Sayfadaki görseller
PDF
ePub

il germe di nuove lotte. Bologna, prospera, trafficante, superba del suo Ateneo, aspirava al predominio guelfo, non ostante fosse travagliata da intestine discordie (1): i Bresciani, inquieti e agitati, per liberarsi dai fuorusciti ghibellini, verso la fine del 1330 avevano chiamato in loro aiuto Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, figlio di Arrigo VII, che molto promise, ma nulla mantenne (2). Dopo il suo ritorno in Germania avvenuto nel 1334, incominciò a primeggiare Azzone Visconti, che. oltre Milano, possedette Bergamo, Cremona, Piacenza, Treviglio, Vigevano, Pizzighettone, Como, Lodi, Crema, Brescia, Lecco (3),

Alla potenza dei Visconti si contrapponeva quella degli Scaligeri. che da Verona e col favore degl' imperatori, avevan disteso il loro dominio sulla Marca Trevisana (4). La feudalità ambiziosa s'imponeva in altre regioni, e le repubbliche marittime continuavano la loro vita. affaccendata e bellicosa. Venezia proseguiva le sue lotte di predominio, e Genova non aveva mai requie. Il suo territorio era stato diviso fra Guelfi e Ghibellini, gli abitanti eran nemici tra loro, ciascuno esercitava per sè la propria attività, e a vicenda popolani e nobili erano. trionfanti o sbanditi. vincitori o vinti (5).

Più dolorose erano le condizioni di Firenze, aggravatesi per una umiliante sconfitta. Martino della Scala. signore di Verona, aveva acquistato nel 1335 la signo ria di Lucca; i Fiorentini insospettiti di un vicino sì

(1) Cfr. Op. cit., ibid., p. 708.

(2) Cfr. Op. cit., ibid., p. 708 e seg.
(3) Cfr. Op. cit,, ibid., p. 709 e seg.
(4) Cfr. Op. cit., ibid., p. 710.

(5) Cfr. Op. cit., ibid., p. 712.

potente, avevan pensato di comperare il dominio lucchese, ed erano riusciti nel loro scopo. I Pisani, saputo di quel contratto, andarono frettolosamente a Lucca, la presero e vi si fortificarono. Scoppiarono allora gagliarde le ostilità fra i Pisani e i Fiorentini, che furono vinti. Per riaversi dalla vergognosa sconfitta, nell'agosto del 1342 elessero a reggitore della Repubblica Gualtieri di Brienne, soprannominato il Duca di Atene, già luogotenente in Firenze di Carlo, figlio del re Roberto. Acquistata la signoria, volle farla da padrone, mostrandosi ingordo, avaro e crudele, Cominciò a perseguitare coloro che avevano diretto la guerra di Lucca, e alcuni uccise, altri spogliò degli averi, molti cacciò dalla città. Ottenuta nei primi d'ottobre la signoria assoluta, mutò la bandiera del Comune, sostituendola con una propria, fece bruciare i libri degli Ordinamenti di Ciustizia e i gonfaloni delle compagnie. Spalleggiato da mercenari francesi, assetati di ricchezze, fraudò i creditori della cittadinanza per ammassare denaro, taglieggiò il popolo con esosi balzeli, punì con ferocia i supposti avversari, e su tutti fece gravare il peso della sua spietata tirannide. Gli oppressi insorsero, ed egli vilmente fuggì nel luglio 1343. Nel gennaio di quell'anno cessava di vivere. in Napoli il vecchio re Roberto, ed infausta al reame ne fu la morte per le dissolutezze e il malgoverno della figlia Giovanna, cattiva regina e pessima moglie.

Lo stato Pontificio soffriva come le altre regioni della Penisola, e non meno della bella Partenope tribolava l'Urbs eterna. Priva della Sede Papale e dimenticata dai pontefici, sentiva venirle meno ogni elemento di vita e di civile grandezza. Le sue vie erano ingombre di rovine, trascurate le vetuste basiliche, spogliati i ricchi altari delle chiese. Ingordi patrizi facevano traffico degli

antichi monumenti, di cui abbellivano le vicine città; signorotti ignobili e astuti avevano mutato in fortezze feudali magnifici palagi, e una masnada di ladroni depredava e metteva a soqquadro il sacro suolo del Lazio. Sorto nel 1347 a tribuno del popolo Cola da Rienzo, credette e promise d'essere il salvatore di Roma. Ne esultò la cittadinanza, ne gioì Francesco Petrarca, e in una memoranda canzone gl' indirizzò il suo messaggio d'amore e di fede. Egli però non corrispose all'aspettazione del grande poeta. Inebriato dell'alto ufficio, s'incrgorgli e perdette il senno. Volle circondarsi di fasto regale, sognò d'imperare sulla terra e di guidare le sorti del mondo. Perduto ben presto ogni prestigio, rinunziò al tribunato e fuggì nell'autunno del 1348: ritornato sei anni dopo, e inaspriti con angarici balzelli gli abitanti, il popolo si sollevò furibondo e lo trucidò l'8 otto bre 1354.

Non quelli di Roma, ma tutti i cittadini della Penisola dovevano insorgere per abbattere i loro oppres sori. L'Italia era corsa e devastata dalle orde barbariche, sostituitesi alle milizie dei Comuni. I soldati mer cenari, barattieri del loro onore e negoziatori della propria vita, guidati da venali condottieri, che li compravano, diedero origine alle Compagnie di ventura. le quali infestavano la Toscana, la Romagna, la Lombardia, il Veneto. Il Petrarca, acceso di sdegno, gridava A' Grandi d'Italia di destarsi dal loro sonno e aver compassione degli oppressi e della Patria infelice;

Per Dio, questo la mente

Talor vi mova, e con pietà guardate
Le lagrime del popol doloroso,

Che sol da voi riposo,

Dopo Dio, spera; e, pur che voi mostriate
Segno alcun di pietate,

Virtù contra furore

Prenderà l'arme; e fra 'l combattere corto;

Chè l'antico valore

Nell'italici cor non è ancor morto (1).

(1) Cfr. Rime di FRANCESCO PETRARCA, Canzone IV, p. 909. Firenze, per David Passigli, Tipografo editore, 1839.

CAPITOLO IV.

Novelli espositori della Commedia. - Il commento dell'Ottimo, di Piero Alighieri. - Chiose anonime alla prima Cantica. -- Il Poema sacro interpetrato da un fiorentino. - Dante nell'Amorosa Visione del Boccaccio.

I Grandi d'Italia non davano ascolto al Petrarca: ma, per compenso, i dotti e gli studiosi meditavano con religioso raccoglimento la parola dell' Alighieri, e nel Poema sacro trovavano rifugio e conforto fra l'imperversare delle bufere civili. Alle prime interpetrazioni di Graziolo de' Bambaglioli, di Jacopo della Lana, di Ja copo Alighieri, era successa l'esposizione d'un occulto dantista, forse di parte ghibellina, contemporaneo del Poeta, nominato Buono, e poscia l' Ottimo, che salì in grande rinomanza. Con rinnovata luce di concetti e di dottrina, iniziò e condusse a fine il suo commento, penetrando nello spirito dell'Alighieri, e, molte cose non ben comprese prima di lui, furono esposte agevolmente, e apparvero chiare e precise nelle sue chiose. In tal guisa illustrò i tratti più oscuri della Commedia, diè una sicura interpetrazione ai simboli e alle allegorie, e, fra

« ÖncekiDevam »