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fossi abbandonato mai ai vani onori del mondo! Non avessi

mai rivolto il pensiero alla politica! Perdonami. (1)

Onde s'io ebbi colpa,

Più lune ha volto il Sol, poichè fu spenta,

Se colpa muore perchè l'uom si penta.
« Tre donne...», 88.

Dante dunque si sarebbe pentito d'essersi immischiato tanto nelle faccende politiche, trascurando forse quelle famigliari e altre di maggior conto. Ecco allora come possiamo intendere la confessione ch'egli stesso avrebbe fatto in una lettera ora perduta, dove attribuiva al suo priorato e a quell'infausta elezione l'origine di tutte le sue disgrazie. (2)

Fu detto e ripetuto più volte che le parole di amaro rimprovero rivolte da Nino Visconti a sua moglie Beatrice d'Este, per la quale

.. assai di lieve si comprende Quanto in femmina foco d'amor dura,

Se l'occhio o 'l tatto spesso nol raccende,

Purg., VIII, 76.

(1) Il perdono che Dante chiede nella canzone «Tre donne.....», riguarda Gemma; sarebbe inutile pensare ad altri: C'è quell'onde che collega tutto il periodo, di modo che una sola è l'idea che vi domina e campeggia. Il Poeta, dopo aver espresso l'ardente desiderio ch'egli ha della sua donna, par quasi che voglia dire, rivolgendosi lei: Sai, o mia Gemma, io son cambiato, non sono più quello di prima. Par quasi che voglia dire, rivolgendosi indirettamente ai congiunti, che ancora l'odiavano a morte: Deponete giù l'antico livore che dimostrate contro di me, io mi son pentito dell'operato; fate che in qualche modo mi possa riunire all'essere, che solo potrebbe consolarmi. E chi sa che Dante non avesse bramato da Gemma maggiore energia nel perorare la sua causa presso i fratelli? Essa doveva imporsi in qualche modo, mettendo in mostra tutta quell'autorità che può avere una sorella.

(2) Cosi scrisse LEONARDO ARETINO (loc. cit.), parlando del priorato di Dante. La lettera da lui citata è perduta, e non se ne conosce più traccia.

non sarebbero altro per Dante che un'allusione a Gemma e frutto di dolorosa esperienza. Ma a me non sembra; perchè Gemma, in fondo, non poteva esser messa alla pari della scordevole Beatrice. Io troverei piuttosto un'allusione a Gemma nel ricordo affettuoso che Forese Donati fa della propria Nella, la quale, benchè giovane e sola, aveva preferito, dopo la sua morte, di rimanere in casta vedovanza: Tant'è a Dio più cara e più diletta

La vedovella mia, che tanto amai,
Quant'è nel bene oprare più soletta.

Purg., XXIII, 91.

Nella, coi suoi suffragi e coi «< suoi preghi devoti », aveva alleviato i tormenti del Purgatorio all'anima di Forese; Gemma, coi suoi « sospiri » e «< col suo pianger dirotto »>, aveva ridestato nell'esilio l'antica fiamma dello sposo. E un tempo s'erano amati veramente! Si, se Gemma non segui Dante, non dipese da lei, provenne dai parenti, in casa dei quali s'era ricoverata. (1) Scriveva il Boccaccio che Dante, esiliato da Firenze, partiva sicuro della sua donna, « perciò che di consanguineità la sapeva ad alcuno dei principi della parte avversa congiunta »; (2) ed era ragionevole. Essi non avrebbero potuto permettere, essendovi i vincoli del sangue e andandovi di mezzo l'onore della famiglia, che a Gemma si torcesse un capello; ma nemmeno potevano permettere, per le stesse ragioni, che, abbandonata la patria, andasse raminga pel mondo, incerta dell'avvenire, esposta ai colpi della fortuna; ne sarebbe andata di mezzo la reputazione della famiglia. Nè essi d'altra parte potevano sentire com

(1) Quando le donne rimanevano senza padre o senza marito, erano soggette all'assoluta autorità dei fratelli, e del primo dei consorti della famiglia. Questo tra i Donati era Corso, nemico mortale di Dante.

(2) Loc. cit., cap. 5.

passione di un avversario, fosse pure a loro unito per parentado. Pagasse egli solo, senza trarsi dietro nella rovina altri esseri, il fio della propria colpa. I figli avessero pure seguito le sorti del padre, chè ne aveva diritto; ma Gemma mai; essa doveva restare nella casa paterna.

E così appunto dovette accadere. Ma ciò potè verificarsi solo tardi, quando, dopo le più fiere vicende, Dante trovò finalmente uno stabile asilo in Ravenna, dove gli fu possibile passare, in uno stato di relativa tranquillità, gli ultimi anni di sua vita.

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La donna pietosa e gentile fu dunque Gemma Donati, l'infelice, se così vogliamo chiamarla, moglie di Dante. A lei spetta una delle pagine più belle e più gloriose nella vita del nostro Poeta; essa ci permette di ricostruire uno dei periodi meno noti. Accanto alle rime del dolore e ai dolci canti della Commedia, poniamo dunque le rime dell'amore vero, che, per essere scritte con tutta sincerità, riescono non meno belle, non meno significative, non meno necessarie. Esse ci serviranno a delinear meglio nella sua interezza la sublime figura dell'Alighieri. (1)

(1) Prevengo che prima di chiudere questo capitolo avrei dovuto fare almeno un accenno alla Lisetta, che fu identificata da qualcuno con la donna gentile; ma siccome ne dovrò trattare nel primo volume di questo Canzoniere, quando parlerò del sonetto « Per quella via che la bellezza corre», stimo inutile, per non ripetere le cose due volte, occuparmene ora. Allora vedremo che le due donne sono tra loro inconciliabili e di carattere diametralmente opposto.

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RA ci si presenta un'altra pagina della vita di Dante, non meno importante della precedente e non meno pietosa, vale a dire la storia d' un amore terribile e insoddisfatto, che, come « legno senza vela e senza governo», doveva agitarlo furiosamente e farlo apparir vile agli occhi di molti. Il colpo gli venne proprio quando non s' era ancora riavuto dallo sbigottimento dell'esilio; quando, peregrino e mendicando, era andato di porto in porto e di lido in lido, trascinato « dal vento secco che vapora la dolorosa povertà». Anche questa volta fu la vanità degli occhi suoi la causa della più terribile tempesta che mai lo sommovesse. E anche questa volta fu la solitudine e l'abbandono in cui si trovava, che gli fece riaprire gli occhi alle attrattive della bellezza. Nè v' era ormai la scusa dell' età imberbe; perchè, avanzato negli anni, aveva dato l'addio da un pezzo alle rime leggere d'amore. Una giovane dura come pietra era riuscita a trasformarlo. A che eran valsi i fermi proponimenti e le prese risoluzioni? Al primo colpo era caduto.

Tra le verdi vallate del Casentino, sopra un prato fiorito, chiuso intorno da colli, gli era apparsa la donna: Una gio

vane dai capelli biondi e ricciuti, vestita di verde, inghirlandata di fiori, che andava danzando in una bella giornata di primavera. Strana e meravigliosa apparizione! L'uomo impietrito dalla sventura e reso insensibile dai fieri colpi della sorte, si senti trasformato come per incanto. Le antiche passioni ei sensi tornarono a tormentarlo con tutta la gagliardia; egli non seppe opporre loro la dovuta resistenza. Beatrice glie lo dirà, movendogli dolce rimprovero, nella mistica selva del paradiso terrestre; e con tutto lo sdegno e il giusto risentimento di chi amò veramente, come un' anima tradita, l'inviterà a piangere. E ne aveva ragione, perchè troppa sensualità era stata quella che l'aveva posseduto.

Quanta differenza da quell' amore sereno e placido per la donna pietosa! Che distacco dalla gentile Beatrice! Là tutto è tranquillo e spirituale, avvolto come in un' aura di cielo; qui invece tutto è passionale e voluto; idee, immagini, comparazioni son tratte dal sensibile più fortemente e acutamente percepito: Là gli affetti son puri, com' è puro l'amore che stringe l'universo; non v'è mai un desiderio alla carne o alla natura corporea; qui invece è l'amore febbrile che predomina, è il fuoco della passione ardente che consuma e divora: Là abbiamo gli accenti più dolci e le parole più tenere; qui i fremiti e i singhiozzi tra l' imprecazione e la vendetta. Il ricordo di tanta passione lo dovette far vergognare. Eppure - a noi quest' ardenza di sentimento, questo sfogo della propria natura dell'uomo, dopo il ritegno della mistica contemplazione di Beatrice, a noi piace. È come la gran vampa del sole d'estate, quando tutto trabocca di vita, che più largamente ci fa sentire l'esistenza: è come il temporale di mezzogiorno, dopo una soave mattinata di primavera (1). Povero Dante! La bellezza mortale l'aveva sempre allettato; le sirene del mondo l'avevano rapito nei

(1) G. CARDUCCI, loc. cit.

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