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del vulgo, a' piedi di coloro che seggono, ricolgo di quello che da loro cade... misericordevolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata, e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora, volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convito di ciò ch' io ho loro mostrato, e di quello pane ch'è mestiere a cosi fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe essere mangiata a questo convito Questo solo passo basterebbe per farci conchiudere che le canzoni erano già composte e diffuse. Ma, poco più sotto, quasi non fosse sufficiente, ritornandosi sullo stesso concetto, si aggiunge: - La vivanda di questo convito sarà di quattordici maniere ordinata, cioè di quattordici canzoni si di amore, come di virtú materiate, le quali, sanza lo presente pane, aveano d'alcuna scurità ombra, sicche a molti lor bellezza più che lor bontà era in grado; ma questo pane, cioè la presente sposizione, sarà in luce, la quale ogni colore di loro sentenzia farà parvente. Le canzoni dunque erano composte da vario tempo; e Dante ci determina non solo questo, ma viene anche, in certo modo, a chiarire quale ne fosse stata la materia: Virtù e amore glie l'avevan fatte comporre. Tutto ciò rende ingiustificata la perplessità di coloro, che vollero escludere dal Convito qualunque rima amorosa. Queste rime, che trattavano dalla prima all'ultima amori reali, furono torte, come vedremo, con tocchi d'artista, ad altro significato. Ma questo, che deve pure richiamare l'attenzione dello studioso, non toglie nulla all'occasione prima che le dettò, e non deve servire d'inciampo alla serena ricerca del vero.

Il Boccaccio, (1) parlando del Convito, scriveva: -Compose ancora un commento in prosa in fiorentino vulgare sopra tre delle sue Canzoni distese, come che egli appaia

(1) Trattatello in laude di Dante, cap. 16.

lui aver avuto intendimento, quando il cominciò, di commentarle tutte, benchè poi... più commentate non se ne trovano da lui Egli dunque sapeva che quelle canzoni erano state composte e distese; anzi, per il modo come ne parla, sembra che ne traesse la notizia dal Convito. Mi piace intanto d'aver fissato fin d'ora questo; che cioè, nel comporre il Convito, Dante dovette raccogliere le migliori delle sue canzoni, e distribuirle con un certo ordine, assegnando a ciascuna il posto che avrebbero dovuto occupare nell'opera. Queste canzoni d'argomento morale e profano, dettate in vari tempi, secondo le occasioni, vanno dunque rintracciate nel Canzoniere. Esistono o no? E dato che vi si trovino nel numero richiesto di 14, sono proprio quelle del Convito? (1).

Per fortuna abbiamo degli argomenti validissimi, onde pervenire a una conclusione. Le vie da battere sono diverse, sebbene tutte convergano ad un punto. I primi passi li moveremo sulla scorta del Convito: Qui infatti troviamo numerose citazioni e richiami ad altri trattati, che avrebbero dovuto seguire ai primi quattro, con l'aiuto dei quali richiami ci è possibile, a volte, stabilire con sicurezza quale fosse la canzone, cui si riferiscono. Quando, per esempio, come nel primo trattato, parlandosi della giustizia, si avverte che di questa si dirà diffusamente nel quattordicesimo, senza altre prove, conoscendo una canzone che si riferisce alla giustizia, abbiamo tutto il diritto di affermare ch'essa doveva essere commentata in quel trattato.

Dove però il Convito non basta, bisogna ricorrere ai manoscritti. E la cosa riuscirebbe facile, se questi non presentassero delle difficoltà pratiche: Perchè le rime di Dante

(1) Non si dimentichi il punto capitale della questione. Ammesso che le canzoni furono composte, di che, vedemmo, non c'è dubbio, se noi troveremo un gruppo di canzoni, che possano rispondere, per il tempo e per il contenuto, alle 14 destinate al Convito, dovremo conchiudere senz'altro che queste debbono essere le cercate.

non si trovano nell'ordine di composizione, che ci permetterebbe di sorprendere più facilmente le occasioni, e riconoscere in gran parte le persone per le quali furono scritte; ma le abbiamo disperse, o distribuite secondo un criterio sistematico, che rispecchia o rende più generale l'artificiosa partizione di Dante, con esclusioni non giustificate, con alterazioni arbitrarie: Sono come appunti d'entrate e di spese, che siano stati segnati sopra tanti foglietti e poi dispersi per casa e fors' anche fuori; alcuni dei quali poi il computista non del tutto coscienzioso, abbia voluto raccogliere in conti speciali, ma accomodando le partite per farle tornare, e presentando pareggi non corrispondenti alla realtà. In tale stato di cose bisogna ritrovare, se è possibile, i foglietti, raccoglierli nei conti particolari, ritrovare, almeno all'ingrosso, i vari tempi, e istituire il rendiconto generale, dando importanza alle lacune, ma non alterando la verità.

Questi e altri ostacoli che s'incontrano per le rime non appartenenti al Convito, le quali si trovano spessissimo alla spicciolata, o senza nome, o con nome errato, frammischiate a quelle di altri autori, cessano in parte nel caso nostro; perchè possediamo un numero cospicuo di manoscritti, e alcuni d'una certa attendibilità, i quali ci presentano d'accordo la medesima serie di canzoni, riportate nel medesimo ordine. Questa corrispondenza non può essere casuale. I manoscritti sono di grandissima autorità, quando si pensa che debbono avere tutti un archetipo, al quale vanno riportati, e che ci permettono a volte di ricostruire; ma sarebbe pazzia affidarci ad essi ciecamente, come non è da uomo assennato considerare una questione sotto un aspetto soltanto: Perchè possa risplendere la verità, occorre studiare in tutte le sue parti l'oggetto in esame. Se noi però, fissando l'attenzione ai manoscritti, li studieremo con amore, scevri da qualunque preconcetto; e, facendoci guidare dal Convito, procederemo innanzi nella nostra ricerca,

dietro la luce che gettano le canzoni stesse; io son certo che riusciremo a dare alle rime di cui ci occupiamo, quella medesima disposizione e quel medesimo ordinamento che Dante diede loro.

Comincerò dal Convito. E senza ricordare che le prime tre canzoni di quell' opera non si debbono ricercare, perchè Dante stesso nel II, III e IV trattato le arricchi d'un ampio commento, mostrerò subito come noi possiamo trarre di lì gli elementi per stabilire quali dovessero essere le canzoni degli ultimi due trattati. Così verremo a fissare i capisaldi, o meglio i termini estremi per ricostruire lo schema e l'orditura dell'opera. Gli accenni che possiamo desumere dal Convito, sono sicuri. Riporterò prima quelli che si riferiscono all'ultima canzone, poi quelli che riguardano la penultima.

Nel trattato I, cap. 8, dove si parla del dono e della liberalità che lo deve accompagnare perchè riesca gradito, si dice: Onde, acciocchè nel dono sia pronta liberalità, e che essa si possa in esso notare, allora si conviene essere netto d'ogni atto di mercatanzia; e così conviene essere lo dono non domandato. Per che si caro costa quello che si priega, non intendo qui ragionare, perchè sufficientemente si ragionerà nell'ultimo trattato di questo libro -. Ebbene, tra le canzoni di Dante, ve n'è una appunto che parla dell'avarizia contraria alla liberalità, dove con le stesse parole pure espresso il medesimo concetto. I versi che ci riguardano, sono i seguenti:

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Qual con tardare, e qual con vana vista,
Qual con sembianza trista.

Volge il donare in vender tanto caro,
Quanto sa sol chi tal compera paga.

<< Doglia mi reca...», 119.

del

Ma non basta, perchè abbiamo anche un altro passo Convito (III, 15), che rincalza l'argomento. Lo riporterò: Ov'è da sapere che li costumi sono beltate dell'anima, cioè le virtù massimamente, le quali talvolta per vanità o per superbia si fanno meno belle o men gradite, siccome nell'ultimo trattato veder si potrà —. Orbene la canzone <«< Doglia mi reca... » tratta precisamente della virtù, che dev'essere l'ornamento della bellezza, senza la quale essa perde qualunque nobiltà: - Chè se beltà fra' mali Vogliamo annoverar, creder si puone, Chiamando amore appetito di fera (« Doglia mi reca...», 141). In questa composizione, dove a volte pare che manchi la vera poesia, e la forma sembra affogata dal pensiero, si parla diffusamente anche dell' avarizia e dei mali che da essa provengono; ma il soggetto è la virtù, che deve informare Amore in ogni suo atto: L'avarizia v'entra di passaggio, per provare che l'uomo ch'ha abbandonato la virtù, si crea un giogo da sè stesso, come l'avaro, che, dominato dal guadagno, diviene schiavo dell'oro. Questa canzone dunque doveva essere l'ultima di quelle del Convito.

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E quale ne dovesse essere la penultima, si può pure stabilire sicuramente. Gli accenni per farlo sono tre. Di questa virtù scrive l'Alighieri a proposito della giustizia e del suo contrario innanzi dirò più pienamente, nel quattordicesimo trattato (I, 12). E nel trattato IV, cap. 27, abbiamo: Oh misera, misera patria mia! quanta pietà mi strigne per te, qual volta leggo, qual volta scrivo cosa che a reggimento civile abbia rispetto! Ma perocchè di giustizia nel penultimo trattato di questo libro si tratterà, basti qui al presente questo poco aver toccato di quella Ora in nessun luogo si parla espressamente della giustizia, come nella canzone « Tre donne...», della quale la quinta strofe, dove il sentimento e l'amor patrio trabocca, toccando l'apice del dolore e del sacrifizio, poteva dargli l'oc

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