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CAPITOLO I.

Il sogno di Donna Bella. Il calendimaggio dei 1274. Festeggiamenti in casa di Folco Portinari. Vista di Beatrice. Innamoramento di Dante. -Vicende politiche che precedettero la sua nascita.

Donna Bella, madre di Dante, nell'aprile del 1265 aveva sognato d'essere sotto un altissimo alloro, sopra un verde prato, presso una grandissima fonte. Quivi dava alla luce un figliolo, il quale, bevendo acqua della fonte, e nutrendosi delle orbacche staccatesi dall'albero, parea essere un pastore, desideroso d'avere in suo potere foglie d'alloro. Nell'atto però di spiccarle dai rami cadeva, e nel rilevarsi sembrava che divenisse pavone.

<< Questi fu quel Dante narra il Boccaccio che a' nostri secoli fu conceduto di speciale grazia da Dio . . . » (1).

Il materno sogno di Donna Bella racchiudeva un misterioso presentimento, il presagio di un' arcana pre

(1) Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Vita di Dante, cap. II.

destinazione, resa manifesta ed eternamente gloriosa da una divina creatura, « venuta »

Di cielo in terra a miracol mostrare.

Ricorreva il calendimaggio del 1274; fiori e sorrisi recavano gli amanti alle donzelle; lieti canti sonavan sugli ameni poggi, nelle fresche valli, attorno alle turrite castella del contado toscano.

Folco Portinari, uomo assai onorevole fra i cittadini di Firenze, volle anche lui festeggiare il ritorno della dolce stagione, e convitò in casa sua i congiunti e gli amici, tra cui era Alighiero, marito di Donna Bella, con il figlioletto Durante (1). Per le ampie sale del sontuoso palagio, ricche di arazzi e olezzanti di primaverili ramoscelli, s'aggirava un allegro stuolo di fanciulle e di ciarlieri ragazzini. Dante era fra questi, e vide con istupore la piccola Bice, figlia di Folco. Fu per lui una celeste apparizione: era assai leggiadretta la piccina ; negli atti gentile e piacevole molto, con costumi e con parole gravi e modeste. Aveva delicate le fattezze, e per la pura beltà e vaghezza del viso e dello sguardo, << quasi un' angioletta era riputata da molti ». Dante. ancorchè fosse fanciullo, «con tanta affezione l'immagine di lei ricevette nel cuore, che da quel giorno innanzi mai, mentre visse, non se ne partì» (2).

O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando

Al rapito mortal primieramente

Sorridon le donzelle; a gara intorno

(1) L'Alighieri fu battezzato col nome di Durante, abbreviato

poi in Dante.

(2) Cfr. Op. cit. cap. III.

Ogni cosa sorride; invidia tace,

Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo

La destra soccorrevole gli porge (1).

Non la porse a Dante il tristo mondo, e, sin dal l'inizio, fu travagliata la sua giovinezza, che ebbe per isfondo storico mezzo secolo di civili discordie, di cui dovette sentire i dolorosi effetti.

Quei funesti avvenimenti, cinquant'anni prima della sua nascita, incominciarono nel giorno di Pasqua del 1215. Il motto di vendetta di Mosca dei Lamberti : Cosa fatta, capo ha, che produsse l'uccisione di Buondelmonte Buondelmonti ed appagò l'animo offeso degli Amidei e dei loro consorti, << fu il mal seme per la gente tosca » (2). Si ridestarono, come per incanto, gli odii faziosi, la Repubblica Fiorentina si divise in due partiti inconciliabili, e apparvero con l'originario furore alemanno i Guelfi e i Ghibellini. Gli uni, come a supremo bene, aspiravano all' indipendenza d' Italia, rifiutando ogni aiuto straniero; gli altri vagheggiavano l'unità del regime politico, sperando nell' intervento germanico per l'unificazione della Penisola. I Guelfi desideravano liberarsi dalla dinastia sveva e dar così respiro alla libertà dei Comuni e largo e pieno svolgimento al volere del popolo; i Ghibellini, invece, temevano che ciò sarebbe riuscito di nocumento alla vita interna del paese, e avrebbe recato continui perturbamenti senza la guida e il freno di potere superiore (3). Gli opposti campi in

(1) Cfr. GIACOMO LEOPARDI, Le Ricordanze, v. 120-127.
(2) Cfr. Inferno, canto XXVIII, 108.

(3) Cfr. CESARE CANTÙ, Storia Universale. Decima edizione. Tomo sesto, libro duodecimo, cap. I, p. 32. Torino. Unione Tipografica Editrice, 1887.

cui militavano i fautori dell' Impero e i seguaci della Chiesa mettevano in aspro contrasto le loro ambizioni di dominio, che divampavano violentissime in ardenti e dissennate lotte.

Firenze, guelfa, fu in Toscana, per avvedutezza e per tornaconto, centro di quell' incessante agitazione; ad essa si unì Lucca per avversione a Pisa imperiale, alleatasi con Siena; e Pistoia, fra due città guelfe che la minacciavano, divenne ghibellina, sperando aiuto da Pisa e da Siena (1).

Federico II, aveva già imbrandita la spada in difesa delle rivali di Firenze; era però corrucciato per l'ostilità della Corte Romana. Non aveva avuto più pace dacchè era salito al Pontificato Innocenzo IV, che lo aveva condannato e deposto nel 1245 durante il Concilio di Leone, costringendolo a riprender le armi per sostenere i Ghibellini e la sua sovranità in Italia. Il proprio esercito comandato da lui veniva frattanto sconfitto a Parma. Bologna s' era messa alla testa di tutte le città guelfe di Romagna, movendo contro Enzo, che, vinto nella battaglia di Fossalta e fatto prigioniero, con grande dolore del padre, fu messo in carcere il 26 maggio 1249. Federico il 13 dicembre 1250 usciva di vita nelle Puglie, in un castello presso Lucra (2).

Succedutogli il figlio naturale Manfredi, rialzò ben presto l'abbattuto stendardo imperiale, che fece sventolare vittorioso il 4 settembre 1260 nella sanguinosissima giornata di Montaperti, il cui strazio e il grande

«

(1) Cfr. PASQUALE VILLARI, I primi due secoli della storia di Firenze. Vol. unico. Nuova edizione, interamente riveduta dall'Autore, cap. IV, p. 174. In Firenze. G. S. Sansoni, Editore, 1905. (2) Cfr. PASQUALE VILLARI, Op. cit. cap. IV, p. 183.

scempio fece l'Arbia colorata in rosso» (1). Grandi furono le feste, la gioia e i trionfi in Siena; grandissimi i lutti e i lamenti in Firenze, dove non era famiglia che non avesse perduta una persona cara (2). I capi dei Guelfi esularono in gran numero. seguiti da molti popolani. Usciti di città il 13 settembre, si sparsero per la Toscana; i più si rifugiarono in Lucca, che divenne la cittadella del loro partito. Tra i fuggiaschi era anche Brunetto Latini, mandato ambasciatore dai Guelfi di Firenze ad Alfonso di Castiglia; ma dopo la loro sconfitta, invece di rimpatriare, stimò conveniente recarsi in Francia, scegliendo Parigi per suo soggiorno.

I Ghibellini tornarono alle loro dimore. Il Conte Guido Novello, nominato podestá di Firenze, s'insediò subito nel Palazzo del Comune, e incominciarono le confische dei beni, il saccheggio delle case e delle torri dei Guelfi. L'ira dei vincitori, non ancor paga con quegli sfoghi di selvaggia vendetta, bramava la distruzione della Città per sentirsi soddisfatta. Convennero in Empoli i feroci ideatori di quel vandalico proposito; ma Farinata degli Uberti, in un impeto di collera generosa, mettendo la mano sull' elsa della spada. dichiarò agli altri duci ghibellini ch' egli aveva combattuto per riavere, non per perdere la patria (3), e la difese a viso aperto ». (4).

Non erano ancora trascorsi sei anni, e Carlo d'Angiò, chiamato in Italia dal papa Clemente IV, umiliava duramente l'orgoglio ghibellino. Avanzatosi colle sue

(1) Cfr. INFERNO, canto X, 85-86.

(2) Cfr. PASQUALE VILLARI, Op. cit. cap. IV, p. 204.
(3) Cfr. PASQUALE VILLARI, Op. cit. cap. IV, p. 205.
(4) Cfr. INFERNO, canto X, 91-93.

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