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mancava la sostanza da scemare. Chi avrebbe dato al Poeta parole adeguate al suo male? E cosa avrebbe continuato a cantare? Era tempo di finirla; e si terminava infatti con una poesia di vendetta, che non ammette repliche e non conosce ragioni. «< Così nel mio parlar... » è come una gelata che penetra nell'intimo delle midolle, e spegne la virtù dove tocca. Canzon, vattene dritto a quella donna,

Che m'ha rubato e morto, e che m'invola
Quello, ond' io ho più gola:

E dalle per lo cor d'una saetta;

Chè bell'onor s'acquista in far vendetta.

Commiato.

Così si sarebbe dovuto finire di dove s'era incominciato. Quella saetta fatale che dall'arco d'Amore era stata scoccata nel cuore di Dante, doveva ferire e squarciare quello della donna che l'aveva impietrito. Ci voleva anche questa corrente di poesia per compiere nell'estatico amatore di Beatrice il poeta futuro (1)

(1) G. CARDUCCI, loc. cit.

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III.

DURATA DI QUEST'AMORE

Ora che abbiamo veduto come quest'amore si è svolto e abbiamo ordinato le rime che si riferiscono ad esso, ci si presenta un'altra questione; vale a dire quella che riguarda la durata di quest'amore, della quale ci occupammo in parte nel capitolo precedente. Tutti questi capitoli sono collegati strettamente tra loro; questo, per esempio, non si può distaccare da quello dello svolgimento; ambedue si completano e illuminano a vicenda.

Già dissi, parlando di «Amor, tu vedi ben... » non molte pagine innanzi, che questa canzone ci dà per la prima volta, in modo esplicito, un accenno di tempo (9–11). Il Poeta, per mettere maggiormente in rilievo la crudeltà della sua donna, dice ch'essa non sente amore nè d'estate, nè d'inverno,

Chè, per lo tempo caldo e per lo freddo,
Mi fa sembiante pur com'una donna,
Che fosse fatta d'una bella pietra,

venendo così a determinare le due stagioni opposte, le quali, se non necessariamente una primavera, comprendono sempre un autunno. Quest'accenno però dichiara solo il tempo, in cui fu composta la canzone, scritta nel principio di un inverno, e ci fa intendere che Dante era innamorato da un

pezzo, come conferma il verso 52: « Entrale in core omai, chè n'è ben tempo ». Ma, s'intende, ciò sarebbe ben poco, se non venissero in aiuto altri componimenti, i quali contengono accenni più chiari ed espliciti. La sestina « Amor mi mena... » è uno di questi: Essa ci dà subito i mezzi per ben determinare il principio dell'innamoramento, e porre un po' d'ordine nelle cose, che altrimenti non sarebbe facile scorgere. L'apparizione della donna fu in primavera.(1) l'aveva duro il cor com' una pietra, Quando vidi costei cruda com' erba, Nel tempo dolce che fiorisce i colli.

E anche in primavera veniva scritta la sestina: . . . i' son d'amor più verde,

Che non è il tempo, nè fu mai null'erba.

19-21

II-12.

Sicchè queste parole (2) ci permettono di fissare il tempo, che dovette correre dalle prime rime scritte per la Pargo

(1) Un'altra conferma l'avremmo dai versi 23-30 di questa medesima sestina. D'inverno non si potrebbe danzare per piani e per colli e nemmeno sull'erba fresca, come li si dice.

(2) Che queste parole (i' son d'amor più verde, che non è il tempo ecc.) vadano intese in quel modo, cioè significhino quale fosse la stagione in cui Dante si trovava, quando scriveva, mi pare non possa esservi dubbio; diversamente non avrebbero significato. Del resto che tra la prima apparizione e l'epoca in cui veniva scritta la sestina, fosse trascorso circa un anno, ci vien detto chiaramente dai versi 2527, dove si nominano tutte e quattro le stagioni dell'anno, durante le quali il Poeta avrebbe potuto sperimentare la donna; dall'inverno si viene gradatamente alla primavera, per ricordare poi subito dopo (28-30) la prima apparizione, che fu pure in primavera. Ma che la sestina «< Amor mi mena...» fosse stata scritta in primavera, non v'è bisogno di prove; ce lo dice essa stessa. Chi non vi sente da per tutto aleggiare la primavera? Le foglie, i colli verdi, i prati coperti di fiori, le ombre, le danze, i sorrisi, «i politi e bellissimi colli >> di donna, cosa dicono?

letta alla composizione della sestina; da una primavera ci portano a un' altra primavera, periodo che costituisce precisamente un anno, come poco dopo dichiara la sestina stessa: Che tempo freddo, caldo, secco e verde Mi tien giulivo

25-26.

Dichiarazione che Dante non avrebbe potuto fare, se non l'avesse sperimentato. Se dunque l'innamoramento ebbe principio in primavera, a quella stagione andranno riportate, com'io notai indotto dall' esame del contenuto, le prime ballate «Era tutta soletta», « Per una ghirlandetta » ecc., dove si spiega tutta la leggiadria e la vita nelle sue più belle manifestazioni. (1)

Ma sarà autentica la sestina « Amor mi mena....... »? Dobbiamo prestar fede a quello che dice? Io la ritengo genuina, sebbene i più ostinatamente la combattano, e in seguito ne vedremo le ragioni. Ma dato anche che non fosse tale, troveremmo sempre una conferma di quanto essa dichiara, nella canzone << Io son venuto...», dove pure si parla di una primavera trascorsa e di una sopravveniente, che anzi pare si attenda con impazienza, trovandosi il Poeta nel cuore dell' inverno, confinato nella sua casa, senza un raggio di sole che ravvivi la vita, o lo sproni a battere il sentiero divenuto torrente, che un tempo lo conduceva a mirare il lieto abitacolo del suo amore.

(1) E del resto, anche senza la sestina, potevamo affermare con ugual sicurezza che l'apparizione della Pargoletta fu in primavera; perchè le prime ballate scritte per essa lo rivelano chiaramente. Infatti la donna ci viene presentata su di un prato fiorito, «su la fresca erbetta», mentre va cogliendo fiori e intessendo ghirlande; cosa che potrebbe aver luogo solo in primavera. L'immagine del fiore e della ghirlanda, che impressionò la mente del Poeta, ritorna spesso nelle rime di questo gruppo. Si leggano specialmente le prime quattro

ballate.

Canzone, or che sarà di me nell' altro
Dolce tempo novello, quando piove
Amore in terra da tutti li cieli ;
Quando per questi geli

Amore è solo in me e non altrove?

Commiato.

Un dolce tempo novello era dunque passato, s'egli ne sospirava un altro; non poteva essere diversamente. E la stagione desiderata gli venne a sorridere con tutto l'incanto della natura, quale si può manifestare tra i ridenti colli d'Appennino, in una giornata di marzo, come ci rivela il sonetto «< Ora che 'l mondo...», dove sembra che tutto ci parli d'una seconda primavera, in cui si rinnova la speranza e si rinfresca la gioia.

Però che 'l dolce tempo allegro e chiaro.

Di primavera col suo verde viene,

Rinfresco in gioia e rinnuovo mia spene.

Dunque un primo periodo, senza tema d' errare, si dovette svolgere tra due primavere, ossia nello spazio di un anno. Già vedemmo nel capitolo precedente, come al sonetto «Ora che 'l mondo... » seguirono le due sestine che, scherzando, chiamai primaverili, e che testè ripetei doversi riportare alla seconda primavera; e vedemmo anche come a questa, con breve intervallo, forse negli ultimi di quella stagione, seguì « La dispietata mente...», canzone che rappresenta la prova decisiva e chiude il primo gruppo di rime. Dopo di essa troviamo un immenso distacco dalle altre poesie che ci rimangono, distacco di contenuto e di tempo; perchè « Al poco giorno...» ci porta subito alla fine dell' autunno, ed è la prima poesia, dove, spenta qualunque speranza, il contenuto varia e cozza con quello delle rime precedenti.

Cosa avvenne durante quell' intervallo? Questa fu la domanda che mi rivolsi anche più innanzi. Tacque la musa

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