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sciuto da molti, libro di Boezio, nel quale, cattivo e discacciato, consolato s' avea. E udendo ancora che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale, trattando dell'amistà, avea toccate parole della consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, nella morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello... E siccome esser suole che l'uomo va cercando argento, e fuori della intenzione trova oro, lo quale occulta cagione presenta, non forse senza divino imperio; io, che cercava di consolare me, trovai non solamente alle mie lagrime rimedio, ma vocaboli d'autori e di scienze e di libri, li quali considerando, giudicava bene che la filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse, somma cosa...» (1).

Egli se ne appassionò molto, e se ne innamorò in tal guisa, che cominciò « ad andare ov'ella si dimostrava veramente, cioè nelle scuole dei religiosi e alle disputazioni dei filosofanti; sicchè in picciol tempo, forse di trenta mesi », tanto sentiva « della sua dolcezza, che il suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero... (2)». Alla Filosofia dedicò con operosa cura la sua attività di studioso, lavorando intensamente da resentirne gravi danni fisici. Per la soverchia lettura affaticò sì la vista che « le stelle » gli pareano << tutte d'alcuno albore ombrate ». Ebbe allora bisogno d'un pò di riposo si pose « in luoghi scuri e freddi, e con affreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara » ricuperò

(1) Cfr. Il Convito di DANTE ALIGHIERI e le Epistole con illustrazioni e note di Pietro Fraticelli e di altri. Ottava edizione. Trattato secondo, capitolo XIII, p. 149 e seg. G. Barbera, Editore, 1900.

(2) Cfr. Op. cit. ibid. p. 150,

<< la virtù disgregata », che tornò nel primo buono stato della vista (1). Rimessosi al lavoro, celebrò le lodi della sua nuova donna in una elevatissima canzone, che venne musicata dal Maestro Casella (2).

Amor, che nella mente mi ragiona
Della mia donna, disïosamente
Move cose di lei meco sovente,
Che lo intelletto sovr' esse disvia (3)
Lo suo parlar si dolcemente sona,
Che l'anima ch'ascolta e che lo sente
Dice: Oh, me lassa, ch'io non son possente
Di dir quel ch'odo della donna mia! (4)
E certo e' mi convien lasciar in pria,
S'io vo' trattar di quel ch'odo di lei,
Ciò che lo mio intelletto non comprende
E di quel che s'intende

Gran parte, perchè dirlo non saprei (5).
Però se le mie rime avran difetto,
Ch' entreran nella loda di costei,

Di ciò si biasmi il debole intelletto (6),
El parlar nostro che non ha valore

Di ritrar tutto ciò che dice amore (7).

Il sole - dice poscia Dante che sovrasta ad ogni cosa terrena, non vede nel mondo cosa tanto gentile

(1) Cfr. Op. cit. Trattato terzo, capitolo IX, p. 249.
(2) Cfr. PURGATORIO, canto II, 112.

(3) L'intelletto, ragionando di esse, si confonde e si smarrisce.
(4) Cioè della Filosofia, ch'è il nuovo amore di Dante,

(5) Se io voglio ragionare di quel che odo disputare intorno alla Filosofia, è mestieri tralasciare primieramente ciò che non comprende il mio intelletto e gran parte di quel che intende, perchè io non saprei ridirlo.

(6) Se queste mie rime, le quali intendono tributar lodi alla Filosofia, non saranno pari all'altezza del subietto, se ne accagioni la mia debole intelligenza e la mia disadatta parola.

(7) Cfr. IL CONVITO. Trattato terzo, p, 168.

quanto la Filosofia. Ogni celeste intelligenza la vede di lassù, la pregia e l'ammira; gli uomini innamorati della sapienza la trovano nei loro pensieri, quando è quieta la loro anima. La sua essenza perfettissima, che deriva da Dio, tanto piace a Lui, che infonde in lei la sua virtù, oltre di quanto è necessario all'intelligenza umana. Dove ella luce, gli occhi di coloro che la mirano mandano al cuore messi pieni di desii, i quali escono dallo spirito e diventano sospiri di scienza e di sapere. Gli atti suoi soavi in ciascuno destano amore. In ogni donna è gentile ciò che di lei si trova, ed è bello quello che a lei somiglia. Nel suo aspetto appariscon cose che fanno presentire le bellezze del paradiso; le quali soverchiano il nostro intelletto come raggio di sole una debole vista. La beltà sua piove fiammelle di puro fuoco animate da un soave spirito, ch'è suscitatore d'ogni pensiero buono.

Dante magnifica la Filosofia, ossia la Sapienza divina, congiungendola con amorosa tenerezza al pensiero di Beatrice, che ne diviene la personificazione mistica, e per lei nel cuor suo simbolicamente rivive e domina.

CAPITOLO XI.

La borghesia fiorentina. - Prosperità recata alla Repubblica dalle Arti Maggiori. — Iscrizione di Dante all'Arte de' Medici e Speziali. Il volontario esilio di Giano della Bella. - Efficacia rinnovatrice degli Ordinamenti di Giustizia. - Ammirazione e memore ricordo dell'Alighieri. Suo dolore per la morte di Forese Donati.

Seguace di Severino Boezio, la cui forte anima vide rifulgere nella sfera del Sole (1), Dante, attraverso le consolatrici pagine del suo immortale volume, ammirò primieramente i celesti sembianti della Filosofia. Innamoratosi di essa e studiosissimo della scienza teologica, che l'univa alla memoria e al divino pensiero di Beatrice, in diuturne meditazioni viveva nel mondo dello spirito con tutti i grandi trapassati. Con l'assidua ed infaticabile attività però mostrava d'essere sulla terra e di sentire i bisogni e i contrasti del tempo suo. Dopo aver combattuto in Campaldino, soldato della libertà e della patria, intendeva adempire i suoi doveri di cittadino e

(1) Cfr. PARADISO, canto X. 124-129.

di partecipare al governo della cosa pubblica conformemente al nuovo ordinamento civile della città nativa.

Nell'ultimo ventennio del secolo XIII importantissime riforme erano avvenute in Firenze con l'affermarsi di nuove tendenze politiche e sociali. Durante le discordie dei Grandi e delle ostilità guelfo - ghibelline, era venuta crescendo in ricchezza e in prestigio una numerosa borghesia, che traeva la sua origine dalle associazioni democratiche, divise in Arti Maggiori e Minori, alle quali apparteneva il popolo grasso e il popolo minuto. Le Arti Maggiori erano sette: dei Giudici e Notai; dei Mercanti di Calimala o dei panni forestieri; della Lana; della Seta o di Porta S. Maria; dei Cambiatori; dei Medici e Speziali; dei Pellicciai e Vaiai, ossia dei conciatori e venditori di vai, cioè di pelli di vaio, animale simile a scoiattolo. Le Arti Minori, dette così perchè esercitavano mestieri di minore importanza, erano quattordici Linaiuoli e Rigattieri Calzolai Fabbri - Pizzicagnoli, Beccai e Macellai - Vinattieri-Albergatori-Corregiai- Cuoiai-Corazzai Chiavaiuoli Muratori - Legnaiuoli, Fornai. I capi si dissero Priori, i quali sin dal 15 giugno 1282 erano divenuti i magistrati della Repubbli ca (1). Dal Priorato erano esclusi i nobili, e per esser eletti ad un ufficio pubblico era necessario appartenere ad una delle diverse Arti.

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Le Arti Maggiori avevan reso i Fiorentini celebri nell'industria e nel commercio, procurando loro molte ricchezze, per cui poteron innalzare tante moli grandiose e stupende quante sono quelle che destano l'universale ammirazione. Floridissima era l'arte della lana in Firenze,

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI. I primi due secoli della Storia di Firenze. Op. cit. cap. V, p. 258.

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