) Cfr. La ballata: Dolce è il pensier che mi nutriva amore, Op. cit. p. 245 e seg.

(3) Cfr. La ballata: Guato una donna dov' io la scontrai, Op. cit. p. 304.

(4) Cfr. Op. cit. p. 331.

(5) Cfr. La canzone: Un sol pensier, che mi vien nella mente, Op. cit. p. 331 e seg.

Le molte lagrime da lui versate avrebbero fatto gente accorta» delle angosce da lui sofferte (1).

<< la

Cotesta nota di tristezza vibra pure nelle canzoni e nei sonetti di Guido Cavalcanti, che ebbe già il vanto di togliere al Guinicelli « la gloria della lingua » (2). Egli fu un de' migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale ». « Leggiadrissimo e costumato »>, << ogni cosa che far volle e a gentil uomo pertenente, seppe meglio che ogni altro uom fare» (3). Superò perciò nella nuova lirica i novelli rimatori. L'Amore, << a guisa d'un arcier » l'aveva ferito, e gli parve allora con fieri martiri », « di seguir », « piangendo »>, « la morte » (4). Il pensiero della donna amata però lo confortava ineffabilmente. Ella era un prodigio di bontà e di bellezza, e vedeva in lei ogni cosa desiderabile e cara: i fiori dei prati, gl'incanti del cielo, gli splendori del sole (5).

Cino da Pistoia, fra i gravi studi e le asprezze giuridiche, ardeva anche lui d'amore, invocava la creatura della sua anima, e alle mani di lei affidava il languente spirito, acciocchè potesse morire « consciato in pace » (6). Verso il tramonto, all' apparir delle ombre

(1) Cfr. Il sonetto : Per tanto pianger ch' i miei occhi fanno. Op. cit. p. 336.

(2) Cfr. PURGATORIO, canto XI, 97-98.

(3) Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Il Decamerone, Giornata sesta, novella nona.

(4) Cfr. Il sonetto: O donna mia, non vedesti colui, op. cit. p. 266 e seg.

(5) Cfr. Il sonetto: Avete in voi li fiori e la verdura. Opera cit. p. 268.

(6) Cfr. CINO DA PISTOIA, Le Rime, con una . prefazione di Giosuè Carducci, XXXIV, p. 77. Istituto Editoriale Italiano. Milano.

notturne, il cuor suo combatteva, lagrimando, « una battaglia di sospiri » (1). Mentre amava, si spegneva la sua vita (2). Ad angel di Dio » somigliava < in ciascun atto» la sua giovane bella », « di tanta virtù >> si vedeva adorna », che chiunque l'avesse mirato doveva, << sospirando », lasciarle il cuore (3).

I seguaci del dolce stil nuovo s'ingegnavano di svelarsi nelle proprie rime; rammentavano perciò e descrivevano il loro animo nei momenti d'ardente desiderio, nelle ore di sconforto o negl'istanti della sognata felicità.

"

Dante si messe pure sulla medesima via, sentì il bisogno di far udire l'intima voce del suo cuore giovinetto, e a diciott'anni iniziò il suo ufficio di poeta. Dal calendimaggio del 1274 alla primavera del 1283 aveva tenuto celata la purissima fiamma destata in lui dalla vista di Beatrice. Dopo però che « erano compiuti li nove anni », la mirabile creatura gli « apparve vestita di color bianchissimo, in mezzo di due gentili donne, le quali eran di più lunga etade ». La guardò trepidante; ma ella con ineffabile cortesia lo salutò virtuosamente tanto, che gli parve allora vedere tutti i termini della beatitudine. Come inebriatosi », si partì dalle genti »>, << e ricorso al solingo luogo d' una sua cameretta, pensando di Bice, gli sopraggiunse un soave sonno, nel quale gli apparve una maravigliosa visio

«

(1) Cfr. La canzone: Quand' io pur veggio che se 'n vola 'l sole, XXXV, p. 78.

(2) Cfr. La ballata: Lasso! che, amando, la mia vita more, XL, p. 81.

(3) Cfr. La ballata: Angel di Dio somiglia in ciascun atto,

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