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Tutte queste poesie possono essere divise in quattro classi. Le prime tre classi contengono le rime scritte in patria, la quarta quelle dettate in esilio. Di quelle scritte in patria, la prima classe, oltre il sonetto dell'apparizione, comprende le rime del contrasto tra l'antico e il nuovo amore (sono indicate nello schema con una grappa); la seconda comprende il solo sonetto « Due donne in cima... », e rappresenta il periodo di acquietamento o di gioia, nel quale la musa del Poeta tacque. Soddisfatti gli ardenti desiderì, acquietatosi l'animo nell'oggetto cui s'era disposato, mancava l'occasione e lo stimolo a poetare. La terza classe infine contiene le rime del raffreddamento e del contrasto. Motivi più o meno giustificati, dispiaceri famigliari e politici, ne furono, vedremo, la causa principale.

II.

CHI FU LA DONNA GENTILE?

Una simile ricerca è importantissima, se si pensa che le opere dei grandi solo allora potranno essere apprezzate ed intese, quando si conosca l'occasione prima che le dettò. La frase e l'espressione riesce fredda, se rimane nascosta sotto il velo dell' allegoria. Strappare pertanto questi veli è per noi un bisogno, una necessità, in quest' epoca specialmente, in cui la realtà si vuol vedere viso a viso, senza finzioni, nell'interezza che il genio la diede. Ed è giusto; bisogna toccare il fondo delle cose; non basta osservarle superficialmente, contentandoci di quel po' di lustro che le fa comparir belle ed attraenti allo sguardo.

La donna gentile fu oggetto di studio per molti; le opinioni alle quali essi pervennero, furono diverse. Chi la disse reale, come il Witte, il Balbo, il Gaspary, il Casini; chi invece allegorica, come il Lubin, il Bartoli, il Giuliani, il Fraticelli, per citare i più recenti. Abbiamo quindi due schiere; gl' idealisti e i realisti. Ma che sia donna reale, io credo che nessun dantista di buon senso ne dubiti. E senza far torto a tanti valentuomini, che pure sostennero fieramente l'allegoria, stimerei inutile fermarmici sopra, se le ultime edizioni del Canzoniere di Dante non mi spronassero a farlo, per l'insistenza con la quale si ritorna sulle idee trite e ritrite, già esposte da altri, facendo apparire

l'innamoramento dell'Alighieri per la donna gentile come una cosa voluta e non occasionale, come una finzione, frutto esclusivamente d'una mente visionaria e fantastica del Medio Evo. Non stimo però opportuno approfondire la questione; farò solo degli accenni.

Chi ha letto la Vita Nuova, ed è riuscito a formarsi un concetto adeguato del Convito, avrà dovuto sorridere con certezza di tutti gl'idealisti presi insieme. Ma com'è possibile, sarà stato costretto ad esclamare, che lavori così ispirati, informati a un sentimento così vivo, possano essere stati composti per un'idea soltanto, per un essere allegorico che non sente e non vede; creati dietro uno sforzo lungo e tenace d'immaginazione? Il nostro spirito si ribella ad ammettere tanto. Lo sentiamo ogni giorno, che solo dietro la dura esperienza l'anima nostra piange e ride, e sente il bisogno d'esternare al di fuori la propria vita. È un fatto che non ha bisogno di prove: Il fuoco non si sprigiona da sè, senza una forza che lo determini; l'uomo non agisce, se non dietro lo stimolo che lo punge; il poeta non canta, se una forza superiore non gl' infonde l'ispirazione. È tutto un congegno armonico questa mirabile macchina del creato, dove nulla si muove, senza la fiamma onnipossente dell' amore che lo riscaldi.

Ma lo stimolo v'era, l'occasione non mancava, osservano gl'idealisti. La filosofia, nella quale Dante s'era incominciato ad addentrare, l'attraeva tutto, con le sublimi verità che gli poneva sott'occhio; la mente sua rimaneva presa, dinanzi alle nuove bellezze che gli s'aprivano allo sguardo. Egli li dovette sentire, nell' immenso sconforto che l'aveva lasciato Beatrice, i dolci inviti della scienza; dovette sentirsi, come un fanciullo, smarrito di fronte alle bellezze della filosofia. Oh! sì, si continui pure di questo passo, ma la verità è che in pratica ciò non avviene; l'ideale può produrre solo l'ideale, non ciò che s'agita e vive. L'amore

che Dante ci descrisse, è la manifestazione più nobile di un cuore innamorato per una donna reale; il modo stesso nel quale esso si svolge, ne è la prova più luminosa. Quelle descrizioni, quelle scene ritratte al vivo, tutti quei particolari insomma che accompagnano la narrazione, ce lo dicono. Sono scene drammatiche, sono lotte interne, che non possono spiegarsi che col cuore, perchè fu'il cuore che le dettò, sotto la viva impressione che lo possedeva. Togliamo quell' insieme di circostanze, e tutto apparirà una vana menzogna: Lo scopo stesso verrebbe a cadere da sè, come cadono tutti gl'inutili sforzi d' ingegno.

Non è possibile, per quanto vogliamo farci violenza, un uomo non può fermarsi a lungo sullo stesso motivo, quando non lo sente; la natura stessa si ribella. Ma Dante avrebbe per anni e anni, sotto le oppressioni morali più fiere, nei dolori e nelle angosce della vita, cantato sempre il medesimo argomento; i disagi non eran valsi a distrargli l'attenzione; la famiglia, la politica, l'esilio, le faccende più gravi erano state un nulla di fronte al pensiero della donna ideale; la filosofia sarebbe rimasta unica signora e despota della sua mente. Oh! via, via, ciò è umanamente impossibile. No, Dante non avrebbe potuto cantare per tanto tempo un soggetto allegorico; la durata di tanta passione. ci fa da sè stessa la spia.

C'è da ridere, leggendo il Canzoniere del Giuliani e del Fraticelli, nel sentir ripetere ad ogni pagina le medesime cose: «Qui si tratta della Filosofia »; « la donna del componimento è la Filosofia, giovane non per sè stessa, ma rispetto a Dante e secondo l'apparenza »; e così di questo passo fino alla nausea. Chi si vuole ostinare a trovar da per tutto simboli e allegorie, deve pure disconoscere l'indole veramente drammatica, che queste poesie contengono. Diceva bene il Carducci : Quando gli espositori delle allegorie dantesche, che credono la giovin donna essere stata la

Filosofia, avranno dimostrato come e perchè essa riguardi i giovani dalle fenestre... allora mi darò per vinto —。 (1)

Ma chi non sente da per tutto aleggiare lo spirito dell'Alighieri? Se quest'amore fosse stato ideale, rivolto alla filosofia, esso, per quanto intenso e sentito, avrebbe dovuto essere placido e calmo per la sua propria natura, per quella dell'oggetto amato. Qui invece abbiamo gli alti e bassi amorosi, i raffreddamenti e le accensioni, gli sdegni e i rancori; qui ci si mette dinanzi la storia d'un vero innamoramento, come si verifica ogni giorno. Quest' amore fu inteso per un amore ideale; ma Dante nel suo lavoro giovanile lo dichiarò: Era un appetito carnale; non occorreva dichiarazione migliore. Che gioverà se più tardi, scrivendo il Convito, con uno sforzo titanico di mente oserà trasformarlo? La confessione era fatta. La donna apparsa vile al suo sguardo, diverrà un essere celeste, la figlia stessa di Dio.

Ma noi già l'accennammo. Quanta fatica non dovette sostenere per raggiungere l'intento! Come mai avrebbe potuto volgere a un significato tutto diverso dal reale, ciò che per sè appariva chiaro? Ne volle fare la prova. Se non che lo stesso Convito a un punto pare che ci dichiari quale fosse la vera natura di quell'amore : Conciossiacosachè... quello di prima (l'amore per Beatrice) fosse amore così come questo di poi - (per la donna gentile). (2) I due amori dunque erano uguali; nessuna differenza passava tra loro. Dante, senza volerlo, l'aveva detto. Eppure poco dopo, ritornandovi sopra, nel darne la vera spiegazione, scriveva: Onde è da sapere che per amore in questa allegoria sempre s'intende esso studio, il quale è applicazione dell'anima innamorata della cosa a quella cosa (II, 16).

(1) Delle rime di Dante Alighieri, in Studi letterari, Livorno, Vigo, 1874, cap. VI.

(2) II, 9.

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